Al ballottaggio del 27 e 28 gennaio per le elezioni presidenziali della Repubblica ceca è stato eletto l’ex generale Petr Pavel, con il 56,45% dei voti, sconfiggendo l’ex primo ministro e attuale capo dell’opposizione Andrej Babis, fermatosi al 43,54%, stando all’80% delle schede scrutinate. L’affluenza è stata del 70%. Pavel sarà il quarto presidente della repubblica dalla divisione della Cecoslovacchia nel 1993.
Al primo turno, tenutosi il 13 e 14 gennaio, si erano affrontati otto candidati. Oltre a Pavel e Babis, gli altri erano l’economista e accademica Danuse Nerudova, l’unica donna in gara, l’ex diplomatico Pavel Fischer, e gli indipendenti Tomas Zima, Karel Divis e Marek Hilser. Pavel aveva ottenuto il 35,4% dei voti, Babis il 34,99% e Nerudova il 13,9%[1].
Secondo la costituzione ceca, il presidente ha il potere di scegliere il primo ministro e i membri del consiglio della Banca centrale e i giudici della Corte costituzionale, con l’approvazione della camera alta del Parlamento. Il potere esecutivo è nelle mani del governo, guidato dal conservatore Petr Fiala. Pavel succede a Milos Zeman, molto criticato per la sua vicinanza a Cina e Russia, ma che ha comunque condannato l’invasione russa dell’Ucraina. Zeman era al potere dal 2013 ed è stato il primo presidente eletto con voto popolare, dato che i due precedenti, Havel e Klaus, erano stati scelti dal Parlamento.
Sovranismo contro europeismo
La campagna elettorale ha visto la contrapposizione tra il sovranismo di Babis e l’europeismo di Pavel.
Miliardario e populista, Babis è stato processato e assolto per frode a soli quattro giorni dal voto. Per lui questa è la terza sconfitta, dopo le elezioni parlamentari del 2021 e le regionali. Il primo ministro Fiala ha detto che la sua sconfitta è dovuta alla «più disgustosa delle sue campagne, nella quale ha unito al populismo l’estremismo»[2]. Babis ha cercato i voti degli elettori preoccupati dalle conseguenze della guerra, accusando Pavel di voler trascinare la Repubblica ceca nel conflitto. In una gaffe che gli è costata varie critiche, l’ex premier ha promesso di non inviare truppe ceche come parte della difesa collettiva Nato in caso di invasione russa dei Baltici.
Ex paracadutista, generale in pensione e “uomo nuovo”[3] della Repubblica ceca, Pavel era già dato per favorito dai sondaggi prima del voto. Candidato da indipendente e criticato per la sua adesione al Partito Comunista della Cecoslovacchia, Pavel è stato capo di Stato maggiore delle forze armate ceche e dal 2015 al 2018 presidente del Comitato militare della Nato. Si è impegnato a combattere il cambiamento climatico, sostiene il matrimonio tra persone dello stesso genere, tuttora illegale, e le adozioni da parte di coppie gay. Questo, insieme al suo europeismo, ha contribuito alla vittoria di Pavel tra i più giovani, mentre con lo slogan “calma e ordine[4]” ha attirato il voto conservatore. «La Repubblica ceca è uno Stato sovrano e membro a pieno titolo (dell’Ue e della Nato, ndr) quindi non possiamo limitarci a sederci in silenzio, annuire e criticare i risultati. Dobbiamo essere più attivi e, allo stesso tempo, costruttivi»[5], ha dichiarato Pavel. Ha anche promesso di essere un presidente indipendente, super partes e di continuare il sostegno all’Ucraina e supportarne l’adesione all’Ue. Fiala ha festeggiato la vittoria del candidato «della società civile e i valori democratici che rappresenta»[6].
Pavel ha puntato sulle sue competenze nel campo della difesa in un clima elettorale influenzato dalla guerra. Pavel condivide la sua posizione atlantista e anti-russa con il governo di centro-destra, che non ha presentato un candidato. La guerra in Ucraina ha quindi fatto da ago della bilancia, favorendo la destra atlantista ed europeista a discapito di quella sovranista e filorussa. Non a caso, la candidatura di Pavel è stata sostenuta da quattro degli altri sette candidati eliminati (Nerudova, Fischer, Hilser e Stredula), mentre nessuno ha sostenuto Babis.
Babis ha ottenuto il sostegno delle parti rurali del Paese, mentre Pavel si è affermato a Praga e nelle altre aree cittadine.
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Il gruppo di Visegrád
La Repubblica ceca fa parte del gruppo di Visegrád (V4), insieme a Ungheria, Slovacchia e Polonia, che ha causato vari problemi all’Ue. Uniti nel loro rifiuto di cedere sovranità all’Unione, a cui hanno aderito per pure motivazioni economiche, questi Paesi sono però divisi per quanto riguarda la politica estera. Se la solidità del V4 sembra incentrata su posizioni nazionaliste e sovraniste anti-migranti, come dimostra la retorica xenofoba, su Cina e Russia il club di Visegrad si divide. Mentre Orban coltiva l’amicizia con Mosca e Pechino, la Polonia è in prima linea nel sostenere Kiev. La posizione filorussa di Orban ha causato vari dissapori all’interno del club. A novembre il premier ceco Fiala ha incontrato i suoi omologhi del V4, nonostante i presidenti di Camera e Senato cechi si fossero rifiutati di sedere al tavolo con i loro omologhi ungheresi. Insieme ad Ankara, Budapest rimane l’unico dei 30 membri Nato a non aver ratificato in parlamento i trattati d’adesione di Svezia e Finlandia. In questo senso, l’elezione di Pavel rappresenta un forte segnale di allineamento al fronte antirusso. Ad aprile 2022, dopo la reiterata richiesta di Zelensky di armi pesanti per contrastare i massacri russi a Mariupol, Bucha e Kramatorsk, Praga era stata il primo Paese Nato a inviare carri sovietici T-72, seguita dagli altri stati membri. L’elezione di Pavel rinforza quindi la posizione della Repubblica ceca nell’alleanza atlantica e rappresenta l’ennesimo segnale negativo per Mosca.
Note
[1] «Repubblica ceca: Pavel vince le presidenziali», ansa.it
[2] «Repubblica Ceca, l’ex generale Petr Pavel vince le presidenziali», repubblica.it
[3] O. SOJKA, «A Praga presidenziali senza sinistra e con la guerra in Ucraina di mezzo», ilmanifesto.it
[4] Ibidem
[5] Ibidem
[6] Ibidem
Foto copertina: Al ballottaggio del 27 e 28 gennaio per le elezioni presidenziali della Repubblica ceca è stato eletto l’ex generale Petr Pavel