Trianon szindróma, la sindrome del Trianon che anima Budapest

Parlamento di Budapest, agosto 2022. Opinio Juris

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Il trattato di pace del Trianon sancì la fine della Prima guerra mondiale tra i paesi dell’Intesa e il Regno di Ungheria. In un colpo solo Budapest perse due/terzi dei suoi territori storici. La sindrome del Trianon ha trovato nella politica sovranista di Orbán la sua cura.


La sindrome del Trianon

Budapest. Il 4 giugno 1920, alle cinque e mezza del pomeriggio, la delegazione ungherese firmò il trattato di pace nel castello del Grand Trianon nel Parco Reale di Versailles.
Il trattato di Trianon, preparato alla Conferenza di pace di Parigi,  sanciva di fatto la fine della Prima guerra mondiale tra i paesi dell’Intesa e il Regno di Ungheria. Gli ungheresi guidati dal conte Albert György Gyula Mária Apponyi, che ironia della sorte, da ministro dell’educazione era stato promotore nel 1907 della legge sulla “magiarizzazione” del paese[1], arrivarono a Parigi il 6 gennaio 1920. Durante i negoziati preliminari, fu subito chiaro agli ungheresi, che i vincitori immaginavano una riduzione pesante del territorio della “Grande Ungheria”, riconoscendo Budapest come responsabile delle colpe degli Asburgo. Il conte Apponyi, in un discorso al Quai d’Orsay, provò a spiegare che l’Ungheria, dopo la caduta del regime bolscevico[1], non rappresentava più una minaccia, che stava subendo un trattamento molto più severo rispetto agli altri Paesi, e che Budapest non sarebbe stata in grado di risarcire i debiti in tempi brevi. Ispirate dai 14 punti di Wilson, dai principi di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli e stabilite sui confini definiti dalle linee di cessate il fuoco nel novembre-dicembre 1918, le clausole del Trattato del Trianon furono durissime per l’Ungheria.
In un colpo solo  Budapest perse tutta la Transilvania, che passò sotto il controllo della Romania[2]; la Transcarpazia all’Ucraina; la Rutenia subcarpatica che divenne parte della Cecoslovacchia; Slavonia e Vojvodina, che si unirono all’appena costituito Regno dei Serbi, Croati e Sloveni, e le città ungheresi di Pécs, Mohács, Baja e Szigetvár, che furono occupate e messe sotto amministrazione provvisoria serbo-croata; Fiume, che  – oggetto di dispute territoriali – fu occupata prima da truppe anglo-francesi e subito dopo (nel settembre 1919) da truppe irregolari italiane che vi restarono, costituendovi uno stato indipendente, fino all’annessione al Regno d’Italia nel 1922; gran parte del Burgenland, che dopo un referendum svoltosi nel dicembre 1921, venne assegnato all’Austria, mentre il territorio di Sopron optò per restare all’Ungheria. Rispetto a quella del Regno di Ungheria, il Paese post-trianon vide ridursi la propria popolazione da 19 a 7 milioni, mentre la superficie territoriale venne ridotta di due terzi. Dopo il 1918, l’Ungheria non ebbe più l’accesso al mare, che invece il Regno di Ungheria aveva avuto, attraverso i territori dell’odierna Croazia, per oltre 800 anni[3].

Trianon szindróma, la sindrome del Trianon

Le pesanti clausole imposte dal Trattato del Trianon, ebbero un profondo impatto sulla popolazione ungherese. Il giorno della firma del trattato, le bandiere furono esposte a mezz’asta, i negozi e le scuole rimasero chiuse, i giornali furono pubblicati con cornici di lutto e le manifestazioni di protesta si verificarono in tutto il Paese. Il senso di frustrazione e di umiliazione prodotto dai diversi trattati di pace che segnarono la fine della Grande Guerra, portarono alla nascita di un forte senso di rivalsa. L’irredentismo correva lungo le traiettorie europee e mediorientali, da Budapest a Berlino, da Roma a Istanbul, da Sofia a Vienna. Le popolazioni e i capi politici nutrivano un forte desiderio di vendetta e di ripristinare i torti subiti alle Conferenze di pace. La Trianon szindróma –  la sindrome del Trianon – ha avuto un grande peso a partire dagli anni ’20 fino al 1945, quando il mantello ideologico comunista ha fatto da tappo per comprimere queste rivendicazioni territoriali. La caduta dell’Unione Sovietica ha fatto saltare il tappo, e dai Balcani all’Eurasia il riassestamento non è stato incruento. La Trianon szindróma, è tornata a circolare a Budapest, nelle città ungheresi della Transilvania. La si percepisce nei discorsi di Victor Orbán e dei leader del suo partito Fidesz.

La rinascita degli imperi

Se c’è un filo che lega Vladimir Putin, Victor Orbán e Recep Tayyip Erdoğan è senza dubbio la narrativa (retorica o meno) di ergersi a difensori dei propri popoli. Lo vediamo nella politica estera di Putin, nelle azioni (esemplare la guerra in Ucraina), ma anche e soprattutto nei discorsi. In quest’ottica, è particolarmente interessante quello rivolto alla nazione la sera del 21 febbraio. Putin, con alle spalle la bandiera dei Romanov con l’aquila a due teste dorata e lo scudo con San Giorgio che uccide un serpente con una lancia, chiarifica il concetto del Russkiy Mir, cioè «mondo russo». Un concetto se vogliamo imperiale, così come imperiale è la politica estera del “sultano” di Ankara basata sulla dottrina Mavi Vatan, (in italiano “Patria Blu”) nata nel 2006 ad opera dell’Ammiraglio Cem Gurdeniz, ma poi sviluppata da Ahmet Davutoğlu. Le conseguenze di Mavi Vatan sono chiarissime, si parla di una politica neo-ottomana che vede la Turchia impegnata ed attiva dalla Libia alla Palestina, ma soprattutto da Cipro alla contrapposizione con Atene[4].
Orbán non sfugge a questa dialettica. La Trianon szindróma, diventa particolarmente utile alla narrativa orbaniana che riunisce gli ungheresi attorno a una causa comune. Il partito Fidesz ha dimostrato di essere un maestro nel capitalizzare la politica della memoria, mentre si dipinge come l’unica forza politica in grado di difendere gli interessi della nazione e delle minoranze ungheresi sparse nelle Terre della Corona di Santo Stefano dell’Austria-Ungheria. Temi sentiti a Budapest. Negli anni ’90, la riunificazione pacifica degli ungheresi etnici e la protezione dei loro diritti delle minoranze erano tra i pilastri principali della politica estera ungherese, condivisa da tutto lo spettro politico da sinistra a destra. Oggi però la sinistra che ha guardato all’Ue come “ombrello” capace di superare questi discorsi, prendendo le distanze da concetti come statualità e identità nazionale, si è ritrovata di fatto a relegare a Fidesz e Orbán la teorica difesa delle minoranze ungheresi al di fuori dei confini nazionali – e quindi della memoria storica. Nel 2004, in occasione del referendum che avrebbe dato la cittadinanza ungherese a coloro che vivevano fuori dall’Ungheria, la sinistra guidata dal primo ministro Ferenc Gyurcsany del Partito socialista ha esortato gli elettori a opporsi, mentre Fidesz ha fatto una forte campagna per il “sì”, descrivendo il voto come un’opportunità per riunire una nazione dilaniata da Trianon. E nel 2010, una volta al potere, Orbán ha prima concesso la cittadinanza e il diritto di voto agli ungheresi etnici oltre i confini del Paese, e poi ha introdotto la Giornata annuale dell’unità nazionale il 5 giugno, per “piangere” l’ingiustizia di Trianon[5]. Dicevamo temi sensibili a Budapest e dintorni, il che spiega almeno in parte, l’enorme popolarità di Orbán, criticato in Europa ma acclamato in patria.
Chiaramente l’obiettivo di Orbán non è quello di una riappropriazione territoriale (o almeno si spera), ma la volontà di farsi garante degli ungheresi etnici sparsi negli ex-territori della Corona. In alcuni casi, questa politica va avanti senza grandi intoppi -come nella Voivodina. dove vivono circa 250mila ungheresi di Serbia. Qui l’ungherese è una delle lingue ufficiali della regione, e l’attivismo di Budapest non è visto con sospetto da Belgrado, ma anzi come un’occasione per stringere rapporti tra i due Paesi.
Al contrario, maggiori problemi vedono impegnata la Romania in Transilvania. Qui sono presenti il 20% degli ungheresi residenti in Romania, con punte del 90% in alcuni villaggi nella regione di Szeklerland nel distretto di Mureș luogo di violenti scontri negli anni ’90[6]. Budapest finanzia giornali, canali televisivi, radio di lingua ungherese, ed è supportata da un partito -L’Unione Democratica Magiara di Romania (Romániai Magyar Demokrata Szövetség RMDSZ)[7]. Un attivismo guardando con profonda preoccupazione da Bucarest. Discorso simile riguarda la Transcarpazia in Ucraina. Queste terre hanno fatto parte del Regno d’Ungheria sin dall’896, e ancora oggi gli ungheresi rappresentano il 12% della popolazione. Ma l’importanza della Transcarpazia è soprattutto simbolica: come ben spiegato da Emanuel Pietrobon e Andrea Muratore nel libro “La visione di Orbán[8]”, all’interno della regione è presente la città di Ungvär (Užhorod in ucraino) fondata da Árpád capo delle tribù magiare, e che ha dato il nome all’Ungheria. Un legame profondo che Budapest non può e non vuole ignorare. In particolare dopo il 2017, quando Kiev decise, soprattutto in chiave anti-russa, di limitare i diritti linguistici delle minoranze e quindi anche a quelle ungheresi. La forte contrapposizione Budapest-Kiev, ben prima della recente guerra, ha portato da un lato al divieto d’ingresso sul suolo ucraino per alcuni parlamentari ungheresi,[9] e dall’altro il veto di Orbán all’adesione di Kiev a NATO e UE.

Quale futuro?

Così come sta accadendo per il concetto del Russkiy Mir di Putin, non possiamo sapere se anche il Mavi Vatan di Erdoğan e la Trianon szindróma, di Orban troveranno una valvola militare nel futuro, ma c’è un rischio concreto. Se la guerra in Ucraina dovesse proseguire a lungo, non è completamente da escludere che Budapest ne possa approfittare per poter rimettere le mani sulle Terre della Corona di Santo Stefano ai fini di “proteggere” le minoranze ungheresi. Una cosa è certa: se è vero che l’evoluzione delle società umane è imprevedibile e quindi la conoscenza della storia non dà garanzia della previsione del futuro, è anche vero che la storia è fatta di processi lunghissimi. La guerra nei Balcani degli anni ’90 e ciò che sta accendo in Ucraina oggi sono da considerare fenomeni nuovi, o solo una nuova tappa di una sanguinosa storia europea?


Note

[1] Nota come Leggi Apponyi o Lex Apponyi, prevedeva l’insegnamento della lingua ungherese per i primi quattro anni di scuola. Il governo ungherese con tale legge stabilì che tutti i cittadini dovessero essere in grado di comprendere, parlare e scrivere la lingua ungherese. Il passaggio di questa legge causò vari risentimenti presso le comunità linguistiche minori dell’Ungheria.
[2] La Repubblica Sovietica Ungherese è stata la forma di governo dell’Ungheria dal 21 marzo 1919 fino all’inizio di agosto dello stesso anno e succedette alla Repubblica Democratica di Ungheria. Il capo del governo era il socialdemocratico Sándor Garbai, ma ben più forte fu l’influenza del ministro degli esteri, il comunista Béla Kun. Incapace di raggiungere un accordo con la Triplice intesa pur mantenendo il blocco economico dell’Ungheria, tormentata dai paesi vicini per controversie territoriali e investita da un profondo cambiamento sociale interno, la repubblica fallì nei suoi obiettivi e fu abolita dopo pochi mesi dalla sua esistenza.
[3] Come conseguenza del secondo arbitrato di Vienna nell’agosto del 1940, sotto pressione della Germania e dell’Italia, la Romania si obbligò a restituire all’Ungheria la Transilvania settentrionale, un territorio di 43.492 km² e 2.609.007 abitanti che si incuneava profondamente nei Carpazi fino a includere l’area popolata dagli Székely.
[4] https://mult-kor.hu/cikk.php?id=9982
[5] https://www.opiniojuris.it/grecia-e-turchia-ai-ferri-corti/
[6] https://balkaninsight.com/2019/11/25/how-hungarys-trianon-trauma-inflames-identity-politics/
[7] https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1990/03/21/caccia-all-ungherese-in-transilvania.html
[8] http://www.udmr.ro/
[9] https://www.opiniojuris.it/la-visione-di-orban/
[10] Attila Tilki (Fidesz), Lorinc Nacsa (KDNP) e Krisztìan Forrò.


Foto copertina: Parlamento di Budapest, agosto 2022. Opinio Juris