Intervista all’onorevole di FDI Giovanni Donzelli, vicepresidente del Copasir, sui primi cento giorni del Governo Meloni tra politica interna e proiezione internazionale.
Giovanni Donzelli, toscano, classe 1975, è uno dei più stretti collaboratori della Premier Giorgia Meloni. Ha militato da giovane nel Fronte Universitario d’Azione Nazionale del Movimento Sociale Italiano, divenendo in seguito presidente nazionale di Azione Universitaria. Deputato dal 2018, è attualmente vicepresidente del Comitato Parlamentare per la Sicurezza della Repubblica e segretario dell’Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati. Di recente nominato commissario del Circolo romano di Fratelli d’Italia in vista delle prossime Elezioni regionali nel Lazio, lo abbiamo incontrato in via della Scrofa per dialogare sulle principali questioni di attualità politica e geopolitica, a quattro mesi dall’insediamento del Governo Meloni e ad un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina.
Onorevole Donzelli, innanzitutto potrebbe spiegare ai nostri lettori che cos’è il Copasir e di cosa si occupa?
Il Copasir è il comitato parlamentare che ha la funzione di controllare i servizi segreti. Esistono organi di questo genere in tutto il mondo (ad esempio, il nostro omologo negli USA deve addirittura autorizzare le singole missioni ed esaminare i bilanci nel dettaglio), ma in Italia si tratta di un controllo meno stringente: abbiamo l’obbligo di segretezza e riservatezza, abbiamo accesso quasi illimitato alle informazioni e nessuno può rifiutarsi di essere ascoltato da noi. Ci sono però anche delle limitazioni (ad esempio non possiamo contattare i singoli agenti, ma soltanto i direttori dell’Agenzia): si tratta di un rapporto molto istituzionale, insomma.
Passando al fronte interno, sono trascorsi ormai quasi quattro masi dall’insediamento del Governo. Come valuta l’azione dell’Esecutivo fino ad ora? C’era qualcosa che poteva essere fatto meglio?
Sinceramente no. Ci sarà nel tempo, ma Giorgia Meloni ha avuto la capacità di ribaltare qualsiasi pronostico: se torniamo indietro di qualche mese, stando a quanto si sosteneva, non avremmo mai vinto le elezioni; se anche le avessimo vinte, Berlusconi e Salvini non avrebbero mai accettato che fosse lei il nome da fare al Quirinale; in ogni caso, il Quirinale non avrebbe mai accettato Giorgia Meloni come Premier; se poi fossimo arrivati per qualche strano motivo al Governo, ci sarebbe stato il rifiuto dell’Europa e saremmo stati isolati nel mondo intero, con i mercati che sarebbero crollati già alla prima Finanziaria. In realtà, ovviamente, è tutto smentito: il Governo è stato fatto, c’è unità tra gli alleati, la Finanziaria è stata approvata ed è stata bene accolta in Europa e l’Italia non ha mai avuto relazioni internazionali così forti come in questo momento.
I partner di Governo sono tutti d’accordo con la decisione di Fratelli d’Italia di schierarsi convintamente al fianco dell’Alleanza Atlantica?
Sì, i partiti sono tutti compatti sul punto. Non c’è un solo voto sulla questione in cui da parte di Lega, Forza Italia e Noi moderati ci sia stata una scollatura: abbiamo sempre votato compatti, non solo su questioni di politica estera ma anche su tutte le altre questioni. C’è stato solo un voto a titolo personale del Capogruppo al Senato di FI Licia Ronzulli sulla vicenda dei vaccini, ma per il resto c’è grande compattezza, sia in Consiglio dei Ministri che in Parlamento. Sinceramente da questo punto di vista c’è grande unità anche da parte dei partiti esterni alla maggioranza, ad eccezione del Movimento 5 stelle e dei partiti a sinistra del Partito Democratico, che hanno posizioni diverse: per il resto l’Italia sta mantenendo la schiena dritta in politica estera.
Come definirebbe dunque il legame con gli alleati?
Solido e forte. Non mi illudo: arriveranno anche momenti di difficoltà nel governo, nei partiti, tra i partiti, momenti di distanza per così dire, ma è normale; li affronteremo con la serenità di chi sa che sarà giudicato tra cinque anni dagli elettori.
Dagli ultimi sondaggi FdI si attesta intorno al 30% dei consensi. È segno che gli italiani hanno approvato la legge di bilancio?
È segno che gli italiani sono molto più maturi di quanto sperino i nostri oppositori istituzionali: gli italiani hanno capito benissimo che in questo momento storico la nostra manovra di bilancio è un miracolo di stabilità. Lo hanno capito anche i mercati, che dovevano essere i nostri nemici secondo qualcuno, eppure la Borsa italiana ha registrato l’incremento maggiore degli ultimi anni, da quando si è insediato il Governo Meloni: hanno percepito la stabilità, che mancava alla politica italiana, con Governi sempre di passaggio.
Il nostro Governo, invece, sta dimostrando che qualsiasi scelta viene fatta con lungimiranza: e questo è ciò che vogliono gli italiani. Anche qui, però, non ci illudiamo: i sondaggi potranno anche scendere, ma noi non stiamo facendo nessuna scelta politica guardando ai sondaggi. Gli italiani ci stanno chiedendo di decidere pensando al futuro, il che comporterà, a volte, anche delle decisioni che nell’immediato non sono popolari ma che sul lungo periodo servono all’Italia.
Come la scelta sulle accise…
Sì, o anche quella sul Reddito di Cittadinanza, che in alcune zone è popolare in altre meno. Per quanto riguarda le accise, poi, va chiarito che noi non le abbiamo aumentate, ma le hanno aumentate i governi precedenti; semplicemente non abbiamo prolungato lo sconto previsto dal Governo precedente già in scadenza. Nonostante il racconto fatto dagli oppositori-legittimo, per carità- il costo della benzina in questo momento è, mediamente, €1,80, €1,815, mentre anche con lo sconto aveva raggiunto prezzi maggiori (a luglio ed agosto aveva sfiorato i €2,00)…
Come mai i gestori dei distributori non sono stati convinti di questa scelta, a tal punto da indire uno sciopero?
La questione è che noi tutti vorremmo diminuire le accise, ma abbiamo ereditato una situazione economica non facile: le cose le faremo, ma nei cinque anni. È comprensibile che vi siano delle richieste: lo faremo e ci lavoreremo. Quello che non serve all’Italia, però, sono le misure spot, cioè gli interventi fatti nell’immediato per avere i like su Facebook, che hanno distrutto l’economia italiana.
Servono in alcuni casi anche le misure d’emergenza ma con la consapevolezza che si tratta di misure temporanee. L’intervento del Governo precedente sulle accise serviva, certamente: era una situazione d’emergenza e le misure d’emergenza devono essere temporanee, altrimenti non si riesce a governare questa Nazione.
Altra decisione impopolare è quella che ha portato all’eliminazione della norma, prevista inizialmente nella Legge di bilancio, che avrebbe eliminato l’obbligo di utilizzo del POS per i pagamenti al di sotto dei 30 euro. Come mai è stata scelta questa strada?
L’abbiamo eliminata perché c’era un problema oggettivo con l’Europa, e noi abbiamo preferito tenere aperta una trattativa con Bruxelles seria e serrata su altri temi (gestione dei fondi derivanti dal PNRR, controllo dei confini europei…). Per la prima volta il Governo italiano si muove in Europa con rispetto ma con determinazione: aprire una frattura su questo tema lo abbiamo reputato meno fondamentale che su altri temi. Abbiamo già aperto, comunque, una trattativa con le banche per non fa gravare le commissioni sui commercianti; se non ci riusciremo, troveremo comunque un modo a livello nazionale per evitare che sia il commerciante a subire questa conseguenza. Nel tempo riproporremo il tema anche con l’Europa.
Lei è vicepresidente del Copasir, e certamente la sicurezza della Repubblica passa anche attraverso l’efficienza delle nostre forze armate. Qualche settimana fa il Presidente del Senato La Russa aveva anticipato la presentazione di una proposta di legge per reintrodurre una mini-naja di quaranta giorni, volontaria. C’è già qualcosa di concreto in merito?
La proposta di legge verrà depositata e andrà avanti. Naturalmente essa è volta ad educare i ragazzi, permettendo loro di dare una mano alla Nazione, per riavvicinarli al senso del dovere ed anche al senso di appartenenza e, al tempo stesso, si vuole anche riavvicinare le Forze Armate ai nostri giovani. Certamente non è con la mini-naja che si rafforza l’esercito, ma è un modo per avvicinare i ragazzi a questi valori.
Restando sulla questione militare: continueremo ad armare Kiev?
Sì
Fino a che punto?
Fino a che sarà necessario, e si sta confermando una scelta giusta. L’obiettivo è arrivare alla pace, per la quale però è necessario che le due forze in campo siano in equilibrio: se l’Occidente domani dovesse smettere di inviare armi in Ucraina, non ci sarebbe un equilibrio ma una netta sproporzione e, dunque, non sarebbe possibile una pace. Ovviamente servono tante cose per sedersi ad un tavolo di pace: naturalmente serve soprattutto che l’Ucraina riesca a difendersi il più possibile.
Come risponde l’UE, invece, alla linea dell’Esecutivo in tema di immigrazione?
L’Europa deve comprendere che è necessario per tutti, non solo per l’Italia, difendere i propri confini esterni.
La logica della ridistribuzione è intanto sbagliata concettualmente, poi rischia di tenere l’Europa sotto ricatto (si pensi alla Bielorussia quando ricattava la Polonia pressando con i migranti, alla Turchia che più volte ha ricattato l’Europa tramite la via balcanica). Non ha niente di umano l’idea che siano utilizzati esseri umani come proiettili per ricattare l’Europa: a tutela anche degli stessi migranti è necessario difendere bene i confini europei e prevedere la possibilità di richiesta d’asilo tramite le ambasciate e i consolati in tutto il mondo, così che chi ha diritto venga accolto e magari portato in Europa anche in modo civile, con dei percorsi umanitari.
Al tempo stesso dovremmo lavorare seriamente per aiutare le Nazioni in via di sviluppo ad avere un’autonomia economica e questo sarebbe importante non solo dal punto di vista umanitario, ma anche geopolitico: oggi Nazioni come la Russia o la Cina stanno investendo molto in Africa. Non si tratta di neocolonialismo, ma di aiuto allo sviluppo e all’indipendenza dell’Africa: questa dovrebbe essere la politica lungimirante dell’Europa.
Per quanto riguarda il rischio jihadista, secondo Lei come mai in Italia non si è verificato alcun attentato di questo tipo a differenza di altri Stati europei? È grazie alla bravura della nostra Intelligence?
Sicuramente abbiamo una buona Intelligence, siamo molto bravi. C’è però anche un ritardo nell’immigrazione: gli Stati che hanno avuto in Europa i principali attacchi hanno subito fortissime pressioni migratorie prima di noi, quindi hanno già seconde e terze generazioni molto più numerose di quelle che abbiamo noi in Italia. In Italia, per ora, c’è meno terreno fertile per il reclutamento diretto e, da questo punto di vista, è più utile operare sul piano sociale che attraverso l’Intelligence. Gli estremismi religiosi hanno terreno fertile dove manca l’integrazione, dove ci sono forti disagi sociali, e questo rende evidente il fallimento della teoria del multiculturalismo forzato (si pensi agli Stati Uniti o alla Francia).
Resta caldo anche il dossier russo. In quest’anno di guerra sono stati numerosi i diplomatici russi espulsi anche dal nostro Paese, come da altri Paesi europei. Quanto è concreto il rischio di infiltrazione (e di influenza) dei servizi segreti russi sugli Stati europei?
È un rischio concreto, ma non solo da parte russa: sono molte le Nazioni che utilizzano i servizi per tentare di condizionare le nostre scelte politiche (si veda la vicenda del Qatar). La sfida vera è quella sulla Cyber-sicurezza: ovviamente oggi è più difficile immaginare l’agente segreto con il cappello, gli occhiali scuri ed il giornale bucato che controlla i movimenti nei palazzi del governo, poiché è tramite i sistemi informatici che si riesce a condizionare le scelte degli Stati-oltre al tema del condizionamento dei media tramite i social. Le nuove frontiere della sicurezza nazionale sono queste.
Quali contromisure potremmo usare per proteggere la Nazione da questi rischi?
L’Italia sta investendo su questo, è stata anche creata l’agenzia sulla Cyber-sicurezza che sta crescendo e sta lavorando molto bene. Abbiamo grandi capacità da questo punto di vista. Da sempre uno dei nostri punti di forza è stato il genio italiano e anche in questo settore abbiamo persone molto valide che lavorano molto bene. È importante che si incoraggino anche le nuove generazioni a scegliere materie scientifiche, informatiche, tecnologiche… mi permetto, anche tramite la vostra rivista, di fare un appello ai ragazzi che decidono quale facoltà scegliere: pensateci bene, che oggi come oggi è una scelta importante.
L’Italia sta mantenendo una posizione di equidistanza nella crisi del Caucaso: come mai la scelta, in questo caso, è stata diversa da quella effettuata per la crisi Ucraina?
Noi vogliamo avere un approccio in politica estera molto pragmatico e poco ideologico: vogliamo difendere gli interessi nazionali prima di tutto. L’attacco della Russia all’Ucraina ha preoccupato di più perché si è trattato del tentativo di modificare l’assetto economico globale, di mettere in discussione il nostro modo di vivere, di sovvertire la libertà conquistata dall’Occidente. Naturalmente dobbiamo attenzionare tutte le crisi, compresa quella del Caucaso, che però ha meno ripercussioni sugli interessi nazionali. Naturalmente, entrambe le questioni hanno la loro gravità. Così come la crisi nei Balcani, rispetto alla quale c’è molta attenzione da parte del Governo italiano.
E per quanto riguarda la Libia?
La questione libica dimostra quanto sarebbe importante avere una linea di politica estera comune: abbiamo un’Europa che si impunta sul Nutriscore e sulla farina di grilli ma rischia di non avere una politica estera comune in Libia, ad esempio.
Intervista realizzata in data 12 gennaio 2023