Secondo i dati Istat negli ultimi dieci anni circa 580 mila italiani si sono trasferiti all’estero. Ma il numero reale potrebbe essere tre volte superiore la stima ufficiale. Ne parliamo con Daniele Ippolito che da anni fa parte della comunità italiana che risiede in Irlanda.
Intervista a cura di Valentina Franzese
L’Irlanda, con le sue radure verdeggianti e il suo clima rigido e uggioso, è stata da sempre meta di emigrazione italiana. I primi arrivati si specializzarono nella ristorazione, prediligendo impieghi all’interno di caffetterie, gelaterie e fish and chips. Dopo la Seconda Guerra Mondiale il fenomeno migratorio dall’Italia verso l’Irlanda conoscerà un rinnovato afflusso, frutto della volontà di ricongiungere quei nuclei familiari sparpagliatisi in precedenza. Sarà in questo modo che, sebbene la terra d’arrivo fosse tanto povera quanto quella di partenza, si genererà un effetto moltiplicatore prodotto dalle chiamate, che si rivelerà particolarmente determinante e significativo, portando all’insediamento di vere e proprie comunità italiane.
Dato il consolidarsi della presenza italiana sul territorio, nacquero, e svilupparono realtà più o meno piccole tra le quali: Italia Stampa2, fondata da Concetto La Malfa per informare gli italiani residenti in Irlanda; il Club di Dublino, fondato dall’ambasciatore Alberto Schepisi, con lo scopo di rappresentare e raccontare l’apporto italiano in Irlanda; il Casa Italia Cultural Center, fondato dall’ex corrispondente ANSA, Enzo Farinella, che si occupa di gemellaggi italo -irlandesi3. Negli ultimi anni, tuttavia, l’emigrazione italiana verso l’Irlanda ha mutato la sua forma, ed è il nostro stesso intervistato a raccontarcelo. Con Daniele Ippolito, infatti, abbiamo avuto il piacere di parlare della comunità italiana presente a Dublino e di conoscere, anche se da lontano, l’essenza dell’Irlanda con tutte le sue sfaccettature, pregi e difetti inclusi. Allo stesso tempo, l’intervista ha permesso di evidenziare le motivazioni – siano esse personali che non – che inducono oggi tanti giovani, disillusi e scoraggiati da prospettive precarie, a scegliere di lasciare l’Italia per spostarsi all’estero. Eclettico expat italiano, Daniele Ippolito, classe 1993, è nato a Taranto ma è cresciuto a Statte, ed ha vissuto diversi anni all’estero alternando l’attività di duty manager a quella di musicista; due lavori che gli permettono di passare molto tempo a contatto con la gente, scambiare opinioni e riflessioni mantenendosi sempre informato su ciò che lo circonda. Attualmente è tornato in Irlanda dove, in precedenza, aveva vissuto per 3 anni.
Com’è stato il tuo arrivo a Dublino la prima volta? È stato facile ambientarsi? Ti sei appoggiato a degli italiani che conoscevi già o ti sei mosso “all’avventura”? Questo ritorno a Galway invece?
Non si trattava della mia prima esperienza estera in realtà, quindi mi sono semplicemente trovato a seguire il flow degli eventi. Poi, essendo una persona abbastanza organizzata, sono riuscito a sistemarmi per bene. Effettivamente avevo già degli amici a Dublino a cui però non mi sono rivolto tanto per ciò che riguarda la ricerca di un alloggio, quanto a livello di rapporti umani d’amicizia. Il mio ritorno a Galway, invece, nasce da ragioni puramente personali. La mia alternativa era l’Austria, che però ho accantonato; ho preferito Galway con la consapevolezza che ci resterò un tempo determinato per poi aprirmi a nuove destinazioni.
Com’è strutturata la piccola ma ben radicata comunità italiana in Irlanda?
La comunità italiana in Irlanda affonda le sue radici abbastanza indietro nel tempo; culturalmente parlando è la stessa comunità che ha portato il fish and chips qui. La figura del fisherman che frigge il pesce con le patatine è arrivata in Irlanda proprio grazie agli italiani, tanto che qui, “a casa loro”, ci vedono come questo, come i fondatori del fish and chips che, nonostante sia uno dei prodotti tipici del Regno Unito, poi è divenuto una sorta di must have anche qui in Irlanda. Al giorno d’oggi chiaramente questa caratterizzazione è stata modificata anche a fronte del cambiamento che l’emigrazione italiana verso l’Irlanda sta vivendo; una vera e propria metamorfosi. Se penso all’inizio degli anni 2000, chi veniva qui lo faceva perché cercava delle opportunità specifiche in determinati settori, quindi tendeva a privilegiare sempre qualcosa di molto specifico. Negli ultimi anni, dopo la Brexit, si è creato l’effetto contrario rispetto a quello che faceva Londra agli italiani. Mi spiego meglio: se in passato l’italiano andava a Londra per imparare l’inglese, lo stesso tipo di dinamica si sta replicando qui con tanti italiani che si spostano a Dublino per espandere il proprio curriculum e arricchire le proprie conoscenze linguistiche. Questo fa, ad oggi, di Dublino per l’italiano un’esperienza temporanea, di uno, due, massimo tre anni per poi spostarsi altrove. Quelli che, invece, hanno messo radici qui, lasciando definitivamente l’Italia per l’Irlanda sono pochi. Quindi il radicamento che viene fuori c’è, sì, ma dalle generazioni passate, non dalle ultime generazioni.
Esistono realtà tradizionali come Italia Stampa di Concetto La Malfa, Il Club di Dublino o il Casa Italia Cultural Centre, ma oltre a questi contesti più “ufficiali” ci sono altri luoghi tipicamente frequentati da italiani, in particolare a Dublino e Galway?
Non conosco quelli ufficiali che hai citato prima, ma conosco il “Roma Club”, un luogo di ritrovo, per così dire, ufficioso, di Dublino. Se c’è una costante, infatti, che ho incontrato in tutti le nazioni estere in cui sono stato, sono le associazioni o i luoghi che vanno a riscoprire o ri-esplorare quella che è la cultura italiana. Ci sono dei luoghi “ufficiosi” in cui si creano delle “combriccole” italiane, dove si condivide una passione che ad esempio nel caso del Roma Club può essere il calcio. Una delle cose che l’italiano all’estero fa spesso è sviluppare associazioni, magari collaborando anche con il contesto delle ambasciate. Non bisogna però dimenticare un fattore, che qui l’italiano all’estero segue attivamente anche la politica, vota anche per i rappresentati europei della propria nazione tramite la delegazione dei residenti esteri. Quindi, questo fa sì che spesso ci sia anche un elemento politico in molte associazioni. Ci sono delle idee, ci sono dei valori. Personalmente non ho mai partecipato a queste associazioni, almeno non in modo attivo. Accanto a questi posti, ci sono anche dei luoghi di ritrovo e aggregazione come il Bar Italia a Dublino, che sicuramente metterei in cima alla lista grazie alla miglior carbonara mangiata a lì; Tristano Pizza, una famosa pizzeria fondata da napoletani sempre a Dublino. Ci sono sì dei posti che offrono la tradizione della cucina italiana che magari qui in Irlanda non si riesce recuperare pienamente dal punto di vista enogastronomico. Si tratta sempre di un ri-esplorare, non si vende nulla di nuovo e, soprattutto, da italiano expat ti dico che vendere la carbonara a Dublino è sicuramente una cosa magica, ma la carbonara ha comunque bisogno del sole di Roma. Non è solo il piatto in sé per sé, ma è anche il contesto ad essere importante, a fare la differenza, a creare l’esperienza sensoriale. Quindi sì, ci sono dei bar, ci sono dei luoghi che vanno un po’ a ri-esplorare questa lettura. Ho citato questi due che sono i primi ad essermi venuti in mente, ma sicuramente ce ne saranno anche altri più piccoli.
La stesse cosa vale anche per Galway? O si tratta più di una caratteristica di Dublino?
In realtà sono a Galway da poco tempo, anche se ho notato la presenza di molte caffetterie italiane qui in città. Considera che una delle catene di caffetterie italiane più grandi in Europa, Caffè Nero, pur essendo stata fondata a Londra, è presente sia a Dublino che a Galway. È una sorta di Starbucks in versione italiana, nonostante Starbucks sia di per sé già “un’idea rubata” all’Italia.
Ci potresti descrivere come gli irlandesi percepiscono la presenza degli italiani?
Il rapporto Irlanda – Italia è un rapporto che descriverei come un rapporto tra cugini. È un rapporto che ci lega grazie a profonde radici storiche, ed è fondamentalmente un bel rapporto perché, pur trattandosi di culture estremamente diverse sotto il punto di vista culturale, di usi e costumi, climatico, ma anche geografico, parliamo di due culture che però si equilibrano. C’è del tenero diciamo, tenero in senso buono, a differenza di altre nazioni.
Dato questo “affetto” esistente, è “ben visto” l’italiano che arriva e si trasferisce in Irlanda?
Sì, assolutamente sì. L’italiano all’estero è visto come un gran lavoratore che si sposta non per “cazzeggiare”, è quindi una persona che si sposta, viene a lavorare, a produrre economia. Questo fa si che le opere che vengono fatte, prodotte e realizzate dagli italiani all’estero siano opere belle, che fanno sì che noi italiani veniamo visti bene, come dei grandi lavoratori.
Dublino, Cork e Galway sono le tre città più importanti dell’Irlanda. Tra loro hanno dei punti in contatto? Che tipo di città sono e cosa rappresentano per il Paese?
C’è qualcosa in comune tra queste tre città che è la cultura irlandese che fa un po’ da base. Dublino, però, è come se vivesse in una bolla, in una dimensione a sé, a differenza di Galway e Cork. È una città più internazionale, è quella vista dai politici, è quella in cui vengono osservati i comportamenti sociali e in cui si studiano determinate dinamiche in termini d’immigrazione ed emigrazione. Quindi sì, sicuramente queste tre città sono unite dalla tradizione, ma comunque in un modo molto limitato dato l’approccio cosmopolita di Dublino. A Galway così a come Cork, invece, si entra un po’ più nell’anima della vita tipica irlandese, si entra un po’ più nelle viscere della cultura irlandese. Per dirtene una, anche in termine di risorse umane ci sono delle differenze. Ho lavorato in due alberghi a Dublino, il buon 85 – 90% del workforce all’interno era straniero e non irlandese. In questo momento invece è il contrario; il buon 95% del personale è formato da irlandesi. Ciò proprio perché la città ha un approccio meno internazionale, nonostante ci siano le università. Stessa cosa Cork, pur avendo una storia differente fatta da radici differenti. Eppure, entrambe, restano due città irlandesi che portano avanti lo stesso approccio. Ecco io metterei Cork e Galway nella stessa bolla, mentre metterei in una bolla differente, quasi fosse a parte, Dublino. Se devo pensare alla presenza della comunità italiana nelle tre città, penso che quella di Galway sia molto più piccola rispetto a quella di Dublino.
Chi sono, cosa fanno, dove abitano e si sistemano gli italiani che vivono in Irlanda? Scelgono di fermarsi a Dublino?
Beh sicuramente la main city, la meta principale, è Dublino. Dove si sistemano, è una bella domanda, perché attualmente l’Irlanda sta affrontando una fortissima crisi immobiliare e il tema dell’alloggio sta diventando davvero molto complesso e ingestibile, tanto che in molti vanno via e lasciano l’Irlanda proprio per questo motivo. Tendenzialmente quando i ragazzi neo-assunti dalle grandi compagnie multinazionali come, ad esempio Ryanair o Google, si stabiliscono a Dublino, passano un primo periodo in ostello per poi cercare una sistemazione più definitiva in una stanza. L’italiano è sì un grande lavoratore, ma gli fa anche un gran piacere essere comodo, di conseguenza cercherà sempre sistemazioni nel centro città che resta la sua zona preferita per poi, eventualmente, estendersi, anche se tendenzialmente non ama molto vivere intorno a Dublino. Diciamo che preferibilmente la scelta è per il centro poi, in virtù di questo problema degli alloggi, ovunque va bene e ci si adatta.
Secondo l’ultimo dato disponibile4 (2016), sebbene un po’ datato, ci sarebbero circa 12.000 italiani in Irlanda, ma potrebbero esserne molti di più dato che spesso in molti non si iscrivono all’AIRE. Che percezione hai avuto del fenomeno migratorio degli italiani verso l’Irlanda? È in aumento o in diminuzione? Se sì, quali potrebbero essere le cause? Quando mi sono trasferito all’estero e ho iniziato a spostarmi, la mia prima città è stata Miami e poi Glasgow, ho notato che tendenzialmente l’italiano all’estero era quello del Sud Italia. Ora, invece, a Dublino ho conosciuto prevalentemente gente del Nord Italia, persone di Milano o Brescia, per esempio. La mia percezione nel tempo è diventata quindi abbastanza chiara: l’Italia ad oggi non sta lasciando molta speranza per il futuro, dal punto di vista occupazionale, per ciò che riguarda la propria crescita professionale o comunque per ciò che concerne la possibilità di sviluppare una propria carriera. Si fa quindi sempre più evidente quanto questa nazione non sia in grado o comunque sia incapace di offrire e garantire ai più giovani e non solo. Poi ovviamente dipende sempre da settore a settore. Nel mio caso, in quello dell’ospitalità, se lavori in Italia, sei destinato “a morire” o in cucina, o in un bar, o in un ristorante. Fortunatamente adesso le persone stanno scegliendo di vivere e non sopravvivere, e di questo ne sono felici. Che sia l’Irlanda o l’Inghilterra, o comunque altre nazioni, sono molti quelli che si stanno spostando. I motivi possono essere molteplici; semplicemente anche quello di dare un tocco internazionale al proprio curriculum o di fare un’esperienza all’estero o di “evadere” dal contesto di casa. Possono davvero essere miliardi. Sicuramente l’Italia al momento non è nelle condizioni di poter offrire cose che invece altre nazioni sono in grado di offrire. Ma questo non perché parliamo dell’Irlanda nello specifico, ma perché parliamo di una nazione che è in grado di garantire la base, gli standard minimi della vita. Qui abbiamo, ad esempio: una settimana fatta di 5 giorni lavorativi, il salario minimo (dal 1° gennaio 2023 è 11,30 euro all’ora ndr.); parliamo davvero di cose basiche. In Italia invece mancano proprio le basi sotto questo punto di vista. Per quanto riguarda il dato degli italiani in Irlanda, posso confermati che è effettivamente vecchissimo. Quella può essere la presenza di italiani in un singolo quartiere di Dublino. Nel complesso gli italiani in Irlanda sono molti di più di 12.000; saranno almeno 50/60.000. Io stesso, sono da anni all’estero, eppure mi sono iscritto all’AIRE solo poco tempo fa per il semplice fatto che, al mio ritorno in Italia mi sono stati chiesti 2.000 euro di tasse pur avendo passato solo pochi giorni a casa, quindi ho deciso di togliere la residenza.
Giusto per curiosità, perché hai atteso così tanto per iscriverti all’AIRE?
Perché l’Italia offre cose brutte ma anche cose buone, una di queste è la sanità garantita a titolo gratuito. Cosa di cui non tutte le nazioni dispongono. Di conseguenza per me l’Italia è sempre stata una sorta di “Piano B”, nel senso: se dovesse succedermi qualcosa, ho la possibilità di prendere un aereo, tornare a casa ed essere, poi, in poco tempo in ospedale. Iscrivendosi all’AIRE si perde tale titolarità, perdi il diritto al medico di base e ad altri diritti legati alla sanità che all’estero non è proprio il massimo sinceramente parlando. Si tratta comunque di una scelta che giova sotto determinati punti di vista e pesa sotto altri.
Integrarsi in un Paese vuol dire far propri anche usi e costumi locali. Ci sono delle festività, tipicamente irlandesi, che sono state assimilate dalla comunità italiana? Se sì, quali?
In realtà, sai, le feste irlandesi più note sono molto commerciali. È questo il caso, ad esempio, di Halloween o San Patrick. Pur nascendo come una festività tipicamente irlandese particolarmente sentita, Halloween, oggi si sta avvicinando sempre più al modello statunitense. Se penso invece al Natale, ho notato un approccio abbastanza simile all’Italia. Anche qui si tende a vivere le festività natalizie come del tempo da dedicare alla famiglia, in particolare il giorno della Vigilia. L’unica cosa che fanno a differenza nostra sono i Christmas Party, qui davvero molto sentiti e apprezzarti, che possono essere organizzati o a cena o pranzo. Tutte le aziende o le associazioni, organizzano dei party natalizi a base sì di cibo ma anche, e soprattutto, di alcool. Quindi tendenzialmente cosa fanno: il collage contatta un hotel, fitta una sala da ballo, prende accordi con un Dj, organizza una sorta di catering per mangiare, il tutto accompagnato da fiumi di alcool.
I “Christmas Party” coinvolgono anche gli italiani, o comunque, vengono organizzati da gruppi d’italiani residenti in Irlanda?
Si sì. Anche le associazioni italiane, ad esempio, organizzano i “Christmas Party”. L’italiano tendenzialmente si adatta sempre a questo tipo di eventi, magari facendoli un po’ propri.
Oltre al Natale, che altre festività ci sono e, se ti è noto, come vengono vissute?
Beh sicuramente le festività nazionali come, per esempio, la Festa della Repubblica. Ma anche le festività cattoliche, come Venerdì Santo o Santo Stefano, che con l’Irlanda condividiamo tutte quante. San Patrizio è sicuramente un’altra festività molto sentita qui in Irlanda, a tratti simile al nostro Carnevale. In quest’occasione viene organizzata una grande sfilata, l’Irish Parade, in molte città irlandesi come Dublino, Cork o Galway. Indubbiamente quello di Dublino è il Parade più grande, una sfilata davvero enorme che inizia la mattina e finisce nel pomeriggio. Poi dal pomeriggio, fino al pomeriggio del giorno dopo, si bevono ettolitri di birra. Resta certamente una delle festività irlandesi più tipiche di tutte, simile come organizzazione al Carnevale di Venezia. Se devo pensare a una cosa tanto tanto diversa rispetto all’Italia, che aggiungerei al contesto “festività”, sono i funerali.
Il funerale qui in Irlanda si festeggia. Mentre il nostro è un compianto, il loro è una commemorazione, un omaggio a quella che è stata la vita del defunto. I funerali in Irlanda sono davvero vissuti come un’occasione per festeggiare la vita della persona e non la sua morte. Quindi loro cosa fanno: organizzano la cerimonia funebre la mattina, poi vanno a pranzo tutti insieme. Di solito prenotano il ristorante o comunque un’ala specifica del ristorante, o in alternativa una function room, che sarebbe la sala per i banchetti in albergo, per un determinato numero di persone; dopo il pranzo iniziano a bere per tutta la serata. Spesso mi è anche capitato di lavorare a dei funerali in hotel. Durante l’ultimo che ho fatto, per esempio, erano in 80; hanno pranzato, hanno bevuto, erano felici. Poi a volte, in alcuni funerali, dopo un mese i parenti del defunto si rincontrano, fanno uno Screening durante il quale proiettano delle foto del defunto e raccontano chi era quando era in vita, ciò in modo da rendere nuovamente onore e celebrare tutte le cose meravigliose fatte dalla persona, e bevono sempre, a prescindere. Non nego che, i primi tempi qui in Irlanda, il modo di approcciarsi a questo tipo di ricorrenze mi ha fatto una strana impressione, soprattutto quando in albergo ti dicono «domani c’è un funerale». Le prime volte mi aspettavo di vivere dei momenti tristi e malinconici, delle situazioni fatte di gente che piangeva e basta, invece no. La malinconia del funerale che, magari si può avvertire con maggiore o minore intensità da noi in Italia, qui in Irlanda non l’ho mai percepita; forse soltanto una volta mi sarà capitato di vedere una vedova particolarmente giù. Ad oggi, complessivamente di funerali ne avrò organizzati una ventina almeno. Lavorando in albergo qui, il funerale è sicuramente uno degli “eventi” che mi capita più spesso di organizzare. Il che è paradossale se pensiamo che in Italia per organizzare un funerale dovresti essere o un becchino o, al limite, un violinista.
Parliamo un po’ di politica ora. C’è interesse da parte degli italiani expat come te per le vicende politiche italiane? C’è voglia di seguire la politica italiana con tutte le sue sfaccettature e storture? E per quelle irlandesi? Guarda io non conosco una persona che non sia interessata alla politica italiana pur essendo all’estero. Sono tutti interessati e tutti seguono qualcosa di politico, s’interessano alle faccende italiane. Mentre sulle vicende politiche irlandesi già direi di no. La persona italiana all’estero che si interessa di politica tendenzialmente segue principalmente la politica italiana e basta. Per ciò che riguarda il territorio in cui si trova, il suo interesse si limita strettamente all’area che lo riguarda più strettamente, la città in cui si trova; e se eventualmente ci sono disservizi, tutto è imputato al governo nazionale, ma finisce lì. Non ricordo italiano che sia mai andato infondo nella ricerca politica locale; è più un interesse politico “patriottico” il nostro. Probabilmente l’italiano che risiede all’estero e che è maggiormente interessato alle vicende politiche interne al paese in cui risiede è l’italiano negli Stati Uniti, ma se devo pensare all’italiano in Irlanda che segue la politica irlandese non mi viene in mente nessuno. È un interesse che coinvolge principalmente la politica interna, l’approvazione di nuove leggi o l’adozione di nuovi provvedimenti, ad esempio. Bene o male un po’ tutti hanno dei contatti, magari qualche parente, che ha una certa idea politica in merito e che quindi fa da tramite diventando un punto di riferimento. Poi ovviamente, c’è sempre Google News che in poco tempo permette di essere informati sulle recenti vicende istantaneamente.
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I recenti fatti di cronaca5 ci hanno raccontato di una violenza che Dublino non viveva da tanto tempo. Credi che si tratti di un caso isolato o c’è una pressione sociale che aspetta solo il giusto pretesto per esplodere?
Il recente accoltellamento è un episodio che non mi ha sorpreso particolarmente perché, sia a Dublino che in Irlanda in generale, ci sono spesso tante manifestazioni contro gli immigrati e ci sono diversi gruppi politici di destra contrari ad alcune decisioni che ha preso il governo, in particolare la scelta di accogliere i rifugiati di guerra ucraini. L’accoltellamento è arrivato, infatti, in situazione fatto di dissenso che aveva registrato, già nei giorni precedenti, delle proteste pacifiche sulla M50 fuori Dublino (superstrada a mezzo anello che unisce le varie cittadine tra nord e sud di County Dublin ndr.). Io penso che l’accoltellamento sia stato “la goccia che ha fatto traboccare il vaso”, l’elemento che ha dato a questa gente la “scusa” di poter intervenire e reagire poi in quel modo. Ciò perché chi ha agito in quel modo è l’estrema destra irlandese, non molto distante dai nostri “vecchi” amici Black Bloc, la scia è la stessa; gente che ha trovato una scusa in merito per poter scatenare altra violenza.
Quindi, a questo punto se l’Irlanda si trova in una situazione come questa, una situazione abbastanza incandescente ed esplosiva, potremmo immaginarla come una potenziale polveriera pronta a saltare in aria o comunque degenerare?
Be sicuramente sì. Mi spiego meglio: in questo momento l’Irlanda sta vivendo un periodo difficile per ciò che riguarda la sistemazione e gestione abitativa, il mercato e l’inflazione economica. Allo stesso tempo ha un governo lentissimo nell’adozione dei provvedimenti legislativi, un governo che in qualche modo si dimostra “non presente”. E questi ultimi avvenimenti ne sono in qualche modo l’esempio, perché dimostrano che la Repubblica Irlandese ha fallito a Dublino; ha fallito in termini di sicurezza con una politica completamente assente. Sono state chieste le dimissioni del commissario del GARDA, poi poco dopo sono state ritirate, creando una grande confusione che mi ha ricordato l’Italia nella sua gestione caotica dei problemi, portando avanti dei provvedimenti del tutto inutili. Il problema però sta nel fatto che la politica e il governo, innanzitutto, non sono in grado di garantire sicurezza. Dublino persino nella sua strada principale, O’Connell Street, non è una città sicura. Che tu sia uomo o donna, sarai sempre assaltato da pusher che cercheranno di venderti cocaina almeno tre volte, se ti fai una passeggiata su quella strada; se entri in un bar c’è gente che si buca le vene davanti a tutti. Allo stesso tempo la polizia non ha le armi perché GARDA significa “portatori di pace” e, quindi, in linea con questo presupposto, rigetta l’utilizzo di armi da fuoco. Il problema arriva quando accadono episodi come l’accoltellamento e tutti gli eventi ad esso connessi, con delle pattuglie che non hanno teaser, non hanno mezzi che sparano acqua, non hanno fumogeni. Quindi, dal punto di vista della sicurezza ci sono tanti passi in avanti che l’Irlanda deve compiere. Ovviamente città come Galway sono più calme, vivono in estrema pace, non c’è la criminalità e la pressione che c’è invece a Dublino. È, però, opportuno tenere a mente che la scelta di concedere 4000 case agli ucraini ha fatto collassare ancora di più il tessuto sociale. Questo perché dare un’abitazione e dei soldi che permettano ai rifugiati di guerra ucraini di non lavorare, significa che “tu governo” stai togliendo un tetto non solo dalla testa di 4000 persone, dato che in ogni casa con tre bedroom potrebbero convivere 6 persone. Io penso che quando c’è da dare una mano bisogna essere fra i primi a farlo, ed è giusto farlo. Tuttavia, quando ci si espone politicamente, soprattutto in politica internazionale, è necessario avere i mezzi per poterlo fare, altrimenti il rischio è che sbilanciamenti sociali e pressioni varie si alimentino portando a quello che è accaduto a Dublino. Il punto è che, o accetti la varietà delle cose e ti attrezzi, o non agisci, soprattutto se sei uno stato che si definisce neutrale e portatore di pace, dato che l’Irlanda non fa parte della NATO e non aderisce a Schengen. C’è quindi sicuramente ancora tanto da fare qui in Irlanda. Il grande cambiamento che l’Irlanda seguirà sarà l’abbandono della sua neutralità, perché una volta che ti esponi politicamente e parteggi per una parte piuttosto che per l’altra stai già perseguendo delle scelte politiche e militari.
Quest’ultima riflessione si ricollega molto alla mia prossima domanda, dato che in qualche modo la storica posizione di neutralità mi sembra sempre più accantonata. L’attuale governo irlandese, insieme a quello spagnolo di Pedro Sanchez, è stato l’unico all’interno dell’Unione Europea ad essersi esposto sul conflitto in Medioriente. Sia il Presidente della Repubblica Higgins che il Primo Ministro Varadkar hanno condannato Hamas ma anche Netanyahu, il cui operato è stato considerato fin dall’inizio in contrasto con il diritto internazionale umanitario. Si tratta di dichiarazioni in controtendenza con quelle degli altri stati dell’Unione, dichiarazioni fatte da anche da stati che con Israele hanno o rotto le relazioni diplomatiche o comunque hanno richiamato i propri ambasciatori. Data questa presa di posizione, che mi sembra distante dalla neutralità, ti chiedo quale può essere l’opinione dei cittadini irlandesi?
Chiaramente c’è un po’ di preoccupazione, anche se le violazioni commesse da Netanyahu sono sotto gli occhi di tutti. Ma ritorniamo al problema di prima: al non potersi permettere una presa di posizione politica senza essere adeguatamente attrezzati. Il problema è che l’Irlanda non è minimamente pronta a ricevere l’eventuale reazione alle sue prese di posizione, reazione che potrebbe anche includere eventuali attentati terroristici. Mettiamo il caso che l’Irlanda si trovasse in una situazione in cui una cellula di Hamas o palestinese o israelita che possa essere, riesca ad entrare a Dublino armata, scende in piazza e comincia a sparare sulla gente. Il primo intervento armato arriverà solo dopo un’ora; un’ora durante la quale potrebbe accadere l’inevitabile, mentre nel caso delle altre nazioni l’azione armata sarebbe prevista dopo soli dieci minuti. Si tratta di una cosa gravissima, che mi preoccupa e spaventa molto, perché significa che qualcuno armato in città potrebbe entrare e fare ciò che vuole. È questo il punto: garantire la sicurezza ai tuoi cittadini dovrebbe essere la priorità di un governo, poi vengono le posizioni di politica estera. Ma questo rimane un mio parere personale. Sicuramente la posizione presa contro Israele va un po’ controcorrente rispetto alla posizione generale presa contro Hamas. Il governo sta abbandonando sempre più la strada della neutralità, prendendo posizioni che sono comunque condivise anche da altri stati. Partendo poi dal presupposto che qui in Irlanda mi sembra che la politica venga seguita molto meno rispetto a come accade in Italia, almeno io ho avuto questa percezione, quando ho avuto modo di dialogare ho notato per lo più posizioni discordanti su alcuni aspetti e concordi su altri. Sicuramente tutti si sono trovati d’accordo, pronti a condividere la posizione portata avanti dal Governo su questo tema; posizione che non è per nulla estranea alle idee del cittadino.
Questa condivisione potrebbe essere il frutto di ragioni e legami storici, penso ad esempio alla “Questione Irlandese”, che hanno portato in qualche modo gli irlandesi ad “tematizzare” con la causa palestinese? Oppure è semplicemente una questione ideologica?
Penso che sia un tema di politica estera su cui gli irlandesi abbiano voluto dire la loro, prendendo posizioni in qualche modo abbastanza ovvie. Credo sia una questione di umanità e basta; perché quando si buttano bombe su degli ospedali uccidendo tanti bambini, come sta accadendo ora, si sta compiendo soltanto un’azione che va contro tutto ciò che rientra nel nostro concetto di “umanità”.
In Irlanda all’aumento del PIL nazionale non corrisponde una relativa crescita dei benefici per la popolazione a causa dei costi elevati dei contratti d’affitto. Questo, secondo te, rende “meno appetibile” l’Irlanda all’emigrazione italiana e non solo, fungendo da disincentivo?
Assolutamente sì, si tratta di un grave problema che demoralizza l’italiano a partire per l’Irlanda. Questo, però, è uno di quei problemi che scopri sul territorio quando insomma ti trovi già sul posto, non da casa. Accade quindi che una persona quando è qui, scopre questo, ed inizia a sviluppare un senso di sconforto per diversi motivi. Gli affitti sono arrivati a dei costi mensili abbastanza importanti, adesso per una stanza ci vogliono 1000, 1100 anche 1200 euro. Per contro gli stipendi e il salario minimo sono sì aumentati rispetto allo scorso anno, ma questo significa comunque lavorare e spendere il 50% del proprio stipendio, se non di più, in affitto, in una città come Dublino in cui il costo della vita è elevato e appena metti piede fuori di casa ti ritrovi ad aver speso 100 euro senza sapere neanche come hai fatto. E ricordo che parliamo comunque di cifre spese per una singola stanza, non per un’intera casa. Quindi questo chiaramente demoralizza molti, ed è ciò che rende l’Irlanda un paese di transito, un paese temporaneo e non definitivo.
Questa situazione cambia da città a città o è un problema legato specificatamente a Dublino?
Su Galway e Cork la situazione si ammortizza un po’, anche se il problema di fondo rimane, e persiste. Qui a Galway, ad esempio, si guadagna un pochetto meno, si spende meno di affitto ma la situazione comunque non cambia perché di fondo il problema rimane lì.
Si tratta di un problema che, secondo te, potrebbe essere legato all’incremento di arrivi sul suolo irlandese?
Beh sicuramente è una situazione che è legata anche all’immigrazione ma alle spalle ci sono anche degli aspetti culturali che influiscono. Uno tra questi, che potrebbe sembrare banale, è che all’irlandese non piacciono i palazzi molto alti pertanto tutte le case saranno sviluppate a schiera e quindi in larghezza. Perciò anche l’eventuale opzione di costruire un palazzo a 19 piani con degli appartamenti diventa una soluzione non praticabile dato che, l’unica alternativa concepita sarebbe la realizzazione di un complesso di case a schiera. In ogni caso, gli irlandesi amano e ci tengono molto ad avere il proprio giardino, coltivare il proprio orticello, disporre di un proprio spazio esterno. Nel centro di Dublino, ad esempio, ci sono sì tantissime case ma tutte sviluppate ad un piano massimo due, sempre a schiera. Ora, chiaramente non parliamo della motivazione principale, ma sicuramente di una concausa che influisce molto sul problema. Oltretutto, nel tempo, sono stati costruiti troppi uffici e sono arrivate tante aziende multinazionali che hanno costruito però poche case. Infine poi, con la Brexit, è arrivata una vera e propria ondata di italiani, spagnoli, francesi.
La Brexit ha quindi fatto da calamita, attirando e alimentando l’immigrazione?
Assolutamente sì. La Brexit per l’Irlanda ha rappresentato e rappresenta una grande occasione di crescita, e se noi andiamo a guardare il Pil effettivamente lo è. Il problema è che quando gonfi un palloncino, se non lo elasticizzi per bene, non lo prepari adeguatamente e non ti organizzi, rischi poi di scoppiare. Quindi se in Irlanda non colgono bene questa occasione, non costruiscono case, non creano le giuste condizioni, Dublino non potrà mai crescere ma soltanto implodere. E per giuste condizioni non intendo soltanto le case e la questione abitativa, ma anche i trasporti. Pensa che l’unico mezzo di trasporto, al momento, è su ruote con una linea di bus che collega però solo il sud con la città, mentre il nord invece non è coinvolto; io, che quando mi trovavo a Dublino abitavo a Nord mi muovevo solo in bus perché non c’era altro. Di fatto l’Irlanda si è fatta trovare totalmente impreparata dalla Brexit, non riuscendo a cogliere pienamente l’occasione tanto che molte aziende stanno decidendo di spostare i propri uffici e i propri progetti in Portogallo e in Polonia, scegliendo la strada della delocalizzazione. Ciò perché i costi restano comunque alti, nonostante ci sia un risparmio in termini di tassazione. Il danno è però altrove; il danno sta nel fatto che, per esempio, i dipendenti non sono felici di veder andare via il 75% del proprio stipendio per pagare l’affitto di una stanza. Al contempo è difficile trovare personale, è difficile trovarlo qualificato; insomma si sommano tante difficoltà che stanno portando molte aziende a decidere di spostarsi.
Hai intenzione di ritornare in Italia?
A breve mi trasferirò negli Stati Uniti, ma al di là di questo il mio obiettivo è ritornare in Italia. Non ho nessuna intenzione di vivere il mio futuro all’estero, per me queste sono solo tappe di passaggio della vita che mi portano a costruire un percorso professionale e personale. Ho bisogno di questa condizione estera, e di altre culture per poterlo fare nel modo più giusto. Ma l’Italia resta per me il mio Paese, il luogo in cui voglio investire, formare la mia famiglia, dove si trovano i miei amici; queste sono per me le condizioni più ottimali per vivere. Chiaramente dal punto di vista professionale però mi mette in difficoltà, e sento un’enorme paura. Mi spiego meglio: io non riesco a immaginarmi mentre torno a lavorare 6 giorni su 7, 12 ore al giorno. Piuttosto preferisco farmi un lungo periodo a casa, perché per come mi conosco rifiuterai ogni tipo di forma di lavoro. Questo è il motivo per cui vorrei tornare a casa non da dipendente, ma da imprenditore che decide di investire su determinato territorio…
Note
1 «Spatriato è il participio passato del verbo spatriare, che sta per “andar via” o come dice la Treccani, “cacciare dalla Patria”. In alcuni dialetti meridionali ha altri significati come: senza meta, incerto, irregolare nell’animo, irrisolto, disorientato, sparpagliato, in alcuni casi persino orfano. Patria invece deriva dal latino e significa “terra dei padri”; quindi lo spatriato può essere chi è rimasto senza padre o patria, o non l’ha mai avuta», M. Desiati.
2 http://italvideonewstv.net/.
3 P. Zanna, “Italiani in Irlanda: comunità, individualità, transnazionalità”, in Altreitalie, Ed. Fondazione Giovanni Agnelli, Gennaio – Giugno 2015, https://www.altreitalie.it/kdocs/78414/84086.pdf.
4 Per maggiori approfondimenti si veda: https://www.irlandaperitaliani.it/italiani-in-irlanda/#:~:text=Ci%20sono%2011.732%20cittadini%20italiani,dai%2014%20anni%20in%20gi%C3%B9.
5Per maggiori approfondimenti si veda: https://www.theguardian.com/world/2023/nov/23/dublin-knife-attack-children-stabbing-ireland-parnell-square.
Foto copertina: “Spatriati”, vita da expat: la comunità italiana in Irlanda tra usi, costumi e politica