È ancora possibile salvare il JCPOA?


Rimane poco tempo per salvare il JCPOA e le incognite sono tante. È incerto se la diplomazia possa vincere, questa volta.


Proseguono a Vienna i colloqui indiretti tra Stati Uniti e Iran per provare a salvare il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA) e comunemente noto come “accordo sul nucleare”.
Ripresi a novembre, i colloqui si trovano, attualmente, in una fase di stallo, dalla quale è incerto se si possa uscire. Dopo sei cicli di colloqui tra aprile e giugno 2021, i negoziati sono stati interrotti dalle elezioni presidenziali iraniane, vinte dal fronte ultraconservatore rappresentato da Ebrahim Raisi.
Impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari è una priorità per la politica estera di Biden, ma secondo il Segretario di Stato Antony Blinken bisogna agire subito prima che i progressi sul nucleare raggiunti da Teheran diventano irreversibili.[1]

Cosa rende così complicato un possibile ritorno al JCPOA?

La situazione dal 2015 ad oggi è fortemente mutata.
Joe Biden è intenzionato a tornare all’accordo originale, o addirittura stipularne un altro ancora più duraturo, ma non ha espresso l’intenzione di sollevare le sanzioni imposte dalla presidenza Trump, condizione essenziale per la Repubblica Islamica affinché si possa ritornare all’accordo.
Oltre a ciò, occorre tener conto che le negoziazioni tra Stati Uniti ed Iran stanno avvenendo in maniera indirette: il leader supremo iraniano ha vietato un dialogo diretto con la controparte statunitense, aspetto che, inevitabilmente, rende il processo più lento e più difficile e costringe i rappresentanti europei a fare da mediatori.
In secondo luogo, l’Iran ha aumentato il suo stoccaggio di uranio arricchito del 60%, riducendo i tempi di costruzione di una bomba nucleare da un anno (tempo stimato nel 2015) a pochi mesi, o addirittura settimane[2]; sussistono, però, ancora degli ostacoli  per produrre delle armi in maniera effettiva.
Nel 2019, un anno dopo l’abbandono unilaterale di Trump e la creazione di INSTEX, il meccanismo europeo ideato per bypassare le sanzioni e continuare le transazioni economiche con l’Iran, quest’ultimo ha iniziato a non ottemperare agli obblighi previsti dall’accordo. Il programma nucleare iraniano ha subito un’accelerazione dal 2020, in particolare a seguito di due eventi: l’uccisione di Mohsen Fakhrizadeh, importante scienziato iraniano e figura fondamentale per il programma nucleare, la cui diretta conseguenza è stato l’incremento della produzione di uranio arricchito[3];  il sabotaggio contro la centrale nucleare di Natanz [4], fulcro del programma, e dietro il quale pare ci fosse la longa manus israeliana.
Il governo iraniano ha anche ridotto la cooperazione con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, al punto che gli ispettori internazionali non sono più in grado di condurre complete attività di verifica e monitoraggio del programma iraniano. [5]
In aggiunta a questa non così rosea situazione, a Teheran il governo è cambiato. Il governo di Rouhani, ancora in carica nei primi cinque mesi dell’amministrazione Biden, ha cercato di riabilitare l’accordo, con grande sforzo, per non lasciare come sua maggiore eredità un accordo ormai morente e un’economia in declino. E, seppur timidi, alcuni miglioramenti sono stati raggiunti.
Con le elezioni di giugno, il fronte ultraconservatore ha ottenuto la vittoria. Il nuovo presidente Ebrahim Raisi, al contrario del suo predecessore Rouhani, sostiene una linea di confronto con gli Stati Uniti e non di cooperazione. D’altronde, il ministro degli esteri, Hossein Amir-Abdollahian, e il nuovo negoziatore per il nucleare, Ali Bagheri Kani, entrambi facenti parte della cosiddetta linea dura, hanno più volte ribadito che salvare il JPCOA e il ritorno all’accordo non costituisce una priorità per l’agenda iraniana, soprattutto se non si ha la garanzia dell’eliminazione di tutte le sanzioni, anche quelle successivamente imposte da Trump. Quest’ultimo, infatti, come parte integrante della campagna di “massima pressione”, aveva reintrodotto le sanzioni secondarie e sanzioni addizionali, facendo precipitare l’economia iraniana.
D’altra parte, nemmeno Biden può garantire che il suo successore alla presidenza non uscirà nuovamente dall’accordo. Gli Stati Uniti hanno perso credibilità come partner affidabile ed è necessario costruire un minimo di fiducia tra i due interlocutori affinché i negoziati abbiano successo. E non va sottovalutato la forte divisione all’interno del Congresso, persino nel fronte democratico, che non dimostra compattezza nella volontà di ritornare all’accordo e vorrebbe una posizione negoziale più rigida

Perché conta ancora salvare il JPCOA?

Il ritorno ad un accordo sarebbe auspicabile sia per gli Stati Uniti sia per l’Iran.  Per il primo, un ritorno alla via diplomatica significherebbe distendere i rapporti con la Repubblica Islamica ed allontanare questa dalle “grinfie” cinesi. La strategia iraniana del “guardare ad est” ha portato ad un accordo di cooperazione strategia di 25 anni con la Repubblica cinese con cui si accresce la cooperazione politica ed economica tra i due paesi.
Per il secondo, significherebbe uscire dall’isolamento politico ed economico degli ultimi anni. Tuttavia, l’attuale governo di ultraconservatori e personalità politiche contrarie alla cooperazione con l’Occidente, non può aprirsi subito alle richieste degli Stati Uniti, ma cercherà di arrivare al tavolo dei negoziati in una posizione di forza. L’espansione del suo programma nucleare
Ma il blame game in cui le parti sono impegnate non è funzionale per superare l’attuale situazione di impasse nei negoziati e contribuisce a far passare il tempo e a rendere la rinegoziazione di un accordo più improbabile.
Se la negoziazione fallirà, ci sarà il rischio di una escalation: la Repubblica iraniana continuerà a potenziare il suo programma nucleare ci sarà più instabilità nella regione tra l’Iran, le numerose milizie sparse nella regione, Israele e gli alleati degli Stati Uniti.
All’interno di questo quadro è da tener conto la cyber war in atto tra Iran ed Israele, che da mesi si stanno attaccando. Non è da escludere che potrebbe facilmente degenerare dal momento che gli attacchi cyber implicano un alto livello di incertezza e, di conseguenza, errori di calcolo.
Per Israele, l’Iran è una minaccia esistenziale e i leader israeliani stanno facendo il possibile per delegittimare e distruggere ogni tentativo diplomatico che possa riabilitare l’accordo del 2015.
Non è ancora tutto perduto, ma il tempo stringe e l’Iran continuerà a sviluppare il suo programma nucleare per acquisire maggiore vantaggio nelle negoziazioni. Più passa il tempo, più il raggiungimento di un accordo appare improbabile.


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Note

[1] https://www.aljazeera.com/news/2022/1/14/us-blinken-says-only-few-weeks-left-to-save-iran-nuclear-deal
[2] https://www.agi.it/estero/news/2021-08-04/allarme-israele-iran-vicino-atomica-13485608/
[3] Iranian Labour News Agency, The full text of Iranian parliament’s strategic action plan to lift sanctions revealed, 02 dicembre 2020, al link: https://www.ilna.news/Section-politics-3/1004510-the-full-text-of-iranian-parliament-strategic-action-plan-to-lift-sanctions-revealed
[4] https://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2021/04/12/israele-e-coinvolto-nel-sabotaggio-del-complesso-iranaiano-di-natanz_8a608464-9428-4fdf-b540-2ffd71496bcb.html
[5] Verification and Monitoring in the Islamic Republic of Iran in light of United Nations Security Council resolution 2231 https://www.iaea.org/sites/default/files/21/11/gov2021-51.pdf


Foto copertina: Bandiera dell’Iran