All’inizio del 2020, il continente africano sembrava essersi avviato verso un periodo di crescita economica, ma non aveva fatto i conti con il Covid-19, le conseguenze della guerra in Ucraina e la siccità.
All’inizio del 2020, il continente africano sembrava essersi avviato verso un periodo di crescita economica esponenziale, supportato dalla creazione dell’AfCFTA[1], dal nuovo ruolo geopolitico che l’Africa si stava ritagliando, dall’ampia diffusione di innovazioni digitali e dalla speranza in transizioni democratiche. Analisti, giornalisti, diplomatici, Capi di Stato, imprenditori, il coro era unanime: “il futuro si chiama Africa”.
Chiaramente nessuno di loro poteva neanche minimamente immaginare una serie di eventi che stanno mettendo in discussione gli entusiastici proclami: pandemia e guerra in Ucraina.
Sebbene la pandemia[2] abbia relativamente risparmiato la popolazione africana rispetto agli altri continenti, l’Africa, dopo 25 anni, è entrata in recessione, la violenza e i conflitti sono aumentati rapidamente nel corso della pandemia, le misure imposte alle frontiere e le restrizioni ai viaggi per contenere la propagazione del Covid-19 hanno messo a rischio i progressi dell’integrazione economica e commerciale. Inoltre, la democratizzazione e lo Stato di diritto sono stati frenati in alcuni paesi dove le misure di contenimento sono state applicate con l’uso della forza e abusi di potere. Mali (agosto 2020), Ciad (aprile del 2021), di nuovo in Mali (aprile del 2021), Guinea – Bissau (settembre 2021), Sudan (ottobre 2021) e Burkina Faso (gennaio 2022), l’elenco dei golpe che si sono verificati negli ultimi due anni. Le motivazioni che hanno portato a questi colpi di Stato sono molteplici, realtà economiche e sociali drammatiche si accavallano a insoddisfazioni ed egoismi e voglia di potere da parte di gruppi e fazioni spesso sollecitati e sostenuti dall’estero. Un mix esplosivo che può generare effetti a catena. Ma se vogliamo, il Covid era nulla rispetto agli sconvolgimenti che il continente africano vive e vivrà come effetto “collaterale” della guerra in Ucraina. Partiamo dal grano. Ucraina e Russia insieme producono circa il 35% del grano mondiale, in media i paesi africani importano circa il 40% del loro fabbisogno proprio da Russia e Ucraina, ma paesi come Ruanda, Tanzania e Senegal arrivano al 60%, l’Egitto all’80%. In una situazione di conflitto come quella attuale dove la produzione è drasticamente calata e i porti da dove partivano i carichi sono bloccati, l’effetto immediato, oltre all’aumento dei prezzi, è la difficoltà per non dire l’impossibilità di ricevere forniture di grano. E lo stesso vale per i fertilizzanti. Un colpo durissimo. La FAO continua a lanciare allarmanti appelli, il 2023 rischia di essere l’anno della carestia. Ci sono più di 14 milioni di persone sono sull’orlo della fame, cifra che sale a 40 milioni in Africa occidentale. Si cercano soluzioni. Secondo quanto riportato dal quotidiano “Il Manifesto” il 2 giugno scorso, l’Egitto ha effettuato il suo più grande acquisto di grano dallo scoppio del conflitto in Ucraina, 465.000 tonnellate provenienti da Russia, Romania e Bulgaria al costo di 480 dollari la tonnellata, un aumento del 41% rispetto all’ultimo acquisto, effettuato prima dell’invasione russa. Il giorno prima, il governo del Cairo ha annunciato il divieto di commercio di grano da parte di terzi fino almeno alla fine di agosto, una decisione volta a controllare completamente il mercato. Inoltre, secondo un documento della Banca Mondiale, l’Egitto avrà accesso a oltre 600 milioni di dollari messi a disposizione dalla stessa Banca e dall’Unione europea per migliorare il suo sistema di stoccaggio e sostenere gli acquisti di grano. L’ultima settimana di maggio, Il Cairo ha ottenuto il raddoppio del suo limite di credito, salito a 6 miliardi di dollari, presso la International Islamic Trade Finance Corporation con sede in Arabia Saudita, fondi che il governo vorrebbe utilizzare per mitigare la crisi alimentare[3]. Ma è chiaro che il passo avanti fatto dall’Egitto non può essere una soluzione, serve una risposta comune. A questo proposito il presidente del Senegal e dell’Unione Africana Macky Sall e il presidente della Commissione dell’Unione Africana Moussa Faki Mahamat, sono andati in Russia, sul Mar Nero, per incontrare il presidente russo Vladimir Putin. Una tentativo disperato per convincere Putin a sbloccare i porti salvare il salvabile. Ed è bastato il via libera di Putin per far tornare i prezzi mondiali del grano sugli stessi livelli di due mesi fa. Alla chiusura settimanale del Chicago Board of trade dove il grano sul mercato future è stato quotato 10,4 dollari per bushel (27,2 chili) e con una riduzione del 10% in tre giorni è tornato sui valori di inizio di aprile. Un assist importante per Mosca che rafforza in questo modo la sua presenza in Africa[4]. Dal grano ai vaccini, dal supporto logistico alla presenza militare, la Russia sta penetrando nel continente africano come una lama nel burro.
L’Africa si trova in una situazione molto scomoda, al centro dello scontro tra Occidente e Russia, preso nella tenaglia tra le due parti, in un solo colpo sembra essere tornati indietro ai tempi della Guerra Fredda quando il terreno di battaglia tra le super Potenze era proprio l’Africa. Il segnale forte di questa difficoltà è arrivato durante il voto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite dello scorso marzo. La risoluzione che richiedeva il “ritiro della Russia entro i propri confini” ha visto il voto contrario dell’Eritrea ma anche l’astensione di tanti paesi africani: Angola, Algeria, Burundi, Rep. Centrafricana, Congo, Madagascar, Mali, Namibia, Senegal, Mozambico, Sud Africa, Sud Sudan, Sudan, Uganda, Tanzania, Zimbabwe[5]. Le ragioni per questa scelta potrebbero essere molteplici e diversi tra Stato e Stato, ma sono sempre riconducibili a una necessità, da parte di questi governi, di non compromettere le relazioni bilaterali con il Cremlino. Sudan, Sud Sudan, Mali, Angola, Madagascar, Algeria qui la presenza russa è molto consistente. In Mali, il gruppo Wagner ha soppiantato la storica presenza francese, l’Algeria rappresenta la porta d’ingresso di Putin nel nord Africa. I rapporti tra Mosca ed Algeri sono storici e consolidati.
Ma non si tratta solo di questioni internazionali. L’Africa è attraversata da tensioni che rischiano di far sprofondare il continente verso un recente passato fatto di guerre intestine. Pensiamo a quello che sta accadendo in Nigeria o nella regione dei Grandi Laghi, dove il fantasma delle guerre mondiali africane è tornato a farsi vedere. Il presidente della Repubblica Democratica del Congo Felix Tshisekedi ha accusato il Ruanda di finanziare le milizie M23 presenti nel Nord Kivu che si dichiarano i difensori dell’etnia Tutsi. Ancora Tutsi e Hutu, una ferita che non si è mai del tutto sanata. La regione è già al centro di scontri, e le violenze delle ultime settimane hanno già spinto oltre 72mila persone a lasciare la propria casa, migrando anche verso il vicino Uganda. Secondo la portavoce dell’Unhcr Shabia Mantoo “Almeno 170.000 civili sono stati sfollati, spesso ripetutamente dopo l’escalation dei combattimenti nell’est della RDC a partire dal novembre 2021. L’ultima ondata di violenza ha spinto decine di migliaia di persone dalle loro case in cerca di relativa sicurezza in diverse parti della provincia, tra cui Goma. Solo nell’ultima settimana, secondo quanto riferito, circa 7.000 hanno attraversato la vicina Uganda, un paese che già ospita oltre 1,5 milioni di rifugiati.[6]”. Ma c’è dell’altro, il Corno d’Africa sta vivendo un periodo di siccità senza precedenti. Le Nazioni Unite hanno lanciato un appello per chiedere fondi immediati a sostegno della Regione che comprende Gibuti, Etiopia, Kenya e Somalia. “Siamo fuori tempo. Abbiamo urgente bisogno di soldi per salvare vite” ha detto il sottosegretario agli affari umanitari, Martin Griffiths, in una conferenza stampa a Ginevra, dopo una visita in Kenya. La siccità aumenta le tensioni in un area già molto instabile dalla Somalia al Tigray intere aree sono letteralmente senza acqua, senza bestiame, senza nulla. Il tempo scorre e siamo ancora qui a chiederci quale futuro per l’Africa?
Note
[1] Il Trattato di Libero Commercio Continentale Africano, (in inglese African Continental Free Trade Agreement, abbreviato AfCFTA) è un trattato internazionale che regola l’apertura delle frontiere e la creazione di un’area di libero scambio tra i Paesi africani membri. A luglio 2019 sono 54 i firmatari, e sono già state raggiunte le 22 ratifiche necessarie per l’entrata in vigore dell’accordo. L’unico stato africano a non aver né firmato né ratificato l’accordo è l’Eritrea.
[2] https://www.opiniojuris.it/la-pandemia-in-africa/
[3] https://ilmanifesto.it/mancano-grano-e-fertilizzanti-africa-vittima-della-guerra
[4] https://www.opiniojuris.it/lafrica-parla-russo-la-strategia-di-putin-tra-accordi-commerciali-e-gli-effetti-della-guerra-con-lucraina/
[5] https://www.infodata.ilsole24ore.com/2022/03/05/assemblea-onu-solo-cinque-paesi-la-risoluzione-condanna-dellinvasione-russa/
[6] https://www.unhcr.org/news/briefing/2022/5/629087f94/unhcr-deeply-concerned-renewed-violence-displacing-thousands-north-kivu.html