Soft power alla russa, il “guanto da forno” di Putin


La Russia di Putin, sebbene definitivamente marchiata come uno “stato canaglia” non è sola come ci si aspetterebbe e, seppur goffamente, non è nuova a politiche di soft power da spendere con i propri alleati.


Il soft power russo e il caso italiano

Il concetto di soft power, coniato dal politologo Nye Jr. dopo la fine della Guerra fredda[1] ma già ampiamente utilizzato sin da tempi più antichi abbraccia tutte quelle direttrici di politica estera che non prevedono l’uso della forza ma un approccio, appunto “morbido” verso altre nazioni dove la cooperazione, gli scambi economico-culturali e l’instaurazione di dialoghi e rapporti di “buon vicinato”, unitamente ad aiuti di vario genere, sono atti a creare alleanze e partnership anche se non de facto.
Ad essere in un certo senso pionieri contemporanei nell’utilizzo di queste politiche (paradossalmente e contestualmente ad azioni eclatanti di hard power) sono stati innegabilmente gli Stati Uniti. Sulla scia della loro vittoria nei confronti del nemico sovietico non solo nella Guerra fredda “militare” ma più nello specifico anche su diversi campi come nella Cultural cold war[2], hanno preso una posizione protagonista sotto i riflettori internazionali, ma altri erano avvezzi all’utilizzo del soft power, in primis il “nemico” di ieri e di oggi (forse ancora di domani), la Federazione Russa.
Numerosi sono gli esempi di soft power “alla russa” che sin dalla fine della Guerra fredda hanno visto il Cremlino impegnarsi a riguadagnare il tanto decantato status di grande potenza perduto. Generalmente legato ad una costante dimostrazione di forza soprattutto di tipo militare, come l’export amichevole di armamenti per innumerevoli paesi, anche in Italia ne abbiamo avuto un plateale assaggio, e sembrò funzionare quasi perfettamente.
Era il 22 marzo 2020 quando l’Italia in pieno lockdown vide arrivare sul suo territorio nazionale del personale militare russo. Uomini e mezzi di Mosca vennero inviati per fornire aiuto alla situazione italiana nella bergamasca sotto il comando del generale Kikot[3]; le immagini, divenute rapidamente virali, andarono in onda sui tg nazionali creando grande scalpore, stupore e non poca ammirazione. Torneranno in Russia solo il 20 maggio dello stesso anno ma la loro “missione” umanitaria (un esempio lampante di soft power russo dove la parola power sembra però predominare sulla parola soft) ha lasciato segni tanto profondi quanto invisibili agli occhi dell’opinione pubblica italiana. Secondo fonti ufficiali la missione russa autorizzata dal governo italiano avrebbe dovuto avere durata indeterminata ma sono state proprio le forti pressioni politiche esterne a determinare la fine della missione umanitaria russa sul nostro territorio nazionale [4]. Il caso italiano ha visto una forte accelerazione di quei nascenti sentimenti di simpatia nel nostro governo verso potenze emergenti quali la Cina (la questione oramai molto dibattuta sull’adesione italiana al progetto BRI ne è stata una prima avvisaglia) e la Russia. Questo caso è importante perché qualche centinaio di militari, veicoli militari, e stelle rosse siglate “Dalla Russia con amore” riuscirono a mettere in ombra gli importantissimi aiuti economici che l’UE stava apprestandosi a fornire proprio in quei giorni[5]. Quegli eventi resero particolarmente chiaro che il “soft power meccanizzato” di Vladimir Putin, seppur eclatante, plateale, forse goffo ma anche molto pratico nei suoi effetti immediati risultava particolarmente efficace, come un vero e proprio “guanto da forno” politico.

“Il nemico del mio nemico è mio amico”

Concentrandoci su eventi più recenti, in particolare in questo anno e mezzo di guerra in Ucraina, abbiamo visto la Russia ritrovarsi incastrata in un pantano politico e militare non da poco, con gran parte del mondo attivamente impegnato a tagliare quanti più ponti possibili con il Cremlino e con la Federazione Russa come Nazione, forse per sempre. Sebbene il quadro geopolitico della Russia non sembri uno dei più rosei, è un errore credere che questa sia totalmente isolata. Certo, la Cina di Xi Jinping con la sua posizione, in teoria neutrale, ma leggermente pendente verso la Russia e l’Iran hanno dimostrato di essere punti solidi di supporto a Mosca ma seppur lontani o impossibilitati a fornire aiuti concreti, molti altri paesi del mondo continuano a strizzare l’occhio ai russi. In un teatro internazionale complesso, dove nazioni che anche se sulla “carta” sembrano agli antipodi per politica e cultura si sono ritrovate a guardare ad un “nemico” comune, la Russia ha trovato, ritrovato, e rivalutato non pochi alleati. Questo è particolarmente vero per molti paesi del continente africano, dove il soft power russo, nelle sue accezioni, come detto particolarmente incentrate su una continua dimostrazione di potenza e generosità, sembrerebbe aver avuto grande successo.

[6]

L’immagine di cui sopra, oramai storica, della risoluzione ONU di condanna alle azioni della Federazione Russa, già un anno e mezzo fa ci indicava chiaramente alcune dinamiche del variopinto sistema internazionale contemporaneo che nonostante la schiacciante superiorità dei voti favorevoli alla condanna, vedeva ancora molti “indecisi” e alcuni saldi alleati non abbandonare la Federazione Russa o forse quello che in quel momento stava rappresentando; spesso i numeri possono avere significati molto più profondi della mera aritmetica e parlando di nazioni questo ha ancora più peso.

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Fame d’Africa

I rapporti tra la Federazione Russa e l’Africa non sono certo un elemento di novità nello scacchiere internazionale, già durante il periodo sovietico e nel cuore della Guerra fredda i rapporti tra il Cremlino e le controparti africane erano continui, sia da un punto di vista ideologico-politico sia da un punto di vista militare (export di armamenti).
L’Urss aveva difatti stretto numerosi rapporti commerciali e militari con diverse Nazioni africane, soprattutto durante la segreteria di Brežnev. Nel 1974, ad esempio, Mosca acconsentì ad inviare armamenti in Etiopia, Nazione che si trovava alle prese con una rivoluzione armata. Persino le guerre civili scoppiate in Angola e Mozambico, accorse in seguito alla dissoluzione dell’”impero” coloniale portoghese videro influenze da parte sovietica. Non è un caso, dunque, che nei successivi congressi del PCUS, Brežnev affermò che l’URSS avrebbe appoggiato le lotte, cosiddette di liberazione, in Asia, Sudamerica e Africa.[7] L’export di armamenti da parte dell’URSS prima e dalla Federazione poi è sempre stato particolarmente fiorente tra le sabbie africane, concentrandosi a seconda del periodo storico prima nella mediterranea Africa del Nord (in particolare con l’Egitto[8]) e poi nei complessi stati centro africani.
Proprio questi ultimi hanno giocato e giocano tutt’oggi un ruolo importante nelle dinamiche generate dalla guerra in Ucraina e in particolare alla luce degli ultimi eventi che hanno visto la Russia di Putin ritirarsi in data 17 luglio dall’accordo sul grano siglato con l’Ucraina e fortemente mediato dalla Turchia di Erdoğan. Le conseguenze della cessazione di questo accordo sono gravissime poiché dai porti ucraini vengono esportate enormi quantità di prodotti cerealicoli che sono fondamentali soprattutto per i paesi in via di sviluppo o che soffrono di gravi crisi alimentari. Questa mossa ha allarmato grandemente i leader di molti paesi africani i quali, in poco tempo hanno ricevuto un invito ufficiale da parte del Cremlino a partecipare al “secondo forum economico e umanitario per la pace, sicurezza e lo sviluppo” indetto dal Cremlino e tenutosi tra il 27 e il 28 luglio. In questo ultimo esempio di soft power il Cremlino sta tentando, in un certo senso, di rendersi un alleato insostituibile e prezioso poiché, a conclusione del forum, la Russia ha annunciato tramite le parole dello stesso Putin che sopperirà all’assenza di grano ucraino con le proprie scorte, a titolo “gratuito ed umanitario” per sei paesi africani.  “Nei prossimi tre o quattro mesi saremo pronti a fornire a Burkina Faso, Zimbabwe, Mali, Somalia, Repubblica Centrafricana ed Eritrea da 25.000 a 50.000 tonnellate di grano ciascuno. Garantiremo la spedizione gratuita di questi carichi”[9]

Una mossa quella dal Cremlino che potrebbe avere diverse sfumature, come consolidare i rapporti e il supporto da parte di quei paesi, alimentare sentimenti antioccidentali e mantenere un rapporto governativo forte vista la radicata presenza della PMC Wagner in quelle Nazioni, tema che ad oggi si presta a numerose analisi di scenario nonostante le informazioni in nostro possesso siano parziali e frammentarie.

Il Soft power di Putin

Sebbene mai come negli ultimi tempi l’immagine e la reputazione internazionale della Federazione Russa siano state gravemente compromesse, radicandosi agli occhi del “mondo occidentale” ancor di più ad immagini di violenza e sprezzo anche per la vita e i diritti umani, sarebbe un errore sottovalutare il soft power e l’influenza che la Federazione ancora detiene in quella vasta fetta di Nazioni che si possono definire “sud del mondo”. Retoriche di rivalsa, aiuti materiali e concreti come rifornimenti militari ed alimentari, partnership economiche e garanzie securitarie seppur passate in secondo piano, coperte dallo sferragliare dei carri armati, le marce dei soldati e il rombo dei rotori degli elicotteri della Russia impegnata in strategie di hard power culminate in una guerra di vasta scala, non vanno sottovalutate. Molte Nazioni, come visto, guardano alla Russia, come alla Cina quali grandi partner affidabili, con i quali condividere, magari, una visione del mondo estremamente diversa da quella liberal-democratica, fondata su valori per noi anacronistici ma ancora estremamente seducenti e utili per molti. Le pedine dello scacchiere internazionale, si muovono sempre più rapidamente e in maniera sempre meno prevedibile sul lungo periodo, nessun fronte può più essere sottovalutato.


Note

[1] J. S. Nye Jr., Soft Power, Public Affairs, New York 2004
[2] F. S. Saunders, The Cultural Cold War, The CIA and the World of Arts and Letters, New Press, New York 2013
[3] U. Tramballi, Il covid geopolitico e la retrocessione russa, ISPI, 11 maggio 2020. In: https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/il-covid-geopolitico-e-la-retrocessione-russa-26059
[4] Ivi.
[5]N. Popescu, La minaccia del coronavirus all’Europa geopolitica, ECFR, 31 Marzo 2020. In: https://ecfr.eu/rome/article/la_minaccia_del_coronavirus_alleuropa_geopolitica/
[6] Immagine dell’esito delle votazioni per la risoluzione di condanna dell’aggressione russa ai danni dell’Ucraina. Resolution ES-11/1 adopted, Twitter, Official account of Csaba Kőrösi, President of the 77th session of the United Nations General Assembly. In: https://twitter.com/UN_PGA/status/1499067097711886340
[7] R. Service, Storia della Russia del XX secolo, Ed. Editori Riuniti, Roma, novembre 1999, cit. p. 419
[8] K. Semenov, Il mare nostrum è anche un po’ russo, Limes, 11/11/2020 https://www.limesonline.com/cartaceo/il-mare-nostrum-e-anche-un-po-russo
[9] Putin: “Pronti a inviare grano gratuitamente in Africa”, Il Sole 24 Ore, 27 Luglio 2023. In: https://www.youtube.com/watch?v=jOyFeY9ATP4


Foto copertina: Il Soft power di Putin