La diuturnitas viene considerata nella consuetudine internazionale l’elemento materiale od oggettivo, essendo essa la conseguenza di una persistenza di comportamenti posti in essere dagli Stati, ovvero di una prassi uniforme e costante.
I. Elementi costitutivi della diuturnitas – §II. Gli Stati Obiettori e la questione degli Stati di recente formazione – §III. Conclusioni ed osservazioni
Elementi costitutivi della diuturnitas
Il diritto internazionale pubblico si avvale, come in qualsiasi corpo giuridico, di un corpus normativo indispensabile al fine di disciplinare le relazioni che intercorrono tra i soggetti che ne fanno parte. Come è noto, in tale ordinamento giuridico sono gli Stati ad essere i soggetti principali del diritto internazionale, essendo di conseguenza portatori di obblighi e di diritti in quanto membri della comunità internazionale.
L’insieme normativo del diritto internazionale si divide in un diritto generale, avendo la caratteristica di essere non scritto e nato da un elemento di spontaneità che ha determinato la formazione della norma internazionale, e da un diritto particolare, che in quanto scritto viene anche definito diritto particolare.[1]
L’art.38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia viene in aiuto nell’individuare, in maniera più dettagliata, il sistema di fonti del diritto internazionale per redimere le controversie che le vengono sottoposte.[2] Il par.1 lett. b riconosce quindi la consuetudine internazionale quale elemento di diritto nato dalla spontaneità e da una prassi comportamentale che ha determinato, nel corso della sua evoluzione storica, la formazione di una norma di diritto internazionale. Il seguente lavoro vuole porre in evidenza i principali elementi costitutivi di uno dei due elementi caratterizzanti una norma di diritto non scritto: la diuturnitas.[3]
La diuturnitas viene considerata nella consuetudine internazionale l’elemento materiale od oggettivo, essendo essa la conseguenza di una persistenza di comportamenti posti in essere dagli Stati, ovvero di una prassi uniforme e costante.
Attraverso l’elemento della diuturnitas gli Stati hanno la possibilità di dimostrare la loro volontà ad assumere un determinato comportamento, attraverso una sostanziale uniformità della comunità internazionale nell’esecuzione dello stesso. Tale comportamento riscontra inoltre una comunanza di atteggiamenti all’interno della comunità internazionale: è quindi la costante applicazione ed il livello di stabilità a decretare la formazione di una consuetudine internazionale derivabile dal carattere di diuturnitas.[4]
Il comportamento di uno Stato viene in essere attraverso due elementi sostanziali: la conduzione di atti normativi interni (atti commissivi) che incidono sulla normativa internazionale (un esempio valido in tal caso è la delimitazione delle acque territoriali a 12 miglia) o di condotte omissive, le quali eviteranno il potenziale affermarsi di un comportamento giuridico estraneo alla tendenza prevalente (come ad esempio la mancata adesione ad un trattato internazionale o mancata votazione di una risoluzione all’interno di un’organizzazione internazionale). Generalmente si riconosce che a concorrere nel procedimento di formazione della norma internazionale sono tutti gli organi dello Stato e gli organi titolari del potere esterno.
Unitamente a questi atteggiamenti esercitati dai singoli membri della comunità internazionale, la persistenza del comportamento, congiuntamente alla reiterazione nel tempo legata alla pratica uniforme da parte degli Stati (sia essa di natura diplomatica, legislativa o giudiziaria) ne determinerà l’acquisizione della caratteristica di diuturnitas e, di conseguenza, il suo inserimento nel diritto internazionale generale, poiché frutto di una prassi comportamentale ormai radicata nella comunità internazionale.
Gli Stati Obiettori e la questione degli Stati di recente formazione
Il Diritto Internazionale consuetudinario ha come caratteristica prevalente quella della temporalità: è solo il constante ed uniforme ripetersi di quel determinato comportamento giuridico nel tempo che ne determinerà l’ergersi dello stesso a norma consuetudinaria del diritto internazionale generale. Ne deriva la conseguenza logica secondo la quale, nella maggior parte delle consuetudini internazionali, esse siano state il risultato di un lungo processo evolutivo che, solo dopo molti anni, ha permesso alle stesse di essere considerate alla stregua di norme internazionali.
Un problema giuridicamente rilevante, nonché oggetto di numerosi contributi dottrinali, è risultato essere il tema degli Stati di recente formazione, relativamente cioè sorti in un momento successivo alla nascita di una norma consuetudinaria. Tali Stati contestavano alcune norme internazionali disciplinanti determinati settori, quali ad esempio gli interessi economici degli stranieri sul territorio nazionale, o alcune consuetudini legate all’utilizzo ed al trattamento di talune risorse naturali, sostenendo come queste consuetudini fossero il risultato di un prodotto giuridico risalente al periodo coloniale[5]. Questi nuovi Stati, avendo acquisito una recente indipendenza proprio a seguito del processo di decolonizzazione, non potevano che contestarne i termini ed i modi con i quali tali consuetudini erano andate formandosi.
Medesimo discorso per gli Stati obiettori, cioè per lo Stato o un gruppo di Stati che, attraverso l’attività di un’obiezione permanente, contestano la formazione o l’applicazione di una determinata norma consuetudinaria perché priva dell’elemento di diuturnitas. Quali obblighi sarebbero derivati in seno agli Stati di nuova formazione, che al contempo contestavano la formazione soltanto di talune consuetudini internazionali attraverso un’obiezione permanente alle stesse? A tale riguardo, la dottrina ha sviluppato due filoni di pensiero. Il primo sosteneva che la contestazione persistente ed inequivocabile dello Stato determinava l’esenzione dello Stato (o del gruppo di obiettori) nell’applicazione della norma giuridica, secondo il concetto eccezione di applicabilità. Tale filone dottrinale ha avuto modo di impugnare una famosa sentenza della CIG, il caso delle Zone di pesca[6], nel quale la Corte si pronunciava a favore della Norvegia che, in virtù dell’essere stata un obiettore permanente, non aveva negato alcuna norma consuetudinaria relativa alla sovranità di uno stato costiero per le baie di aperture superiori alle 10 miglia nautiche. La Corte, in tal senso, non solo dubitava della formazione di una norma consuetudinaria sul tema, ma sanciva che la regola risultava “inopponibile alla Norvegia, essendosi essa sempre opposta ad ogni tentativo di applicarla alla costa norvegese”.
Per contro, la dottrina[7] prevalente ha però ritenuto una consuetudine internazionale propria di quel carattere erga omnes che stabilisce obblighi di condotta in capo a tutti gli Stati della comunità internazionale, indipendentemente dal loro periodo di formazione o dalla propria considerazione su una specifica norma di diritto internazionale. Le stesse pronunce della Corte con il caso degli Esperimenti nucleari di Australia e Nuova Zelanda c. Francia, del 1974, ha determinato un revuement della Corte sancendo l’inopponibilità della regola consuetudinaria. Gli Stati obiettori in tal senso erano ritenuti in questa circostanza quali soggetti che non applicavano, o peggio ancora violavano, norme consuetudinarie di diritto internazionale. In tal caso la contestazione da parte dei persistent objectors della validità della norma consuetudinaria non si prefigurava come una motivazione giuridica rilevante ai fini dell’esclusione dell’illecito internazionale.
Meritevole di considerazione è però il caso di un’opposizione di un consistente numero di Stati alla formazione di una norma internazionale: in tal caso, l’atteggiamento omissivo fa decadere il carattere permanente e comune della condotta, determinando il potenziale blocco del procedimento di formazione della nuova regola. La dottrina ha però sottolineato come l’opposizione debba interessare un notevole numero di Stati della comunità internazionale. L’obiezione isolata, frutto di un esiguo numero di Stati o di uno Stato isolato, fa decadere di conseguenza l’eccezione prima presentata, in virtù della considerazione che solo un ristretto numero di Stati rivendica la non applicazione di una norma a cui, invece, proprio la maggioranza degli Stati della comunità internazionale attribuisce carattere di diuturnitas. Si verificherebbe, in questo caso, un comportamento puramente omissivo in capo a un gruppo isolato di Stati, determinando non solo l’impossibilità a riconoscerne le istanze scarsamente rivendicate, quanto un eventuale comportamento non conforme al diritto internazionale e, di conseguenza, foriero di una successiva responsabilità internazionale in capo a quel ristretto gruppo di Stati, per violazione degli obblighi giuridici provenienti dal diritto consuetudinario.
Conclusioni ed osservazioni
Il concetto di diuturnitas è un elemento fondamentale a delineare una delle due caratteristiche che, unitamente all’opinio juris ac necessitatis, determinano la formazione di norme di diritto consuetudinario. Il seguente lavoro ha posto l’accento su alcune problematiche relative alla questione temporale delle consuetudini internazionali, quale la sostanziale lentezza del procedimento giuridico che ha portato alla formazione di queste norme attraverso un periodo di maturazione del comportamento dei singoli Stati particolarmente lungo e farraginoso.
Lo stesso atteggiamento omissivo legato all’obiezione posta in essere da alcuni Stati pone a rischio la certezza del diritto consuetudinario, il quale essendo diritto non scritto, pone diritti ed obblighi giuridici non sempre facilmente inquadrabili. Non è infatti agevole per il giurista riscontrare una evidente violazione di alcuni obblighi internazionali, così come pare un lavoro assai complesso per una comunità internazionale così variegata ritrovarsi accomunati da un diritto universalmente riconosciuto da parte di tutti gli Stati.
Il ruolo della codificazione è in tal senso fondamentale, pur cosciente il giurista, oltre che la stessa Commissione di Diritto Internazionale, di un’evidente crisi della consuetudine internazionale, dovuta perlopiù alla tendenza del soggetto statale ad inquadrare nuovi obblighi giuridici attraverso norme di diritto pattizio; queste ultime, infatti, proprio in virtù della loro forma scritta, non solo definiscono meglio le responsabilità degli Stati nella condotta normativa ma circoscrivono in maniera più stringente le circostanze per determinare l’eventuale commissione di un illecito internazionale da parte di uno Stato non ottemperante ad obblighi provenienti dal diritto internazionale particolare. La diuturnitas può essere quindi ritenuta elemento caratterizzante della normativa internazionale, assai utile ai fini dell’inquadramento di un comportamento condiviso come regola del diritto consuetudinario, seppure ormai soppiantata da un impianto normativo in costante evoluzione. Quest’ultimo, invero, preferendo nettamente gli obblighi di natura pattizia – non solo in virtù della loro imminenza e della maggiore chiarezza nella formulazione, ma anche dell’eventuale possibilità di apporre riserve ad alcuni punti di un trattato internazionale – incontra sia il favore della comunità internazionale universitas personarum sia quello proprio degli Stati obiettori che, in questa nuova circostanza, potranno, pur se in maniera alquanto relativa, recepire obblighi giuridici “differenziati” rispetto al più stringente diritto consuetudinario.
Note
[1] U. Leanza, I. Caracciolo; Il Diritto Internazionale: Diritto per gli Stati e Diritto per gli Individui; pp. 144; G. Giappichelli Editore, Torino, 2012.
[2] Così l’art.38 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia:
- La Corte, la cui funzione è di decidere in base al diritto internazionale le controversie che le sono sottoposte, applica:
a). le convenzioni internazionali sia generali che particolari, che stabiliscono norme espressamente riconosciute dagli Stati in lite;
b). la consuetudine internazionale, come prova di una pratica generale accettata come diritto;
c). i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili;
d). con riserva delle disposizioni dell’articolo 59, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più qualificati delle varie nazioni come mezzi sussidiari per la determinazione delle norme giuridiche.
2.Questa disposizione non pregiudica il potere della Corte di decidere una controversia ex aequo et bono qualora le parti non siano d’accordo.
[3] Oggetto di trattazione successiva per questa collana di pubblicazioni sarà, di riflesso, il concetto di opinio juris ac necessitatis.
[4] F. Del Giudice, Manuale di Diritto Internazionale Pubblico, SIMONE, Napoli, 2017, p. 24.
[5]Tra i numerosi contributi in materia, particolarmente significativi D.M. Bodansky; The Concept of Customary International Law; Michigan Journal of International Law, 1995, Volume 16 | Issue 3, pp. 678-679 e A. Tanzi, Introduzione al Diritto internazionale contemporaneo, CEDAM, 2019; I. Brownlie, Principles of Public International Law, 6th ed., Oxford (2003); A. Cassese, International Law, Oxford 2001, Crawford, J., The Creation of Statehood in International Law, Oxford (1979).
[6] Corte Internazionale di Giustizia, Anglo-NorvegianFisheries Case, Gran Bretagna c. Norvegia, 1951.
[7] Così B. Conforti, Manuale di Diritto Internazionale, a cura di M. Iovane, Editoriale Scientifica, 2018. Si osservino anche le tesi degli stessi Leanza e Caracciolo in op. cit., pag. 151-154.
*Articolo scritto in collaborazione con il C.S.I. Centro Studi Internazionale
Foto Copertina: Le Serment du Jeu de paume, Jacques–Louis David (Parigi, 30 agosto 1748 – Bruxelles, 29 dicembre 1825)
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