Il report ad opera della MillsLegalClinic della StanfordLawSchool e di Human Rights Watch mette in luce un attacco sistematico diretto contro una popolazione. Dalla ricerca emerge la relazione tra l’operato della Cina ed i crimini contro l’umanità.
Secondo lo Statuto di Roma[1], i crimini contro l’umanità sono atti commessi come parte di un attacco diffuso o sistematico contro qualsiasi popolazione civile. ONG, media e documenti interni al partito comunista cinese[2] mostrano che la Cina ha commesso e continua a commettere crimini contro l’umanità.
L’oppressione dei musulmani da parte del governo cinese non è un fenomeno nuovo, ma negli ultimi anni ha raggiunto livelli senza precedenti.
Un milione di persone è stato detenuto arbitrariamente in campi di “educazione politica”, centri di detenzione preventiva e prigioni[3].
I tribunali responsabili delle dure sentenze detentive non hanno consentito un giusto processo (due process of Law). L’invio di una registrazione religiosa islamica ad un familiare o l’aver scaricato eBook in uiguro sono stati considerati comportamenti sufficienti per comminare anni di detenzione.
Nel 2017, secondo le statistiche ufficiali, gli arresti nello Xinjiang hanno rappresentato il 21% del totale, nonostante gli abitanti dello Xinjiang costituiscano l’1,5% della popolazione. Dal 2017, le autorità cinesi hanno usato vari pretesti per danneggiare o distruggere due terzi delle moschee della regione.
I detenuti e i prigionieri sono sottoposti a torture, maltrattamenti, indottrinamento culturale e politico e costretti ai lavori forzati.
Ma l’oppressione continua anche fuori dalle strutture di detenzione. Come risultato, le autorità cinesi impongono ai musulmani un sistema pervasivo di sorveglianza di massa e controlli sui movimenti.
Background: le origini storiche dei crimini commessi nello Xinjiang
La regione autonoma uigura dello Xinjiang[4], situata nel nord-ovest della Cina, è l’unica regione in Cina con una popolazione musulmana maggioritaria. Gli uiguri, i kazaki, i kirghisi e altre comunità della regione sono etnicamente turche.
A differenza della maggioranza dei cinesi Han, che sono principalmente di lingua cinese, la popolazione turca è prevalentemente musulmana e ha le proprie lingue.
Le autorità cinesi iniziarono ad attuare politiche discriminatorie nel 1949, quando il governo della Cina iniziò a inviare l’Esercito Popolare di Liberazione nello Xinjiang[5].
Negli anni ’90, il crollo dell’Unione Sovietica e il timore di instabilità nella regione hanno spinto un secondo massiccio sforzo di assimilazione nella regione.
Come parte del suo piano “Grande Sviluppo del Nord-Ovest”, il governo ha introdotto incentivi economici per attirare i coloni Han. Questo portò all’arrivo di uno o due milioni di cinesi Han nello Xinjiang tra il 1999 e il 2009.
Le crescenti tensioni hanno portato a proteste pacifiche da parte dei musulmani turchi nel febbraio 1997 nella città di Ghulja. Alle proteste seguì una massiccia repressione da parte dell’Ufficio di Pubblica Sicurezza e della Polizia Armata del Popolo.
Nel corso degli anni, le autorità hanno aumentato, quindi, la presenza delle forze di sicurezza in tutta la regione.
La tesi portata avanti da Pechino è che i musulmani turchi sono una minaccia etno-nazionalista per la regione. È stato affermato che lo Xinjiang è un terreno fertile per le “tre forze del male”: separatismo, terrorismo ed estremismo.
Dall’ascesa al potere di Xi Jinping nel 2013, il governo cinese ha perseguito aggressivamente politiche di assimilazione delle minoranze etniche.
Si insiste sempre più sulla “Sinizzazione” di quelle comunità, spinta dal nazionalismo e, in molti casi, dall’islamofobia dentro e fuori la Cina[6].
Quali crimini contro l’umanità commette la Cina?
Almeno dal 2014, anno della “Campagna dura contro il terrorismo violento”[7], il governo cinese ha sottoposto i musulmani turchi a vari crimini contro l’umanità.
Detenzioni arbitrarie di massa. Il numero di musulmani detenuti dall’inizio della repressione è sconosciuto ma è ampiamente accettato che sia tra diverse centinaia di migliaia e un milione[8]. La maggior parte dei detenuti nei campi di educazione politica non sono mai accusati di alcun crimine. I funzionari cinesi riconoscono che non si tratti di criminali ma affermano sia necessario detenerli per il loro bene perché sono stati infettati da pensieri malsani”[9].
Tortura e altri maltrattamenti in custodia. Il database delle vittime dello Xinjiang ha riportato 177 morti di detenuti in varie parti dello Xinjiang[10]. La maggior parte muore durante la detenzione e alcuni dopo il rilascio a causa di ferite subite durante la detenzione.
Sparizioni forzate. In molti casi, i parenti non hanno avuto notizie su dove si trovassero o sul benessere dei loro familiari detenuti[11]. Una piattaforma online che permette ai parenti dei detenuti e agli attivisti di denunciare le sparizioni ha registrato più di 11.500 testimonianze.
Sorveglianza di massa. Una delle principali caratteristiche della campagna “Strike Hard” è il dispiegamento di fanghuiju (访惠聚)nello Xinjiang. Centinaia di migliaia di quadri governativi sono di stanza nei villaggi, visitano e sorvegliano regolarmente le persone e le sottopongono alla propaganda politica. Un altro aspetto di questa sorveglianza di massa dei musulmani turchi è la raccolta estesa e obbligatoria dei loro dati biometrici[12]. Le autorità raccolgono campioni di DNA, impronte digitali, scansioni dell’iride e gruppi sanguigni di tutti i residenti tra i 12 e i 65 anni. I dati biometrici dei musulmani sono raccolti senza scelta o consenso informato.
Come ha reagito la comunità internazionale?
La risposta globale alla condotta cinese è stata nel tempo sempre più critica. Alcuni governi – Canada, Unione Europea, Regno Unito e gli Stati Uniti – hanno imposto sanzioni mirate a funzionari del governo cinese e alle aziende implicate nelle violazioni dei diritti.
Tuttavia, molti governi, compresi diversi membri dell’Organizzazione per la Cooperazione Islamica, ancora lodano le politiche del governo cinese nello Xinjiang.
Nel luglio 2019, due dozzine di governi hanno inviato una lettera al presidente del Consiglio dei diritti umani. Si sollecitava un “accesso significativo” dell’Alto commissario Onu per i diritti umani nello Xinjiang e il monitoraggio dei presunti abusi contro la popolazione musulmana.
Nel giugno 2020, 50 esperti indipendenti delle Nazioni Unite – relatori speciali, gruppi di lavoro e altri esperti di diritti umani – hanno fortemente criticato la Cina per la repressione delle minoranze religiose ed etniche nello Xinjiang[13].
Gli esperti hanno richiesto una sessione speciale del Consiglio dei Diritti Umani sulla Cina, per la creazione di un meccanismo di monitoraggio delle Nazioni Unite sulla Cina.
Nell’ottobre 2020, un gruppo interregionale di 39 governi ha emesso un severo rimprovero pubblico delle diffuse violazioni dei diritti umani nello Xinjiang da parte del governo cinese.
Il Dipartimento di Stato degli USA e i parlamenti di Belgio, Canada e Paesi Bassi hanno stabilito che la condotta della Cina costituisce genocidio.
Quali sono gli strumenti giuridici disponibili?
Storicamente, nonostante le pressioni, il governo cinese non ha condotto indagini su gravi violazioni dei diritti umani invocando il principio di sovranità.
Secondo lo Statuto di Roma[14], entrato in vigore nel 2002, la corte penale internazionale si occupa di indagare su violazioni di questo tipo. La corte, però, può intervenire solo in determinati casi.
La CPI può intraprendere un’indagine penale e un’azione penale se i presunti colpevoli sono cittadini di uno stato che è parte del trattato della CPI, se le presunte violazioni sono commesse nel territorio di uno Stato membro della CPI membro della CPI, o se uno stato non membro chiede alla CPI di considerare le violazioni commesse sul suo territorio.
La Cina non è parte dello statuto della CPI. Mentre la CPI potrebbe assumere la giurisdizione se il Consiglio di Sicurezza dell’ONU riferisse la situazione nello Xinjiang alla corte.
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Poiché la Cina è un membro permanente del Consiglio di Sicurezza, il suo potere di veto potrebbe ostacolare tale azione.
Un approccio possibile, quindi, potrebbe essere l’istituzione di una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite (COI) per indagare sulla Cina ed i crimini contro l’umanità.
La COI dovrebbe avere il mandato per stabilire i fatti, identificare i colpevoli e fare raccomandazioni per garantire la accountability.
La COI potrebbe essere istituita attraverso una risoluzione adottata dal Consiglio per i diritti umani dell’ONU.
L’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani potrebbe altresì esercitare il suo potere di monitoraggio e rendicontazione per raccogliere informazioni, parlare pubblicamente dei risultati.
Preparare rapporti sulla situazione dei diritti umani nello Xinjiang e tenere il Consiglio dei diritti umani regolarmente informato è, infatti, un elemento fondamentale per porre fine a certi fenomeni.
Note
[1] Statuto di Roma, art. 7(1)(a).
[2] https://www.icij.org/investigations/china-cables/exposed-chinas-operating-manuals-for-mass-internment-and-arrest-by-algorithm/
[3] https://www.aspi.org.au/report/mapping-xinjiangs-re-education-camps
[4] https://www.opiniojuris.it/adem-yoq-ne-andati-tutti-la-repressione-degli-uiguri-nella-regione-dello-xinjiang/
[5] https://www.hrw.org/news/2009/07/09/behind-violence-xinjiang
[6] https://www.readingthechinadream.com/deng-yuwen-chinese-statism.html
[7] https://www.chinadaily.com.cn/china/2014-05/26/content_17541318.htm
[8] https://www.nchrd.org/2018/08/china-massive-numbers-of-uyghurs-other-ethnic-minorities-forced-into-re-education-programs/
[9]https://www.nytimes.com/interactive/2019/11/16/world/asia/china-xinjiang-documents.html
[10]https://shahit.biz/eng/#filter
[11]https://www.nytimes.com/2019/02/17/world/asia/uighurs-china-internment-camps.html
[12]https://www.hrw.org/sites/default/files/report_pdf/china0519_web5.pdf
[13]https://www.ohchr.org/EN/NewsEvents/Pages/DisplayNews.aspx?NewsID=26006
[14] https://www.icc-cpi.int/Publications/Rome-Statute.pdf
Foto copertina:Tre appartenenti all’etnia uiguri nella città vecchia di Kashgar, in Cina © Christian Ader/iStockPhoto