Termina dopo soli 466 giorni il primo governo apertamente progressista della storia contemporanea del Perù, guidato da Pedro Castillo.
L’ex maestro e leader sindacalista, Pedro Castillo è stato destituito e arrestato dopo aver ordinato lo scioglimento del Congresso peruviano per realizzare un auto golpe. A sostituirlo, come da prassi, l’ex vicepresidente Dina Bolularte, appartenente allo stesso partito di Castillo, Perù Libre.
16 mesi di fluttuazioni e instabilità politica
La presidenza di Pedro Castillo era iniziata il 28 luglio 2021, dopo un duro scontro elettorale con Keiko Fujimori, figlia del dittatore Alberto Fujimori[1]. Tuttavia, i sogni e le promesse di un cambiamento politico, economico e sociale a favore dei settori dimenticati della popolazione peruviana si sono presto scontrati con l’instabilità politica nazionale e, presumibilmente, con l’inesperienza politica dello stesso Castillo. L’ex presidente, durante i 16 mesi di governo non è stato in grado di realizzare le promesse elettorali, anche a causa dell’ostracismo dei partiti di destra, apertamente ostili al suo governo. Ma non solo, il governo di Castillo sin dall’inizio del suo operato ha dovuto far fronte a numerosi problemi che ne hanno inevitabilmente minato, in partenza, la stabilità. Dapprima, la contendente al ballottaggio Fujimori ha negato la sconfitta, denunciando brogli elettorali; in seguito, sono emersi profondi contrasti e divisioni interne alla coalizione di governo. Un esempio di questa mancata compattezza fra i membri dell’establishment e della coalizione è stata l’incapacità di convergere sulla nomina dei ministri; tanto che, durante il giuramento del primo gabinetto (se ne sono succeduti ben cinque) non sono state incluse le nomine all’Economia e alla Giustizia. A partire da allora, ben 74 persone sono state nominate in successione per guidare diversi ministeri[2]. A peggiorare ulteriormente la situazione, la scelta di sostituire i numerosi funzionari governativi con alcuni alleati politici del tutto privi di esperienza politica e di governo che ha condotto all’avvio di una serie di indagini per corruzione a carico di Castillo e dei suoi familiari. Parallelamente, gli ultimi mesi di governo sono stati caratterizzati dal tentativo di resistere allo spettro della destituzione cedendo diverse porzioni di potere ai partiti di destra, e accettando la nomina di personalità note per la manifesta misoginia e per l’avversione ai diritti della comunità LGBT+. Tutto ciò ha fatto sì che nell’ultima fase di governo Castillo sia stato oggetto, tanto dell’opposizione della destra, quanto delle contestazioni di quei settori sociali che in precedenza l’avevano sostenuto e votato.
Dal “braccio di ferro” istituzionale alla destituzione
Mercoledì 7 dicembre 2022 – poche ore prima che il Congresso votasse su una richiesta di impeachment presentata per la terza volta[3] ai danni di Castillo, a cui si contestava una presunta “incapacità morale permanente” – l’ex presidente si è rivolto alla nazione denunciando l’operato ostruzionista dei membri del Congresso. Questi, secondo Castillo, erano da tempo all’opera nel creare il caos al fine di sovvertire, e limitare formalmente, l’azione del governo eletto. Proseguendo nel suo discorso l’ex presidente, descrive la profonda frattura apertasi a partire dal 29 luglio 2021 con il Congresso, deciso a spingerlo a dimettersi dal suo incarico. Al boicottaggio congressuale viene imputata la mancata concretizzazione di oltre 70 progetti di legge nazionale di cui avrebbero beneficiato i settori più vulnerabili della popolazione. Tra questi si prevedeva: l’accesso gratuito alle università; la realizzazione di una seconda riforma agraria, di una riforma tributaria e di una riforma della giustizia; l’eliminazione dell’attività economica sussidiaria ad opera dallo Stato; la proibizione dei monopoli. Ma non solo, Castillo nel suo discorso ha condannato apertamente l’operato congressuale colpevole, a suo dire, di «aver distrutto lo stato di diritto, la democrazia e la separazione dei poteri modificando la Costituzione con leggi ordinarie, al fine di distruggere l’esecutivo e instaurare una dittatura congressuale. Arrivando all’estremo [il Congresso] ha limitato il potere sovrano del popolo, eliminando l’esecuzione di un referendum popolare»[4]. Alla luce di questa situazione, Castillo si è detto pronto a «stabilire un governo di eccezione, orientato a ristabilire lo stato di diritto»[5]. Tale governo avrebbe dovuto avere il compito di: «sciogliere temporaneamente il Congresso; convocare nel più breve tempo possibile l’elezione di un nuovo Congresso con poteri costituenti, chiamato a scrivere una nuova Costituzione entro un termine non superiore a 9 mesi»[6].
Sebbene Castillo sperasse che le Forze armate avrebbero sostenuto il suo tentativo di colpo di stato, nella pratica gli eventi hanno seguito una piega decisamente differente. Con un breve comunicato l’esercito ha negato il suo sostegno a Castillo, contestando la decisione di sciogliere il Parlamento. A cascata sono giunte le dimissioni dei ministri dell’Economia, della Giustizia, del Lavoro e degli Esteri, oltre che la condanna della sua vice Boularte. Di rimando, e in brevissimo tempo, il Congresso si è riunito per votare la già annunciata mozione di impeachment approvata, senza dibattiti preliminari, con 101 voti favorevoli su 131. Come previsto dalla Costituzione peruviana, dunque, la guida del governo è temporaneamente passata all’ormai ex vicepresidente Boularte che dopo poco ha giurato come presidente. Contemporaneamente, Castillo è stato arrestato con l’accusa di aver tentato di sovvertire l’ordine costituzionale[7].
Quali sono le posizioni degli altri leader latinoamericani?
Mentre nelle strade di Lima e Andahuaylas la cittadinanza si è divisa fra manifestazioni di sostegno, appelli alla scarcerazione e festeggiamenti per la caduta di Castillo, alcuni membri del fronte progressista latinoamericano si sono espressi sulla vicenda. Poco dopo la notizia dell’arresto di Pedro Castillo, il ministro degli esteri messicano Marcel Ebrad, visti gli eventi e le proteste in corso in Perù, ha annunciato la sospensione del vertice dell’Alleanza del Pacifico previsto per il 14 dicembre proprio nella capitale peruviana. Originariamente il vertice si sarebbe dovuto tenere a Città del Messico il 24 novembre. Tuttavia, a fronte del rifiuto del Congresso peruviano a concedere il permesso di viaggio a Castillo e come manifestazione di supporto, i presidenti Obrador, Petro e Boric avevano deciso di accordare la presidenza pro tempore allo stato andino[8]. Il maggiore sostenitore dell’ex presidente peruviano, il suo omologo messicano Obrador, tramite Twitter, ha dichiarato: «Consideriamo un peccato che, a causa degli interessi delle elite economiche e politiche, dall’inizio della presidenza legittima di Pedro Castillo, nei suoi confronti si è mantenuto un clima di scontro e ostilità, portandolo a prendere decisioni che sono state utilizzate dai suoi avversari per arrivare alla sua destituzione tramite il precetto sui generis di “incapacità morale”»[9]. In coda ad Obrador anche il ministro Ebrad che ha confermato di aver ricevuto una richiesta di asilo da parte dell’avvocato di Castillo, e di essere al lavoro con le autorità peruviane per discuterne[10]. Più caute le posizioni del presidente colombiano Gustavo Petro che dichiarato: «Pedro Castillo è stato messo alle strette fin dal primo giorno perché era un professore della Sierra e un presidente eletto a livello popolare. Non è riuscito a mobilitare il popolo che lo aveva eletto; si è lasciato condurre al suicidio politico e democratico»[11]. Proseguendo Petro, pur riconoscendo quello che definisce come “un colpo di stato parlamentare in corso”[12] si oppone alla scelta di Castillo e, in questo senso, dichiara: «Pedro Castillo ha indubbiamente sbagliato a cercare di utilizzare l’articolo della Costituzione peruviana che consente di sciogliere il Congresso, che aveva già deciso di destituirlo, senza rispettare la volontà del popolo. L’antidemocrazia non può essere combattuta con l’antidemocrazia. Spetterà al popolo peruviano, e a nessun altro [il riferimento sottinteso è all’Organizzazione degli Stati Americani], risolvere la crisi istituzionale che si è venuta a creare»[13].
Conclusioni
Gli eventi succedutesi in Perù il 7 dicembre ci restituiscono l’immagine di una crisi esplosa di recente, ma fermentata, degenerata ed esasperatasi nel giro di una manciata di mesi. Pesantissima è l’eredità lasciata alla neo presidente Boularte e ai partiti di sinistra che, oltre a dover affrontare una complessa crisi istituzionale, si dovranno smarcare dall’ingombrante immagine di Castillo. Un’ex presidente che ha fatto ciò che in passato aveva sempre condannato: cercare di rimanere al potere senza rispettare la Costituzione. Con il suo tentativo di colpo di stato e con la chiusura del Parlamento, il comportamento di Castillo è stato interpretato come “autoritario” e “vittimista”, tipico di una personalità che non rispetta le regole del gioco democratico proprio come il suo omologo del passato Alberto Fujimori. Tutto ciò non ha fatto altro che porre una pietra sul suo progetto rivoluzionario, mai realmente concretizzatosi.
Note
[1] Presidente del Perù dal 1990 al 2000. Nel 1992, con l’appoggio delle forze armate, sciolse il Parlamento e sospese la Costituzione, sostituendola con un testo che ampliava i poteri presidenziali. Condannato per violazione dei diritti umani e crimini contro l’umanità per i violenti metodi adottati dagli squadroni della morte da lui controllati nella lotta al Sendero Luminoso e al Movimento Rivoluzionario Tupac Amaru.
[2] Lucio Garriga Olmo, “Una revolución nonata en el país más inestable de la región”, in LetraP, 7/12/2022, consultabile al link: https://www.letrap.com.ar/nota/2022-12-7-19-9-0-una-revolucion-nonata-en-el-pais-mas-inestable-de-la-region.
[3]Le due mozioni precedenti, presentate nei mesi scorsi da alcuni parlamentari di opposizione, erano state respinte perché non avevano raggiunto la maggioranza di voti necessaria. Queste si basavano su alcune accuse di corruzione avanzate nei confronti di Castillo.
[4] Mensaje a la Nación del presidente Pedro Castillo, TV Perù noticias, 7/12/2022, consultabile al link: https://www.youtube.com/watch?v=lfG8PiImmsM.
[5] Ibidem.
[6] Ibidem.
[7] Lucio Garriga Olmo, Op. Cit.
[8] “México anuncia suspensión de Cumbre de la Alianza del Pacífico”, teleSURtv.net, 7/12/2022, consultabile al link: https://www.telesurtv.net/news/mexico-anuncia-suspension-cumbre-alianza-pacifico-20221207-0037.html.
[9] Per maggiori approfondimenti si veda: https://twitter.com/lopezobrador_/status/1600599512363327489?s=20&t=D-7atrAu0_p4Qpdgq9C5Dw.
[10] Per maggiori approfondimenti si veda: https://twitter.com/m_ebrard/status/1600956731562991616?s=20&t=tZiBVtlpNlzWHehcQs1zcA.
[11]Per maggiori approfondimenti si veda: https://twitter.com/petrogustavo/status/1600871947734114305?s=20&t=c4meGJ7NjBD0H_Z9PDjVaw.
[12]Per maggiori approfondimenti si veda: https://twitter.com/petrogustavo/status/1600873216393719809?s=20&t=c4meGJ7NjBD0H_Z9PDjVaw.
[13]Per maggiori approfondimenti si veda: https://twitter.com/petrogustavo/status/1600874498235850752?s=20&t=c4meGJ7NjBD0H_Z9PDjVaw.
Foto copertina: L’ex presidente del Perù Pedro Castillo destituito lo scorso 7 dicembre