Sicurezza energetica: la prospettiva europea e il ruolo dell’Italia


Diversificazione, infrastrutture, competitività: da De Gasperi a Draghi, passando per Mattei, l’Italia riveste un ruolo centrale nel campo della sicurezza energetica dell’Europa. A fronte di terremoti geopolitici e competizione globale per le risorse, Roma e Bruxelles devono aspirare al coordinamento di una visione comune per rendere l’Europa protagonista nel campo della transizione green, creando campioni in campo tecnologico al fine di sfuggire alla trappola della dipendenza dalle Terre Rare cinesi.


Si è tenuto questa mattina, presso la Fondazione De Gasperi a Roma, il convegno “Energia: impatti geopolitici e riflessi in Italia da De Gasperi a oggi”, organizzato in collaborazione con Enel. Un momento di riflessione sul ruolo e sulle sfide del nostro paese in campo energetico che si è aperto con la presentazione della ricerca “L’energia: storia e impatti geopolitici dal secondo dopoguerra”, realizzata dai prof. Emanuele Bernardi e Silvio Bosetti, in cui è stato posto l’accento sul lavoro iniziato da De Gasperi tra il 1944 e il 1954 nelle trattative per la ripresa delle economie europee nel dopoguerra. La questione energetica è stata infatti il nodo centrale del Piano Marshall, con un impatto significativo sull’intero settore produttivo e industriale italiano. Da De Gasperi a Mattei, fino agli sviluppi più recenti legati alla transizione verde in ambito europeo, il filo conduttore dello sviluppo energetico del nostro paese è la presenza di una chiara visione sulla direzione su cui lavorare in un contesto internazionale costellato da continue tensioni, non da ultimo quelle provocate dalla pandemia di Covid-19 e dall’invasione russa dell’Ucraina. Proprio su quest’ultimo punto, la riduzione improvvisa della dipendenza europea dal gas russo e il sabotaggio del gasdotto Nordstream hanno riportato alla ribalta il tema dell’energia e delle infrastrutture, i quali richiedono lungimiranza da parte delle istituzioni di Bruxelles circa i temi della sicurezza e degli obiettivi in senso green di cui l’Europa si fa paladina globale. Su questi punti ha posto l’accento l’Onorevole Francesco Filini di Fratelli d’Italia: se l’allora Comunità Europea trova la propria base nella Comunità del Carbone e dell’Acciaio, pensata per mettere in comune la capacità produttiva e l’approvvigionamento energetico dopo la seconda guerra mondiale, il mutato contesto internazionale in cui ci muoviamo attualmente non esclude l’ambizione europea di trasformarsi da “nano politico e gigante burocratico” a soggetto capace di proiettarsi sul piano internazionale dal punto di vista politico, geopolitico ma soprattutto industriale e tecnologico. In questo, l’UE è ad oggi ancora un progetto incompiuto: terremoti geopolitici e conflitti pongono dinanzi a necessità di adattamento che richiedono decisi passi in avanti. Primo tra tutti, il piano del Green Deal, che tuttavia risulta – nella visione di alcuni Stati – addirittura troppo ambizioso: uno stop all’impiego di fossili entro il 2035 per convertirsi ad una produzione elettrica non terrebbe infatti conto della realtà, nonché degli attori internazionali con cui ci si andrebbe a confrontare. Prima tra tutti la Cina, che controlla non solo la produzione e il commercio delle batterie, bensì anche l’estrazione delle materie prime che risultano essere fondamentali alle energie rinnovabili. Terre e metalli rari non si trovano solamente in abbondanza sul territorio cinese, ma anche in Africa, in cui la Cina ha consolidato la sua presenza economica anche nel campo dell’estrazione di materie prime destinate alla produzione di smartphone ed apparecchiature elettroniche in uso a livello globale.  Non meno importante il tema del cosiddetto “e-waste”, ciò che resta di prodotti tecnologici che hanno concluso il proprio ciclo di vita e che con grande probabilità ritorneranno al luogo in cui sono state originariamente estratte le materie prime con cui sono stati fabbricati: l’Africa. Ai costi ambientali derivanti dall’estrazione di metalli rari si aggiungono dunque anche i costi di smaltimento, che richiedono il ripensamento di una filiera europea a produzione locale e distaccata da altri attori geopolitici, capace di ridurre notevolmente gli impatti ambientali collaterali della transizione verde. Se il Green Deal potrà essere un’occasione in questo senso, di pari importanza è Repower EU,  approvato a seguito della pandemia ed in risposta al conflitto in Ucraina. Sulla scia di quanto immaginato da De Gasperi con la CECA, Repower EU dà all’Europa la possibilità di costruire infrastrutture che danno agli Stati membri l’occasione di invertire la rotta della dipendenza energetica da Mosca. L’Italia ricopre una posizione strategica in questo senso: da un lato Roma ha le potenzialità per divenire il nuovo hub del gas che proviene dalla sponda Sud del Mediterraneo; dall’altro lato, il nostro paese ha le carte in regola per porsi come player capace di competere a livello mondiale.

Sul tema della competitività, l’On. Vinicio Giuseppe Guido Peluffo ha fatto più volte riferimento al recente rapporto di Mario Draghi relativo alla posizione che l’Europa pensa di dover ricoprire nel mondo nell’era della competizione strategica tra Cina e Stati Uniti: non solo competizione in termini di aree di influenza, bensì confronto tra strumenti e capacità di essere competitivi in materia di tecnologie avanzate. Di qui l’importanza di possedere un processo di integrazione che consenta all’Unione di resistere in un tale livello di confronto globale. Se da un lato è fondamentale tutelare la concorrenza, si rende altresì necessario creare campioni europei nonché proporre una transizione interpretabile secondo i dettami della trasformazione del tessuto ai fini del mantenimento della competitività. Per questo motivo, la partita si giocherà con grande probabilità nell’ambito della politica industriale.

Anzitutto, la diversificazione energetica gioca un ruolo centrale in tale transizione. Se in tempi di crisi come quelli che stiamo vivendo, come ricordato dall’On. Luca Squeri di Forza Italia, De Gasperi e Mattei nel dopoguerra hanno tessuto relazioni che hanno permesso di andare a bussare alla porta dei paesi che hanno sempre intrattenuto relazioni amichevoli con l’ENI, di pari importanza è il nuovo corso della diplomazia energetica dell’Italia ben descritta dal dott. Marco Landolfi, Capo Ufficio del MAECI per la promozione e la tutela dei settori di rilevanza strategica ed eventi di partenariato economico. Come si evince dal rapporto Draghi, conciliare competitività e transizione verde impone tuttavia evadere la trappola del passaggio da una dipendenza dal gas russo a nuove forme di dipendenza, prima fra tutte quella dal mercato cinese. In prospettiva diplomatica, partendo dalle sedi europee l’Italia promuove la concezione di una transizione basata sul principio di neutralità tecnologica, ossia la scommessa sulle energie rinnovabili e contemporaneamente su tecnologie che ancora non abbiamo a disposizione. Un ottimismo volto a concentrare gli sforzi su future e potenziali applicazioni che permettano di conciliare decarbonizzazione e competitività e che includono l’idrogeno, la fusione e il nucleare di quarta generazione. In questa prospettiva, il primo passo dell’affrancamento dal gas russo si è realizzato grazie agli sforzi di partenariato e gli accordi conclusi con un numero di paesi, tra cui Azerbaigian, Algeria, Namibia e Montenegro, legato all’Italia da un cavo che originariamente era inteso a trasportare energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili. Al contempo, in materia di terre rare la complessità è affrontata sul piano diplomatico attraverso il sostegno di partenariati più stretti e light-minded in seno all’UE e non solo: lo scorso anno, ad esempio, è stato adottato il Raw Materials Act, il primo passo concreto di Bruxelles sulla questione. Parallelamente, l’Italia partecipa attivamente alla Mineral Security Partnership a guida statunitense, con un’attenzione particolare all’Africa sia in termini di diversificazione che di minerali strategici sulla scia di una forma di partenariato paritario già promosso da Mattei nel dopoguerra.

Centrale è altresì il comparto industriale: per il dott. Stefano Saglia, componente del collegio ARERA, il nostro paese dipende dall’energia elettrica e presenta notevoli problemi di competitività anzitutto con paesi extra-UE, Cina in primis nei settori altamente energivori, e nondimeno con gli altri membri dell’Unione, che hanno seguito politiche piuttosto indipendenti allo scoppio della crisi energetica del 2022. Da qui la tendenza dell’Italia a divenire importatore di energia elettrica nonostante ne sia produttore, anche grazie all’elevata presenza di centrali idroelettriche: secondo le regole del mercato, risulta più conveniente affidarsi a Francia e/o Montenegro, benché nell’ultimo caso l’energia prodotta provenga da carbone e non da rinnovabili. Per l’Avv. Fabrizio Iaccarino, responsabile affari istituzionali di Enel, è necessario lavorare sulle prospettive di lungo periodo: con uno sguardo all’industria, sono da realizzare interventi di lungo periodo in grado di conciliare la sicurezza energetica e gli imperativi di sostenibilità, lavorando su infrastrutture e possibilmente congiuntamente con le Regioni e con il territorio.


Foto copertina: Copertina convegno “Energia: impatti geopolitici e riflessi in Italia da De Gasperi a oggi”.