L’Europa di domani: intervista ad Alessandro Zan


Alessandro Zan attivista, responsabile Diritti nella Segreteria del Partito democratico, politico ed Europarlamentare è stato eletto nella circoscrizione Italia Nord-Orientale lo scorso giugno durante le ultime elezioni. Padovano, classe 1973, prima di approdare in Europa è stato Deputato della Repubblica per tre legislature (XVII, XVIII e XIX). Noto per le sue battaglie per i diritti civili e a favore della comunità LGBTQIA+ a luglio è stato eletto come vicepresidente della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo.


Abbiamo raggiunto l’Onorevole Zan per porgli qualche domanda ed avere il suo punto di vista sulle prospettive della prossima legislatura europea che sta muovendo in questi mesi i suoi primi passi. È stato uno scambio interessante che ha cercato di porre l’accento sia sui risultati delle urne, che hanno visto l’aumento un po’ ovunque dell’estrema destra ma che non è riuscita a sfondare, sia sui prossimi passi istituzionali con la nomina della nuova Commissione. Sullo sfondo, ovviamente, i temi più importanti del dibattito attuale.

L’avanzata della destra estrema in tutta Europa è da molti considerata una minaccia alla stessa sopravvivenza delle democrazie liberali. Le chiedo due riflessioni: la prima è sulla ragione di questa “marea nera” che si alza ovunque; la seconda, è se Lei non ritenga che parte della responsabilità risieda anche nei partiti progressisti.

Il crescente successo delle forze di estrema destra in Europa è una minaccia alla stabilità delle democrazie liberali. Le cause di questa “marea nera”, che si alza in diverse nazioni, sono molteplici. È ormai diffuso un sentimento di insicurezza sociale ed economica che, soprattutto dopo le crisi finanziarie e la pandemia, ha alimentato la paura e il risentimento. Molte persone si sentono abbandonate dalle istituzioni e dalla politica tradizionale, e le forze di destra capitalizzano su questi sentimenti proponendo soluzioni semplici a problemi complessi, come la chiusura delle frontiere o il nazionalismo economico. Di fronte a ciò, una certa incapacità delle istituzioni europee e nazionali di rispondere in modo efficace a questioni come l’immigrazione o la disuguaglianza è evidente. Questi temi sono stati strumentalizzati dalle destre, che spesso identificano un nemico esterno ed interno per rafforzare un senso di identità e appartenenza tra la popolazione.
Detto questo, è importante riflettere anche sul ruolo dei partiti progressisti. È necessario che tornino a parlare direttamente alle persone, affrontando con pragmatismo i problemi quotidiani e offrendo soluzioni concrete, senza lasciare spazio a semplificazioni pericolose. Laddove si è riusciti a mettere al centro del dibattito temi come il lavoro, i diritti civili e sociali e l’ambiente, la destra è stata fermata, dimostrando che una politica basata sull’inclusione e sulla giustizia sociale è la vera alternativa al populismo reazionario.

A proposito della necessità di trovare un nemico (l’immigrato irregolare, il mendicante, la comunità gay, tutti coloro i quali minacciano l’identità nazionale) questo sembra essere una caratteristica di tutte le destre estreme. È innegabile, tuttavia, che la destra in Italia sia diversa da quella, ad esempio, presente in Francia dove Marine Le Pen ha votato a favore dell’inserimento dell’IVG in Costituzione, mentre in Italia l’accesso all’aborto sembra peggiorare. Lei ritiene che alcune posizioni estremiste siano frutto davvero di una convinzione o piuttosto di un utilizzo strumentale degli istinti più bassi dell’elettorato.

Analizzando attentamente le destre europee, pur rilevando un pattern comune nella creazione di nemici, si possono evidenziare delle significative differenze ideologiche e programmatiche a seconda dei contesti nazionali. In Italia, ad esempio, assistiamo a una retorica incentrata sull’immigrazione e sulla difesa dell’identità culturale nazionale. Tuttavia, su temi come l’aborto, la situazione diverge nettamente rispetto ad altri paesi. In Francia, Marine Le Pen ha votato a favore dell’inserimento dell’Interruzione volontaria della gravidanza nella Costituzione, mentre in Italia stiamo osservando una riduzione dell’accesso all’aborto, con l’aumento di regioni che restringono i diritti delle donne attraverso politiche locali. Questo dato si riflette, ad esempio, nel recente rapporto dell’Associazione Luca Coscioni, che sottolinea come in alcune regioni italiane il tasso di obiezione di coscienza dei medici raggiunga l’80%. Dal punto di vista dell’approccio politico, le posizioni estremiste della destra possono essere lette sia come espressione di un’ideologia consolidata, sia come un utilizzo strumentale delle paure e delle tensioni sociali. La costruzione di un nemico, che si tratti dell’immigrato, del mendicante o della comunità LGBTQIA+, è una strategia comunicativa che mobilita l’elettorato facendo leva su paure identitarie e sulla percezione di insicurezza, spesso amplificata da certi media. Le destre europee soffrono e soffriranno sempre di più per le loro spaccature, ad esempio sull’economia, come sulle grandi questioni geopolitiche. Questo riflette il carattere strumentale di alcune posizioni, la frequente oscillazione tra estremismi e approcci più moderati durante le campagne elettorali suggerisce che tali temi vengano spesso utilizzati per fini elettorali. L’estremismo del governo di destra in Italia si distingue per un equilibrio tra ideologia e opportunismo politico, modulato a seconda delle necessità elettorali e del contesto. L’unica cosa certa oggi è l’inasprimento del clima. La mozione Sasso e la criminalizzazione universale della GPA sono esempi chiari dell’attacco sistematico della destra ai diritti delle persone LGBTQIA+ e alla libertà di scelta. La mozione vieta il riconoscimento delle famiglie arcobaleno, mentre la GPA viene criminalizzata anche se praticata all’estero, dimostrando come la destra cerchi di imporre un modello familiare esclusivamente tradizionale. Difendere il diritto di formare una famiglia e la libertà di scelta è una battaglia centrale per garantire una società inclusiva e giusta.

È proprio sulla mozione Sasso, denominata “anti Gender” e sulle norme che hanno reso la GPA reato universale o hanno permesso l’arrivo dei pro vita nei consultori che desidero porLe la prossima domanda. Innanzitutto le chiedo se mi potesse spiegare qual è il senso della mozione anti gender e poi cosa voglia ottenere il governo con queste norme.

La mozione sulla “propaganda gender” è l’ennesimo esempio di come la destra in Italia stia costruendo una narrazione distorta e pericolosa per alimentare paura e odio verso la comunità LGBTQIA+. Con questa risoluzione, non si vuole solo reprimere il dibattito sull’identità di genere o limitare le iniziative educative nelle scuole, ma di consolidare una vera e propria campagna ideologica basata sulla discriminazione e la cancellazione dei diritti. Questo approccio utilizza in modo strategico termini come “propaganda gender” per generare confusione e disinformazione. La destra cerca di dipingere le battaglie per i diritti civili e l’inclusione come un attacco ai valori tradizionali, presentando la comunità LGBTQIA+ come una minaccia alla stabilità sociale e morale del Paese. Questa retorica, costruita ad arte, è studiata per polarizzare l’opinione pubblica e non è solo una censura contro il libero insegnamento e la conoscenza, ma una manovra politica che sfrutta le paure più profonde di una parte dell’elettorato. La destra sa bene che puntare sull’insicurezza identitaria e culturale può essere un’arma potente per consolidare il proprio consenso. Parlare di “propaganda gender” serve a mobilitare una base elettorale conservatrice, enfatizzando un nemico invisibile fabbricato ad arte per giustificare politiche regressive e autoritarie. Dietro questi attacchi c’è una volontà chiara: cancellare i progressi fatti in termini di diritti e inclusione. Le persone LGBTQIA+ diventano così bersagli strumentali in una guerra culturale volta a rafforzare un’idea retrograda e patriarcale di società. Contemporaneamente, portano avanti altre misure come la criminalizzazione universale della gestazione per altri e l’infiltrazione di gruppi pro-vita nei consultori, consolidando un controllo sempre più rigido sui corpi e sulle scelte delle persone. Questa visione regressiva e strumentale, inoltre, lega indissolubilmente la lettura delle trasformazioni della società e del mondo a quella che danno i regimi autoritari, e in particolare della Russia di Putin. Questa strategia, tuttavia, non riguarda solo la comunità LGBTQIA+, ma colpisce il cuore della democrazia e della libertà individuale. Se si permette che una minoranza venga marginalizzata e attaccata in questo modo, chi sarà il prossimo bersaglio? Questa è una domanda che ogni cittadino dovrebbe porsi.

Parlando del rapporto con regimi che difficilmente possono definirsi completamente democratici, viene sicuramente in mente il rapporto piuttosto stretto che Giorgia Meloni ha con Viktor Orbán. Rispondendo alle accuse che le sono state mosse, la Premier ha affermato più volte che è necessario parlare e dialogare con tutti e che non esistono in UE paesi di serie A e serie B. Nel frattempo, però, l’Ungheria scivola sempre più in una situazione che difficilmente può essere considerata compatibile con i principi stessi dell’UE. Da un certo punto di vista Meloni ha ragione, non pensa?

Non credo esistano paesi di serie A e di serie B, esistono paesi rispettosi delle regole che ci siamo dati, che tutelano i principi e i valori europei, ed altri che usano l’Unione europea come bancomat e cassa di risonanza per la propaganda illiberale nazionale. L’Ungheria di Viktor Orbán appartiene al secondo gruppo di paesi, non c’è dubbio. Un governo corrotto, che batte il pugno su libertà e diritti fondamentali, non rispettoso dello stato di diritto, che viola l’indipendenza della magistratura e imbavaglia la stampa, che strizza l’occhio a Putin e alla Cina, contro cui ci sono svariati casi di infrazione UE e il Parlamento europeo ha avviato la procedura prevista dall’Articolo 7 TUE per sospendere i diritti dello stato membro a fronte di gravi violazioni dei principi UE. Governi illiberali come quelli di Orbán non possono rimanere impuniti e al contempo godere appieno dei benefici dell’UE. Chi si è arroccato fin dall’inizio su posizioni intransigenti e ha rifiutato il dialogo è lo stesso Orbán, e servono azioni forti e decisive per fermare questa deriva, che, altrimenti, potrebbe contagiare anche altri paesi. La nostra Unione si fonda su valori comuni, non su relazioni opportunistiche come vorrebbero Orbán e Meloni.

Passiamo ora delle prospettive dell’UE. Da candidato alle Europee 2024 Lei ha auspicato un’Europa più politica citando, ad esempio l’azione esterna o una fiscalità comune. Innanzitutto, le chiedo è davvero possibile anche solo immaginare una politica estera unitaria quando ognuno dei 27 persegue le proprie linee autonome e gli interessi sono necessariamente confliggenti (basta guardare alla guerra in Ucraina)? In secondo luogo, le chiedo quali iniziative Lei si auspicherebbe che l’Italia prendesse per migliorare quel Gigante dai piedi d’argilla che è l’UE.

Le sfide del presente richiedono una visione rinnovata in grado di fornire risposte all’altezza dei tempi e quanto mai ambiziose. Credo fermamente che lavorare per una maggiore integrazione europea sia parte di questa ambizione, in quanto nessuno Stato membro da solo è in grado di far fronte a tutte le trasformazioni ed evoluzioni che stiamo affrontando. Penso agli sconvolgimenti geopolitici e alla competizione globale, alla trasformazione digitale, alla transizione verde, così come all’allargamento dell’UE, un processo che inesorabilmente deve essere accompagnato da un rinnovato rafforzamento della governance europea e dunque dalla costruzione di un’Unione veramente politica, in linea con i valori fondanti dell’UE, come il rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto.
Guardando alla politica estera comune appare sempre più evidente la necessità di una sua riforma sostanziale. L’UE rimane un attore di primo piano a livello globale, un attore costruttore di pace che opera in un contesto sempre più difficile e pericoloso. Le tragedie che si consumano ai nostri confini e in altre parti del mondo ne sono un triste esempio. Per essere un attore ancora credibile e in grado di far fronte a questi sconvolgimenti, l’UE deve dotarsi di strumenti adeguati: riformare i Trattati per aggiornare regole obsolete come l’unanimità, aumentare le risorse per l’azione esterna e dotarsi di un vero Commissario per la politica estera.
Superare il diritto di veto degli Stati membri rimane, forse, l’obiettivo più ambizioso, per permettere infine all’UE di smarcarsi dagli egoismi nazionali. Per mesi il sostegno dell’UE all’Ucraina, una priorità assoluta, è stato frenato dal governo ungherese, quasi paralizzandoci, una dinamica che evidenzia l’urgenza di riforme sostanziali. Oggi, con la crisi in Medio Oriente, vediamo il replicarsi di dinamiche simili sotto altre vesti. Ci sono delle proposte sul tavolo e il Parlamento europeo ha redatto una relazione volta a indicare misure concrete al fine riformare l’Unione e i suoi Trattati. Ovviamente vi è un dialogo aperto con le altre Istituzioni europee e in tale contesto, l’Italia, in qualità di stato fondatore, ha una grande responsabilità nel sostenere questo processo e accompagnare riforme quanto mai necessarie. Per essere realmente all’altezza di queste aspettative, l’Italia deve necessariamente smarcarsi dalla retorica sovranista che contraddistingue l’attuale maggioranza, una retorica che costringe l’UE ad un immobilismo pericoloso, che può solo condurre ad una lenta agonia, come già evidenziato nel rapporto Draghi.

Per la prima volta alle scorse europee meno del 50% degli italiani aventi diritto si è recato alle urne, un fatto sicuramente non nuovo ma che pare accelerare. Quale ragione ritiene sia alla base di questo fenomeno che non fa ben sperare per le sorti della democrazia?

La riduzione della partecipazione elettorale alle ultime elezioni europee è un fenomeno che si inserisce in una tendenza strutturale e che riflette profonde dinamiche sociali e politiche. Per analizzare le cause di questo declino, è necessario considerare diversi fattori chiave, supportati anche da dati e studi recenti.
Le politiche di austerità e l’incapacità dell’Unione Europea di dare risposte concrete alle crisi sociali ed economiche hanno alimentato la sfiducia nell’elettorato. Secondo il Barometro della Democrazia Europea, quasi la metà degli europei ritiene che le istituzioni dell’UE non siano rappresentative dei loro interessi. Questo dato deve far riflettere. In questo contesto, la soluzione non è certo la retorica sovranista, ma una Europa più democratica e sociale, che metta al centro il lavoro, i diritti e l’uguaglianza. Dobbiamo coinvolgere direttamente i cittadini nei processi decisionali e garantire che l’Unione Europea continui ad essere uno strumento di progresso sociale e non un sistema che perpetua le disuguaglianze.
Se vogliamo riavvicinare le persone alle urne, dobbiamo fare in modo che vedano nell’Europa una forza che agisce per loro, non contro di loro, chiarendo che l’unica risposta a questa destra è un’Europa forte, unita e progressista.

A fatica il nostro governo ha deciso di proporre il Ministro Fitto alla Commissione, salutando la nomina come una grande vittoria dell’Italia. Ma è davvero così? Qual è secondo Lei la posizione dell’Italia in Europa? È vero che l’Italia è tornata, come dice la Premier?

Inizierei chiarendo un punto fondamentale: la nomina di Raffaele Fitto commissario europeo cela un’incoerenza di fondo frutto, cioè le posizioni sovraniste della sua famiglia politica da un lato, e dall’altro porsi quale interprete europeista. È una contraddizione intrinseca che apre a diversi interrogativi e ridimensiona enormemente quella che è stata venduta dalla Presidente Meloni come una vittoria dell’Italia.
In primis, c’è un problema politico ed è la sua nomina a vicepresidente esecutivo della Commissione europea. Il Gruppo dei Conservatori e Riformisti (ECR), a cui appartiene Fitto, non ha sostenuto l’elezione di Ursula Von der Leyen a presidente della Commissione, l’ha sfiduciata. ECR, e quindi Fitto, non fanno parte della maggioranza Ursula in Europa ed è lecito domandarsi perché ECR debba ottenere un vicepresidente esecutivo e fino a che punto Fitto riuscirà a gestire i due portafogli di coesione e riforme rispettando l’agenda politica dell’attuale maggioranza Ursula.
In secondo luogo, gli alleati in Europa di Meloni non forniscono una base politica valida per poter portare avanti politiche europeiste a beneficio dell’Italia. È qui che emergono con tutta la loro forza le contraddizioni del campo sovranista, unito dalla demagogia e la compressione dei diritti, ma diviso nel merito delle politiche, come quelle migratorie, fiscali o, guadando avanti, a riforme sostanziali come la creazione di debito comune. Se i principali alleati del governo Meloni in Europa chiedono rispettivamente la chiusura delle frontiere, politiche fiscali rigoriste, taglio del budget europeo, viene da chiedersi come tali alleanze possano avere ripercussioni positive sullo sviluppo del nostro Paese e sulle riforme europee di cui tanto abbiamo bisogno.
Piroette politiche squisitamente sovraniste che inevitabilmente avranno delle ricadute sulla posizione e la credibilità dell’Italia in Europa. Sarei dunque cauto nel parlare di grande vittoria. La palla è ora nella mano del Parlamento europeo; stiamo analizzando le candidature dei Commissari, attendiamo le audizioni e nel corso delle prossime settimane ci pronunceremo. Concluderei dicendo che non credo sia corretto affermare che l’Italia sia oggi tornata in Europa: l’Italia c’è sempre stata. Semmai, ora, a causa di queste contraddizioni, rischiamo di esserci di meno.

Un’ultima domanda sul dibattito sulla cittadinanza che si è aperto la scorsa estate. È stato depositato un quesito, Tajani ha deciso di presentare una proposta di legge sullo ius scholae, la Lega ha fatto muro. Nel frattempo ci sono centinaia di migliaia di potenziali cittadini che rimangono nel limbo burocratico. Pensa che si possano fare dei passi in avanti?

Lo ius scholae è solo il primo passo verso una riforma più ampia e giusta della cittadinanza in Italia. Parliamo di riconoscere a migliaia di giovani, che sono cresciuti nel nostro Paese e ne condividono valori e cultura, il diritto di essere italiani a tutti gli effetti. Non possiamo continuare a trattare questi ragazzi come cittadini di serie B solo per una visione ristretta e superata della cittadinanza, che si aggrappa a criteri ormai anacronistici. Ma il vero orizzonte per la sinistra non può fermarsi qui: la battaglia deve essere per una riforma complessiva della cittadinanza, che includa lo ius soli e che riconosca pienamente l’appartenenza a chi contribuisce a costruire il futuro di questo Paese, indipendentemente dalle origini dei genitori.
La destra, invece, continua a sfruttare la questione della cittadinanza come terreno di scontro ideologico, alimentando paure e divisioni. La Lega, in particolare, blocca ogni riforma, sostenendo un’idea di cittadinanza legata a un passato che non esiste più. Parlano di difesa dell’identità nazionale, ma in realtà stanno solo cercando di mantenere intatta una base elettorale radicalizzata, che vede in ogni cambiamento una minaccia.
Tuttavia, la debolezza della destra sta nelle crepe interne: il loro contrasto su questo tema è stato evidente. L’Italia non può permettersi di restare ancorata a una visione ristretta di cittadinanza. E queste divisioni emergono in modo lampante quando, dietro le quinte, alcuni esponenti moderati si rendono conto che il futuro non può essere costruito su un’identità chiusa. Ma restano in silenzio, prigionieri di un calcolo politico che non guarda al bene del Paese, ma solo alla convenienza elettorale. Il risultato? Una destra sempre più vulnerabile alle sue stesse contraddizioni, incapace di offrire una visione moderna e inclusiva per l’Italia di domani. La vera sfida per la sinistra è spostare il dibattito oltre lo ius scholae, verso un’idea di cittadinanza che rispecchi davvero l’Italia contemporanea: aperta, plurale e pronta a riconoscere i diritti a tutti coloro che ne fanno parte.


Foto copertina: Alessandro Zan