Cingoli e portafogli in Asia centrale


Il territorio dell’area geografica conosciuta come Asia Centrale è stato, per gran parte del ‘900, una vasta porzione dell’allora impero sovietico, composta dalle repubbliche di Uzbekistan, Kazakistan, Turkmenistan, Azerbaijan, Tajikistan, Kirghizistan e Afghanistan. Federazione Russa e la Cina, che sebbene guardino a questa vasta regione con obiettivi geopolitici e geoeconomici diversi si ritrovano in una concorrenza/convivenza proprio in quello che veniva considerato parte del polveroso scheletro dell’Urss.


Un territorio impervio e desertico che fu “vittima” di numerose opere infrastrutturali ed ingegneristiche sovietiche atte soprattutto alla produzione di energia e alla redistribuzione delle risorse idriche. In particolare, molte centrali idroelettriche vennero edificate a seguito della modifica dei corsi dei fiumi e dello sfruttamento dei bacini idrici naturali.  Il “risultato” di lungo periodo (anche se i primi effetti erano già visibili durante il governo di Gorbačëv[1]) è stato, però, un inaridimento del mare di Aral il più grande bacino idrico della zona.

The two major rivers of Amu Darya and Syr Darya, together with their tributaries, were heavily exploited by discharging continuously less water to the Aral Sea into which they were emptying and leading to the salinization and creation of the Aralkum Desert with insurmountable costs to the entire Aral Sea basin[2].

Mappa Asia centrale

Vicende come questa hanno effetti significativi ancora oggi e le repubbliche più colpite da questi cambiamenti sono state proprio la Tajika e la Kirghiza che avevano il compito di regolare i flussi acquiferi verso le vicine repubbliche. Il “piano” era di compensare la mancanza d’acqua per sé stessi grazie a rifornimenti di quest’ultima e sfruttando risorse energetiche fornite delle altre repubbliche sovietiche. Purtroppo, con la caduta dell’impero sovietico questo fragilissimo sistema venne meno e la situazione si è aggravata rapidamente sino ad oggi.
La retorica dell’ex Presidente uzbeko Islam Karimov circa 10 anni fa sui potenziali conflitti idrici in caso di espansione dell’energia idroelettrica nei paesi a monte era fonte di grande preoccupazione per l’intera regione. Anche in quei tempi difficili, si era capito che, sebbene le priorità nazionali prevalessero sulla regionalizzazione, la complessità intrinseca dell’acqua attraverso le acque e l’eredità sovietica di sistemi comunemente condivisi non potevano essere trascurate. Il regime di Mirziyoyev in Uzbekistan ha inviato chiari messaggi di riconciliazione con i paesi a monte incoraggiando iniziative di regionalizzazione sui sistemi energetici[3].
Ad oggi nonostante le tante iniziative di riconciliazione e ottimizzazione delle risorse idriche, operate da altre ex repubbliche sovietiche della zona, la questione tra Tajikistan e Kirghizistan resta irrisolta e gli scontri dello scorso aprile ne sono solo l’ultima prova. Altre provocazioni, infatti, erano state registrate durante il 2021 prima degli avvenimenti di cui sopra[4]. In questo contesto anche le gravi proteste accorse in Kazakistan hanno giocato un ruolo fondamentale, visto proprio il “nuovo” ruolo che questa repubblica sta svolgendo nella questione energetica della regione (e non solo)[5]. In questa situazione critica sia sul fronte energetico che sul fronte della mancanza di acqua alcuni attori hanno dimostrato un rinnovato interesse per la zona, con nuovi progetti, prospettive e dinamiche. In particolare, la Federazione Russa e la Cina, che sebbene guardino a questa vasta regione con obiettivi geopolitici e geoeconomici diversi si ritrovano in una concorrenza/convivenza proprio in quello che veniva considerato parte del polveroso scheletro dell’Urss. Queste particolari dinamiche sono leggibili, ad esempio, all’interno della fumosa organizzazione regionale SCO (Shangai Cooperation Organization)[6] dove le tematiche sulla sicurezza e quelle economiche (che analizzeremo con particolare accezione per l’energia nucleare) si intrecciano.

I cingoli della “grande” protettrice

La Federazione Russa, sin dalla sua nascita, non ha mai smesso di esercitare la sua influenza e di sentire come “propria” la regione dell’Asia Centrale. A partire dal 1991 sono state molte le occasioni in cui la Russia ha svolto sia il ruolo di “protettrice” della regione sia di gendarme. Un esempio lo troviamo nel 2001, a seguito dell’attentato alla Torri Gemelle, quando il presidente Putin utilizzò appieno la sua influenza sui governi delle ex repubbliche sovietiche per permettere l’utilizzo di basi aeree da parte delle truppe della coalizione internazionale.
In effetti, nel momento in cui il segretario di stato americano si preparava a negoziare l’uso di basi aeree con stati ex sovietici dell’Asia centrale vicini all’Afghanistan, il presidente russo convocò a Mosca i leader di Uzbekistan, Kazakhstan, Tagikistan, Kirghizistan, Turkmenistan per stabilire una posizione comune di fronte alle richieste degli Stati Uniti. In cambio della sua collaborazione, Putin chiese agli americani di cessare la protesta contro l’intervento russo in Cecenia.[7]
E ancora; l’intervento delle truppe russe a guida del contingente CSTO, invocato dal presidente kazako Tokayev per ristabilire brutalmente l’ordine nel suo paese. Questo esempio in particolare è una dimostrazione pratica del ruolo non scritto di gendarme che la Federazione Russa continua a svolgere in una regione che forse non ha mai smesso di considerare come “sua”, in accordo anche con le affermazioni di una grande esperta dell’area quale la giornalista norvegese Erika Fatland[8]. Un’influenza duratura, che è avallata proprio dalla protezione che l’alleato russo può offrire ai governi di quella che, come detto, è una regione politicamente molto instabile e strategicamente importante. Una questione di “muscoli”, dunque, che però trova un avversario di tutto rispetto non appena valicata la soglia degli interessi economico-energetici. Zoccolo duro della Federazione Russa è sempre stato il monopsonio del mercato degli idrocarburi, di cui il grande competitor strategico regionale che è la Cina è maggiore acquirente.
È attorno a quest’ultima che, d’altra parte, si è andata sviluppando la competizione energetica centrasiatica nel primo quindicennio successivo alla dissoluzione sovietica, nella misura in cui l’eredità infrastrutturale dell’Urss rendeva le repubbliche centrasiatiche dipendenti dalla preesistente rete russocentrica.
In questo senso, l’apertura di canali d’esportazione di idrocarburi verso oriente ha notevolmente ampliato le possibilità di esportazione petrolifera del Kazakistan e, soprattutto, spezzato l’isolamento infrastrutturale nel settore del gas del Turkmenistan, sull’acquisto delle cui risorse la Russia ha goduto sino ad allora di un sostanziale monopsonio.[9]
In questo quadro sicuramente complesso la Russia ha goduto per un quindicennio del vantaggio strategico sulla Cina dettato da influenza politica, ruolo securitario di “gendarme” ed esportazione di idrocarburi basata, come visto, sul già citato sistema infrastrutturale di epoca sovietica. Le carte in tavola sono però cambiate con il “boom” economico cinese e soprattutto con l’entrata in gioco di un nuovo elemento nel mercato energetico centroasiatico, l’energia nucleare e la produzione di uranio, particolarmente incentrata proprio in Kazakistan. Ad aggravare la posizione russa nella regione è stata anche la forte crisi economica che colpisce da anni, oramai, la Federazione e che gli ha impedito di portare avanti la competizione con la Cina in materia di infrastrutture e rapporti economico-commerciali. Non è un caso che ad oggi i governi centrasiatici stiano guardando sempre più spesso a Pechino come partner internazionale.
A dimostrazione della crescente convergenza di interessi tra Pechino e le repubbliche centrasiatiche, la cooperazione energetica, oltre ad approfondire l’interscambio bilaterale, ha infine proceduto di pari passo e preparato il terreno a forme più ampie di intese bilaterali. Nel luglio 2005, Hu Jintao e Nazarbayev siglavano così ad Astana una Dichiarazione congiunta per lo sviluppo del “partenariato strategico” sino-kazako, di cui la cooperazione energetica rappresentava la colonna portante, anche al di là del settore degli idrocarburi.[10] Del resto, il consenso internazionale per una produzione sicura di energia nucleare e con la specifica richiesta di non utilizzare la tecnologia nucleare per la creazione di armi di distruzione di massa è stato concesso già nel 2006 quando i rappresentanti del Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Turkmenistan e Uzbekistan si sono riuniti proprio in Kazakistan per siglare un accordo storico. Il tutto sotto la supervisione dell’IAEA (International Atomic Energy Agency).

“By signing the document, the countries undertake commitments to ban production, purchasing and deployment of nuclear weapons, their components and other nuclear explosive devices,” Kazakhstan Foreign Ministry spokesman Yerzhan Ashikbayev said in briefing the press about the signing ceremony. […] The treaty also encompasses an environmental component which addresses concerns unique to the region. Each of the five States hosted former Soviet nuclear infrastructure and now confront common problems of environmental damage resulting from the production and testing of Soviet nuclear weapons. To this end, all treaty Signatories must comply fully with the Comprehensive Nuclear-Test-Ban Treaty.[11]

Conclusioni: un portafogli in “pelle di drago”?

Abbiamo brevemente analizzato il ruolo di “gendarme” svolto dalla Federazione Russa nella regione dell’Asia Centrale e soprattutto fatto un po’ più di luce su quelle che sono le dinamiche concernenti la questione energetica. In questo quadro, la Repubblica Popolare Cinese svolge un ruolo più che centrale di fianco alla Russia, un ruolo sicuramente meno militarmente attivo ma dal grande impatto economico.

Consequently in Central Asia, “China has steadily advanced, commercially speaking, into Central Asia. It is now second to Russia as a trading partner for Central Asia, and its volume of trade with the three Central Asian states it borders is already equal to that of Russia. China is also actively seeking to obtain oil and gas directly from region, bypassing Russian territory and challenging one of Russia’s core strategic goals, monopoly control of energy flows in Eurasia.[12]

La Cina di Xi da anni oramai utilizza strumenti economici per espandere la sua influenza in quella che sembra essere la sua “unica” via di uscita, l’Asia Centrale. L’associazione regionale Asean e la presenza massiccia della flotta statunitense[13], che si impegna sempre più nel pacifico, hanno impedito alla Cina di allargare la sua influenza, sia economicamente che militarmente nelle sue stesse acque territoriali. La vicina Asia Centrale è sembrata dunque agli occhi di Pechino una scelta vincente che potrebbe portare al Mediterraneo Orientale.
Il governo cinese – attraverso la compagnia energetica statale CNPC – ha investito negli anni ingenti capitali per l’esplorazione e lo sfruttamento di promettenti giacimenti (CNPC detiene licenze di produzione nei giacimenti occidentali di Zhanazhol e Kenkiyak), fornendo know how e tecnologia moderna e acquisendo quote societarie di importanti compagnie energetiche nazionali (ad esempio, agli inizi del Duemila, la CNPC ha acquisito l’85% delle quote societarie della AktobeMunaiGas, la quarta compagnia petrolifera nazionale). Attualmente la Cina controlla il 20-25% della produzione petrolifera kazaka.[14]
Al momento la collaborazione tra Russia e Cina in Asia Centrale sembra funzionare, sebbene entrambi gli attori stiano seguendo politiche atte a fini di diversa natura.
La Cina, a differenza della Russia ha, ad esempio, avviato immediatamente dopo gli accordi di Doha, dei colloqui con la leadership talebana[15] e ad oggi è in trattativa con il Governo Taliban per il passaggio del gasdotto TAPI, progetto infrastrutturale importante per la Cina e i paesi dell’Asia Centrale e che potrebbe togliere alla Russia una grossa fetta di guadagno sulle importazioni di gas naturale.


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La Cina è stata tra i pochi paesi a non chiudere l’ambasciata a Kabul e a dichiarare subito di volere relazioni “amichevoli” con i talebani. Ma neanche Pechino ha ancora riconosciuto il governo entrante, e non c’è dubbio che avrebbe preferito una pace negoziata rispetto a una presa di potere incontrollata: negli anni Novanta furono proprio i mujaheddin afghani a ispirare la “resistenza” uigura nello Xinjiang.[16]
La potenza economica cinese è innegabile e la sua scarsa propensione ad interventi militari nella zona è ben vista dai governi della regione. Del resto, abbiamo già visto che il ruolo di severo gendarme è svolto egregiamente dalla Russia che però potrebbe trovarsi definitivamente incastrata in questo ruolo securitario nel lungo periodo. Mero “bodyguard” dell’espansionismo economico cinese che sembrerebbe vincere in ogni caso, sia che i governi restino stabili, sia che ci siano grandi sconvolgimenti quali la presa di potere dei Talebani. Una situazione, quella dell’Asia Centrale, in grande fermento e viene da chiedersi se nei prossimi mesi le parole di collaborazione tra Russia e Cina pronunciate all’arrivo di Vladimir Putin a Pechino per le Olimpiadi Invernali (boicottate politicamente dai leader occidentali assenti) si riveleranno base per una collaborazione estremamente pericolosa per l’Occidente e priva, di tentati “sgambetti” fra le due potenze, come accaduto in Asia Centrale[17]. Cingoli e portafogli sono una combinazione da sempre tremendamente efficace.


Note

[1] https://www.ispionline.it/en/pubblicazione/aral-sea-disaster-and-implications-regionalism-central-asia-29957
[2] Ivi.
[3] Ivi.
[4] https://www.opiniojuris.it/squali-in-un-mare-di-polvere/
[5] https://www.opiniojuris.it/le-proteste-del-gas-scuotono-il-kazakistan/
[6] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/security-challenges-shanghai-cooperation-organisation-widening-vs-deepening-21831
[7] O. Barié, Dalla guerra fredda alla grande crisi, ed. Il Mulino, Bologna 2013, cit. pp. 195-196
[8] https://www.opiniojuris.it/la-fine-dellinverno-in-asia-centrale-intervista-ad-erika-fatland/
[9] C. Frappi, Il fattore energetico nella proiezione cinese verso l’Asia centrale, ISPI n°129, luglio 2012, cit. p.9
[10] Ivi. p. 10
[11] https://www.iaea.org/newscenter/news/central-asia-towards-nuclear-free-world
[12] S. Blank, Making sense of Shangai Cooperation Organization, Georgetown Journal of international affairs, Vol. 14, No.2 (Summer/Fall 2013), cit. p. 45
[13] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/gli-usa-asia-acque-agitate-nel-pacifico-18530
[14] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cina-asia-centrale-partnership-funzionali-19738  
[15] https://www.opiniojuris.it/aftermathstan/
[16] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/ispitel-cina-afghanistan-relazioni-pericolose-31544
[17] https://www.agi.it/estero/news/2022-02-04/pechino-2022-e-geopolitica-tra-xi-e-putin-intesa-sul-gas-15493832/


Foto copertina: Il 10 agosto, i veicoli corazzati per il trasporto di personale uzbeko rotolano durante le esercitazioni militari congiunte di Russia, Tagikistan e Uzbekistan vicino al confine tagiko con l’Afghanistan. @Didor Sadulloev