Il 26 gennaio la Corte Internazionale di Giustizia ha emesso il suo ordine sulle misure provvisorie per il caso Sud Africa v. Israele. In breve, la Corte ha sentenziato che ci sono prove sufficienti a ritenere plausibile la violazione della Convenzione sul Genocidio. Come prevedibile, la Corte non ha invece ordinato a Israele di interrompere le operazioni militari, al contrario di quanto aveva fatto per la Russia.
Plausibilità di violazione
Nel caso presentato davanti alla Corte Internazionale di Giustizia il 29 dicembre, il Sudafrica aveva accusato Israele di violare la Convenzione sul Genocidio e di voler distruggere una “parte sostanziale del gruppo nazionale, razziale ed etnico palestinese”[1]. Pretoria aveva dunque chiesto misure provvisorie per evitare un peggioramento della situazione umanitaria a Gaza, incluso un cessate il fuoco.
Nell’ordine promulgato venerdì 26 gennaio, la Corte ha confermato il diritto del Sudafrica di portare Israele in tribunale, nonostante lo stato africano non sia parte del conflitto. Questo perché gli obblighi che derivano dalla Convenzione sul Genocidio sono erga omnes (par. 33), nel senso che ogni stato ha interesse che vengano rispettati.
La giurisdizione della Corte si basa sull’articolo 9 della Convenzione sul Genocidio, che dice che la Corte può decidere su questioni di interpretazione, applicazione o adempimento della Convenzione. Questo significa che la Corte non ha giurisdizione su altri tipi di crimini potenzialmente commessi da Israele, come crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
Come specificato dall’articolo 2 della Convenzione, per genocidio si intende “ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: uccisione di membri del gruppo, lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo, sottoposizione deliberata del gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale, misure miranti ad impedire nascite all’interno del gruppo, trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro”.
In questa prima fase del processo, la Corte non doveva decidere se ci sia stata una violazione della Convenzione da parte di Israele, ma solo se è plausibile che ci sia stata (par. 36).
Come ricordato dalla Corte, le operazioni militari di Israele hanno portato alla morte di almeno 25.700 palestinesi. L’ampia distruzione di Gaza basta a costituire una condotta che può potenzialmente costituire genocidio. Tuttavia, un alto numero di morti e devastazioni non è sufficiente per definire le azioni di Israele un genocidio. Infatti, la questione fondamentale è se le azioni portate avanti da Israele a Gaza siano state compiute con l’intenzione di distruggere il popolo nazionale, etnico e razziale palestinese, in parte o totalmente. È la questione dell’intenzione a essere determinante, sia per le misure provvisorie sia per la decisione finale.[2]
Per decidere sull’ammissibilità del caso portato da Pretoria e sul tipo di misure provvisorie da imporre, la Corte ha dunque investigato se sia plausibile l’esistenza di questa intenzione genocida da parte di Israele. Per farlo, la Corte si è basata sulle parole e i discorsi fatti da ufficiali israeliani, che potevano essere plausibilmente interpretati come una prova di questa intenzione di genocidio. La Corte non fa un’analisi dettagliata delle frasi riportate, dato che questa è una questione che si discuterà soprattutto nei meriti. La Corte ha dato un giudizio complessivo, ritenendo che le parole usate dagli ufficiali israeliani possano plausibilmente indicare un’intenzione di genocidio. Questo non significa che la Corte ritiene Israele colpevole, ma semplicemente ritiene che i fatti e le parole utilizzate siano abbastanza preoccupanti dal rendere necessarie misure provvisorie.
La Corte ha incluso varie frasi, tra cui quelle del ministro della difesa israeliano Gallant sull’imposizione di un assedio a Gaza (par. 52), le parole del presidente israeliano Herzog sul rispetto da parte di Tel Aviv del diritto internazionale e sul coinvolgimento dei civili palestinesi, e del ministro dell’energia Katz sulla guerra ad Hamas. Non ha però incluso il famoso discorso di Netanyahu sullo scontro tra bene e male.
Tenendo in considerazione la devastazione di Gaza, le parole degli ufficiali israeliani, e le preoccupazioni di esperti indipendenti e organi dell’Onu, la Corte ha concluso che i fatti e le circostanze siano sufficienti a ritenere che alcune delle disposizioni della Convenzione sul Genocidio possano essere violate. Successivamente, la Corte connette la plausibilità delle violazioni della Convenzione ad alcune delle richieste di misure provvisorie del Sudafrica, imponendo a Israele le seguenti: prendere tutte le misure in suo potere per prevenire atti di genocidio, impedire all’esercito di mettere in atto azioni di genocidio, impedire e punire tutte le forme di incitamento ad atti di genocidio, assicurare l’accesso all’assistenza umanitaria, preservare le prove di un eventuale genocidio che potrebbero essere usate durante il processo.
Le misure imposte dalla corte sono simili a quelle del caso Gambia v. Myanmar del 2019 sul genocidio dei Rohingya. Ci sono alcune differenze: la richiesta a Israele di prendere tutte le misure per prevenire e punire gli incitamenti pubblici al genocidio è più esplicita, così come lo è la richiesta che Israele implementi immediate misure per l’assistenza umanitaria, e infine il tempo dato a Israele per riportare alla Corte è più corto, un solo mese.
Cessate il fuoco
La Corte non ha ordinato quella che sarebbe stata la misura provvisoria più importante, ovvero la richiesta a Israele di cessare le operazioni belliche. Le differenze con Ukraine v. Russia, dove questa richiesta vi è stata, sono rilevanti, e a livello legale era prevedibile che la Corte non ordinasse questo tipo di misura.
La Corte ha l’autorità di imporre misure provvisorie sulla base dell’articolo 41 del suo Statuto. Lo Statuto è parte integrale della Carta delle Nazioni Unite, come enfatizzato dall’articolo 92. L’articolo 51, la base giuridica del diritto all’autodifesa, recita che “nessuna disposizione della presente Carta pregiudica il diritto naturale di autodifesa individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale.” È dunque evidente che l’autorità della Corte di indicare misure provvisorie non può invalidare il diritto di autodifesa riconosciuto dall’articolo 51.[3] La questione sarebbe dunque se Israele abbia il diritto all’autodifesa o no. Nel caso in cui Israele avesse il diritto di usare la forza per difendersi dopo l’attacco del 7 ottobre, la Corte non potrebbe bloccare le operazioni belliche. Questa è però una questione aperta, e la risposta non è facile da dare.
Il diritto di autodifesa è un’eccezione della generale proibizione dell’uso della forza contenuta nell’articolo 2.4 della Carta delle Nazioni Unite. Questo significa che Israele può legalmente usare la forza contro lo Stato palestinese solo nel caso in cui si stia difendendo da un attacco armato di quest’ultimo. Perché Israele possa avere riconosciuto il diritto all’autodifesa, servirebbe che le azioni di Hamas siano considerate come un’azione dello Stato palestinese, e che quest’ultimo venga riconosciuto come tale. Ad oggi, l’Onu e la maggior parte della comunità internazionale riconosce l’esistenza di uno Stato palestinese, ma non è chiaro se Hamas sia un rappresentante di esso o no. Se le azioni di Hamas fossero associabili allo Stato palestinese, Israele avrebbe senza dubbio diritto di autodifesa a seguito del 7 ottobre. Se invece Hamas fosse considerato un gruppo non-governativo, non associabile a uno Stato ai sensi del diritto sulla responsabilità, allora Israele potrebbe godere di un diritto di autodifesa solo nel caso in cui si considerasse un attacco armato condotto da un gruppo non-governativo come un attacco armato ai sensi dell’articolo 51. Questo non è chiaro e c’è molto dibattito tra gli esperti, ma l’opinione emergente sembra essere che gli attori non-governativi possano compiere attacchi armati ai sensi dell’articolo 51. Esempi di questo tipo di interpretazione sono l’uso della forza da parte degli Stati Uniti in Afghanistan post 9/11, ma anche i più recenti attacchi iraniani in Iraq e Pakistan. Dunque, potrebbe essere che, pur considerando Hamas un gruppo non-governativo, Israele abbia il diritto all’autodifesa. Lo stesso Sudafrica ha riconosciuto che Israele ha lanciato una campagna militare in risposta a un “attacco”, e numerosi stati hanno affermato il diritto di Israele all’autodifesa, benché questo non sia assoluto, date le limitazioni in termini di proporzionalità e necessità.
La Corte, quindi, preferisce evitare una questione così complessa e controversa come il diritto di autodifesa di Israele, anche perché non verrà riproposta nei meriti.
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Una parziale vittoria del diritto internazionale
La Corte conclude reiterando che tutte le parti coinvolte nel conflitto, dunque sia Israele che Hamas, devono rispettare il diritto umanitario, e chiedendo il rilascio degli ostaggi a Gaza.
Nonostante la mancanza di un ordine di cessare il fuoco, la Corte ha mandato un messaggio forte alla comunità internazionale, soprattutto perché nella maggior parte delle misure provvisorie la Corte è stata quasi unanime. Inoltre, l’Onu, i suoi organi, gli esperti e le agenzie specializzate hanno fornito i fatti sulla base dei quali la Corte ha fondato la sua decisione. Questo è un segnale di unità mandato dalle istituzioni dell’Onu, in un periodo storico in cui sono sotto forte pressione.
Per di più, il fatto che le parole e le azioni di Israele rendano plausibile la violazione della Convenzione sul Genocidio è di per sé rilevante, dato che nessuno stato dovrebbe avvicinarsi a suscitare questo tipo di accusa.[4]
Il Sudafrica ha accolto con favore la sentenza, dichiarandola “una vittoria per il diritto internazionale e un passo importante nella ricerca della giustizia per il popolo palestinese”[5]. Prima della sentenza Netanyahu aveva dichiarato che non si sarebbe sentito vincolato a rispettare un’eventuale decisione sfavorevole. Tuttavia, il peso di una condanna da parte del tribunale sarebbe importante, sia per gli alleati di Tel Aviv, che già ora faticano a giustificare il supporto alle operazioni israeliane a Gaza, sia per Israele stesso, da nazione che è nata dopo un genocidio. Infatti, sembra che gli ufficiali israeliani siano adesso più attenti a distinguere Hamas dal popolo palestinese. Nel commentare la decisione della Corte, Netanyahu ha dichiarato che l’impegno di Israele nei confronti del diritto internazionale è incrollabile e che la guerra di Israele è contro Hamas, non contro i civili palestinesi.
Per la decisione finale sulle violazioni da parte di Israele della Convenzione sul Genocidio ci vorranno anni, e la Corte non ha potere di enforcement delle sue decisioni. Nonostante ciò, la pressione su Israele e alleati è sempre più forte, soprattutto su un’amministrazione Biden in anno di elezioni. Il recente rigetto da parte di Netanyahu della two states solution è stato poco apprezzato a Washington[6], dopo che Biden aveva ribadito che la costituzione di uno stato palestinese è l’unica via per la pace. A questo proposito, la recente sentenza della Corte potrebbe essere utile a Washington per forzare la mano di Israele e indirizzarla verso la fine delle operazioni militari e una soluzione politica duratura.[7]
Note
[1] “South Africa Presents Genocide Case Against Israel in Court”, Alexandra Sharp, foreignpolicy.com
[2] “ICJ Indicates Provisional Measures in South Africa v. Israel”, Marko Milanovic ejiltalk.org
[3] “Why the ICJ Cannot Order Israel to Stop the War in Gaza as a Provisional Measure”, Jesse Lempel, ejiltalk.org
[4] “Speaking the Law, Plausibly: The International Court of Justice on Gaza”, Nico Krisch, ejiltalk.org
[5] “La Corte internazionale di giustizia ordina a Israele di prevenire atti di genocidio a Gaza”, internazionale.it
[6] “Netanyahu again rejects Palestinian sovereignty amid fresh US push for two-state solution”, edition.cnn.com
[7] “The ICJ Ruling’s Hidden Diplomacy”, David Kaye, foreignaffairs.com
Foto copertina: Plausibilità di genocidio ma non cessate il fuoco, le misure provvisorie in Sud Africa v. Israele