Coesione economica, sociale e territoriale quale principale politica di investimento dell’UE


Un sostanziale rafforzamento della coesione economica, sociale e territoriale rappresenta uno dei principali obiettivi dell’UE attuato tramite fondi strutturali e di investimento europei che finanziano programmi nazionali e regionali negli Stati membri.


L’importanza della politica di coesione dell’UE

Il Titolo XVIII del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) è interamente dedicato alla coesione economica, sociale e territoriale. Ma di cosa si tratta e perché ha assunto una così grande rilevanza? È necessario leggere l’articolo 174 del TFUE per iniziare a comprenderne il contenuto: “Per promuovere uno sviluppo armonioso dell’insieme dell’Unione, questa sviluppa e prosegue la propria azione intesa a realizzare il rafforzamento della sua coesione economica, sociale e territoriale. In particolare, l’Unione mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni ed il ritardo delle regioni meno favorite”. Chiarendo la terminologia utilizzata, per coesione economica si intende la riduzione dei ritardi di sviluppo tra le regioni al fine di implementare uno sviluppo sostenibile ed equilibrato.
La coesione sociale indica l’insieme delle relazioni e dei legami tra gli individui, nonché l’eliminazione delle situazioni di disparità a livello sociale, economico, culturale e di altra natura.
La coesione territoriale promuove lo sviluppo equilibrato dei territori europei e favorisce l’integrazione delle zone con maggiori problematiche di accessibilità e crescita come isole, zone di confine e aree interne.
Sono state individuate, infatti, tre categorie di regioni individuate sulla base del PIL pro capite, un indicatore statistico frequentemente utilizzato e ottenuto come rapporto tra il valore del PIL dello Stato di riferimento nel periodo considerato e il suo numero di abitanti.
Attualmente, le Regioni il cui PIL pro capite è inferiore al 75% della media comunitaria sono considerate le meno sviluppate; le regioni con PIL pro capite compreso tra il 75% e il 100% della media comunitaria sono definite in transizione e le regioni con PIL pro capite superiore al 100% della media comunitaria sono le più sviluppate[1].
In UE la politica di coesione procede per cicli settennali di programmazione con l’estensione di eventuali 2 o 3 anni, tale che l’avvio del nuovo ciclo si sovrappone al precedente. La cosiddetta regola “n + 2” vale, ad esempio, per l’attuale ciclo 2021-2027, mentre la regola “n + 3” ha trovato applicazione per il ciclo 2014-2020.

I fondi strutturali e di investimento europei (fondi SIE)

La politica regionale 2021-2027 è attuata per mezzo dei seguenti fondi che rientrano tra i cosiddetti fondi strutturali e di investimento europei: il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR)[2] destinato a contribuire alla correzione dei principali squilibri regionali esistenti nell’Unione, partecipando allo sviluppo e all’adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo nonché alla riconversione delle regioni industriali in declino[3]; il Fondo sociale europeo Plus (FSE+[4]) per promuovere all’interno dell’Unione le possibilità di occupazione e la mobilità geografica e professionale dei lavoratori, nonché di facilitare l’adeguamento alle trasformazioni industriali e ai cambiamenti dei sistemi di produzione, in particolare attraverso la formazione e la riconversione professionale[5]; il Fondo di coesione (FC[6]) rivolto agli Stati membri (non l’Italia) il cui reddito nazionale lordo (RNL) pro capite è inferiore al 90 % della media dell’UE[7] per l’erogazione di contributi finanziari a progetti in materia di ambiente e di reti trans-europee nel settore delle infrastrutture dei trasporti[8]; il Fondo per la giusta transizione (JTF) che mira a fornire sostegno ai territori che devono far fronte a gravi sfide socio-economiche derivanti dalla transizione verso la neutralità climatica[9].
Nel periodo di programmazione 2000-2006 è stata posta in essere una metodologia per l’assegnazione dei fondi e, da allora, l’approccio generale è rimasto relativamente costante[10].
Si tratta del cosiddetto “metodo di Berlino”, elaborato in occasione del vertice che si è tenuto nella capitale tedesca nel 1999.
Pertanto, nell’attuale ciclo di programmazione 2021-2027 il criterio predominante per l’assegnazione dei fondi è il PIL pro capite (da 86% nel periodo 2014-2020 a 81% nel periodo 2021-2027); tuttavia, al fine di ridurre le disparità e di contribuire al recupero delle regioni a basso reddito e a bassa crescita, sono presi in considerazione nuovi criteri, quali la disoccupazione giovanile e il basso livello di istruzione (15%); i cambiamenti climatici (1%) e l’accoglienza e l’integrazione dei migranti (3%)[11].
In generale, il FESR, il FSE+ e il Fondo di coesione[12] sostengono cinque grandi obiettivi strategici di policy (OS) quali: un’Europa più competitiva e intelligente attraverso la promozione di una trasformazione economica innovativa e intelligente e della connettività regionale alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (OS 1); un’Europa resiliente, più verde e a basse emissioni di carbonio ma in transizione verso un’economia a zero emissioni nette di carbonio attraverso la promozione di una transizione verso un’energia pulita ed equa, di investimenti verdi e blu, dell’economia circolare, dell’adattamento ai cambiamenti climatici e della loro mitigazione, della gestione e prevenzione dei rischi nonché della mobilità urbana sostenibile (OS 2); un’Europa più connessa attraverso il rafforzamento della mobilità (OS 3); un’Europa più sociale e inclusiva attraverso l’attuazione del pilastro europeo dei diritti sociali (OS 4); un’Europa più vicina ai cittadini attraverso la promozione dello sviluppo sostenibile e integrato di tutti i tipi di territorio (OS 5).
Il JTF sostiene l’obiettivo specifico di consentire alle regioni e alle persone di affrontare gli effetti sociali, occupazionali, economici e ambientali della transizione verso gli obiettivi 2030 dell’Unione per l’energia e il clima e un’economia dell’Unione climaticamente neutra entro il 2050, sulla base dell’accordo di Parigi[13].
L’UE attribuisce grande importanza alla politica di coesione tale da avervi destinato quasi un terzo del suo bilancio totale. Si tratta di circa 392 miliardi di euro a prezzi correnti, di cui 378,2 miliardi di euro per l’attuazione di due ulteriori obiettivi: “Investimenti per la crescita e l’occupazione” e “Cooperazione Territoriale Europea” (Interreg). Al primo sono assegnati circa 369 miliardi di euro tramite il FESR, il FSE+, il Fondo di coesione e il JTF.
Per il secondo sono previsti 9 miliardi di euro del FESR da utilizzare per cooperazione transfrontaliera (Interreg A), transnazionale (Interreg B), interregionale (Interreg C) e nelle regioni ultraperiferiche (Interreg D). Inoltre, sull’importo totale 11,3 miliardi di euro saranno trasferiti al meccanismo per collegare l’Europa e 2,5 miliardi di euro saranno utilizzati nel quadro degli strumenti gestiti dalla Commissione e dell’assistenza tecnica dell’UE a sostegno della programmazione (per es. l’importo di bilancio del JTF di 19,32 miliardi di euro è ridotto a 19,23 euro disponibili per la programmazione previa detrazione delle spese amministrative e di assistenza tecnica della CE)[14]. Il principale strumento finanziario della politica di coesione è il FESR che, con una dotazione complessiva di circa 226 miliardi di euro, comprende gli appena menzionati 9 miliardi di euro per la Cooperazione territoriale europea (Interreg) e 1,9 miliardi di euro di assegnazioni speciali destinate alle regioni ultra periferiche e scarsamente popolate[15].

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Dal 1957 al nuovo millennio: l’evoluzione della politica di coesione

Nel Trattato di Roma del 1957 che diede vita alla Comunità economica europea (CEE) e alla Comunità europea dell’energia atomica (EURATOM), antesignani di quella che oggi conosciamo con il nome di Unione europea, non vi era alcun tipo di riferimento alla politica di coesione. All’epoca fu istituito soltanto il Fondo sociale europeo al fine di produrre il miglioramento di formazione e occupazione negli Stati membri. Fu necessario attendere il 1975 per l’istituzione del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) e il 1993 affinché con il Trattato di Maastricht fosse introdotto il Fondo di coesione. Negli anni, infatti, dalla iniziale discrezionalità degli Stati membri nel promuovere il loro sviluppo regionale e territoriale si passò all’attribuzione di una dotazione finanziaria limitata da parte dell’UE.
Fu sicuramente l’ingresso di nuovi Stati, in particolare della Grecia nel 1981 e della Spagna e del Portogallo nel 1986, a condurre a modifiche rilevanti atte a ridurre le differenze di sviluppo tra le regioni.  Solo nel 1988, due anni dopo l’Atto unico europeo (che aveva due obiettivi: completare la costruzione del mercato interno dopo le crisi economiche degli anni Settanta e avviare un primo embrione di unione politica), si costruirono così le basi di una vera politica di coesione per compensare l’onere del mercato unico sostenuto dalle regioni più svantaggiate, con la riforma dei fondi strutturali, il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo sociale europeo[16]. Si stabilirono quattro principi guida, ancora oggi attuali per l’azione dei Fondi strutturali: il principio della concentrazione che si concretizza in interventi diretti alla realizzazione di determinati obiettivi prioritari definiti per ogni ciclo di programmazione; la programmazione che si sostanzia nella definizione di strategie e strumenti attraverso cui attuare gli interventi previsti; il partenariato che è fondato sul dialogo costante tra la Commissione europea e gli Stati membri su più livelli; il principio dell’addizionalità che determina l’impiego di risorse nazionali le quali non vanno a sostituirsi ma si aggiungono a quelle europee.
Al contempo, fu inserito, per la prima volta nel Trattato, il Titolo V dedicato alla coesione economica e sociale. Successivamente, il primo “pacchetto Delors”, dal nome dell’illuminato presidente della Commissione dal 1985 al 1995, condusse al raddoppio dei Fondi strutturali per cui le risorse destinate alle Regioni passarono da 6,4 miliardi di ECU del 1988 ai 20,5 miliardi del 1993 con un salto dal 16% al 31% del bilancio europeo[17]. Ne seguì un secondo “pacchetto Delors” e per il periodo 1994-1999 si stanziarono circa 167 miliardi di euro (a prezzi 1994): la quota di bilancio indirizzata alle politiche strutturali raggiunge, nel 1999, circa il 36% del totale[18]. Con il grande allargamento ad Est dell’UE con l’ingresso di Repubblica Ceca, Ungheria, Slovacchia, Slovenia, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Cipro e Malta nel 2004 e di Bulgaria e Romania nel 2007, le notevoli disuguaglianze tra le regioni alimentarono ulteriormente l’esigenza di rafforzamento della politica di coesione. Si trattava ormai di una politica a gestione concorrente tra Stati membri e Commissione europea, sottoposta a delle modifiche in occasione di ogni nuovo ciclo settennale di programmazione. Al fine di delineare l’indirizzo della politica di coesione per il nuovo millennio, furono di fondamentale importanza il Consiglio di Berlino e l’Agenda 2000. Tra le novità, fu prevista una ripartizione netta dei compiti e delle responsabilità istituzionali: a livello comunitario dovevano essere stabiliti gli obiettivi strategici, gli assi prioritari e la relativa dotazione, mentre la programmazione dettagliata doveva essere di esclusiva competenza degli Stati membri, invitati a designare a tal fine le proprie “Autorità di gestione”[19].
Da ricordare è poi il trattato di Lisbona nel 2007 in cui alla coesione economica e sociale si unì la coesione territoriale.
Infine, per la programmazione 2014-2020, sono emersi gli “accordi di partenariato” tra Commissione e Stati membri, una nuova classificazione delle regioni europee beneficiarie dei fondi, e le cosiddette “condizionalità ex ante”[20] tematiche e generali per poter beneficiare dei finanziamenti. Relativamente alla cooperazione territoriale europea, parte della politica di coesione dal 1990, per la prima volta nella storia della politica di coesione europea è adottato un regolamento specifico[21] riguardante azioni di cooperazione territoriale europea sostenute dal FESR[22].

L’Italia e le sfide future

Il processo di programmazione comunitaria inizia nel momento in cui, dopo un’attenta negoziazione e proficua discussione tra UE e Stato membro su come quest’ultimo abbia intenzione di allocare le risorse comunitarie durante il periodo di programmazione, si verifica l’adozione dell’accordo di partenariato. Nello specifico, tale accordo si presenta come un documento che, predisposto da ogni Stato membro ed approvato dalla Commissione, “definisce la strategia e le priorità di tale Stato membro nonché le modalità di impiego efficace ed efficiente dei fondi SIE al fine di perseguire la Strategia dell’Unione per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva”[23]. Ne consegue una gestione indiretta dei fondi poiché sono gli Stati che amministrano le risorse, in particolare i Ministeri attraverso i Programmi Operativi Nazionali e le Regioni mediante i Piani Operativi Regionali, in base a una programmazione approvata dalla Commissione europea. Tutte le procedure di selezione, assegnazione, controllo e audit sono quindi gestite in questo caso a livello nazionale.
Il percorso per la definizione dell’Accordo di Partenariato italiano è stato avviato dal Dipartimento per le Politiche di Coesione nel marzo 2019 e ha visto il coinvolgimento di tutti i soggetti interessati, con la partecipazione di oltre 2.800 persone e l’invio di più di 280 contributi scritti[24], a cui è seguito il confronto informale con la Commissione europea iniziato nel luglio 2020.
Il 22 dicembre 2021, il CIPESS ha approvato la proposta italiana di Accordo di Partenariato, sulla base della quale è iniziato il negoziato formale con la Commissione, che ha portato alla definizione del testo dell’Accordo di Partenariato notificato a Bruxelles il 10 giugno 2022[25]. L’Accordo di partenariato tra Italia e Commissione europea relativo al ciclo di programmazione 2021-2027 è stato approvato con Decisione di esecuzione della CE il 15 luglio 2022 ed è stato sottoscritto ufficialmente il 19 luglio. Sono state assegnate all’Italia circa 43,1 miliardi di risorse comunitarie all’Italia, di cui oltre 42,7 miliardi[26] volte a rafforzare la politica di coesione economica, sociale e territoriale. Lo Stato italiano presenta al suo interno tutte le categorie di regioni e gran parte dei fondi è allocata alle regioni meno sviluppate cui sono destinati più di 30 miliardi di euro. È il secondo beneficiario dopo la Polonia (che ha a disposizione oltre 76 miliardi di euro) a livello europeo. Ai finanziamenti comunitari si accompagnano le risorse nazionali quale cofinanziamento nazionale obbligatorio, secondo il principio dell’addizionalità. L’impostazione strategica dell’Accordo di partenariato è articolata sui 5 Obiettivi strategici di policy attuati attraverso i Programmi Regionali promossi da tutte le Regioni e le Province Autonome (cui sono riservati circa 48,5 miliardi di euro) e 10 Programmi Nazionali (cui sono riservati 25,6 miliardi di euro), a titolarità della Amministrazioni centrali[27].
La rilevanza assunta dalla politica di coesione dell’Unione europea è tangibile ed è indispensabile che gli Stati membri siano in grado di amministrare le risorse che sono state loro riservate. L’Italia dovrà soffermarsi su una serie di aspetti fondamentali per il miglioramento della sua capacità di gestione, come la riduzione dei tempi, la semplificazione delle procedure, la riqualificazione del personale, ecc. L’importo totale di risorse di cui lo Stato italiano beneficia nel periodo 21-27 è più consistente rispetto agli stanziamenti dei precedenti cicli di programmazione. Tale disponibilità costituisce un’opportunità di crescita e stimolo per l’economia nazionale e, in generale, per il sistema Paese in più settori, dalle infrastrutture al cambiamento climatico. A livello macro, per continuare ad esercitare un ruolo rilevante nello scenario europeo ed internazionale, nonché per favorire il processo di integrazione economica europea, l’Unione ha bisogno che si assottiglino le differenze sia all’interno degli Stati membri che tra di loro. Solo così, si potranno realizzare nuove opportunità di sviluppo che andranno a beneficio di tutti cittadini europei.


Note

[1] Regolamento (UE) 2021/1060 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 giugno 2021 recante le disposizioni comuni.
[2] Regolamento (UE) 2021/1058 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 giugno 2021 relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale e al Fondo di coesione.
[3] Articolo 176 TFUE, ex articolo 160 del TCE.
[4] Regolamento (UE) 2021/1057 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 giugno 2021 che istituisce il Fondo sociale europeo Plus (FSE+) e che abroga il regolamento (UE) n. 1296/2013.
[5] Articolo 162 TFUE, ex articolo 146 del TCE.
[6] Regolamento (UE) 2021/1058 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 giugno 2021 relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale e al Fondo di coesione.
[7] Fondo di coesione, Marek Kołodziejski, Note tematiche sull’Unione europea, aprile 2023.
[8] Articolo 177 TFUE, ex articolo 161 del TCE
[9] Fondo per una transizione giusta, Frédéric Gouardères, Note tematiche sull’Unione europea, marzo 2023.
[10] Analisi rapida di casi – Assegnazione dei finanziamenti per la politica di coesione agli Stati membri per il periodo 2021-2027, Corte dei conti europea, marzo 2019
[11] La nuova politica di coesione 2021-2027, Camera dei deputati, Ufficio Rapporti con l’Unione europea, Dossier n° 11, 5 giugno 2019.
[12] È da considerare in questa lista anche il FEAMPA, il Fondo Europeo Affari Marittimi Pesca e Acquacoltura istituito con il Regolamento (UE) n. 2021/1139 del 7 luglio 2021.
[13] Articolo 5 del Regolamento (UE) 2021/1060 del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 giugno 2021 recante le disposizioni comuni
[14] 2021-2027 Cohesion policy EU budget allocations, Tereza Krausova, John Walsh, ottobre 2022.
[15] Il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), Marek Kołodziejski, Note tematiche sull’Unione europea, aprile 2023.
[16] Fondi europei 2021-2027, Politica di coesione, guida al negoziato sul bilancio Ue, Antonio Pollio Salimbeni, giugno 2018.
[17] Ibidem.
[18] Le nuove politiche regionali dell’Unione europea, Gianfranco Viesti, Francesco Prota, il Mulino, Bologna, 2004.
[19] La politica di coesione: da politica marginale a colonna portante dell’Unione europea, Federica Politi, 19 ottobre 2015.
[20] Ibidem.
[21] Regolamento (UE) n. 1299/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 dicembre 2013 recante disposizioni specifiche per il sostegno del Fondo europeo di sviluppo regionale all’obiettivo di cooperazione territoriale europea.
[22] Cooperazione territoriale europea, Frédéric Gouardères, aprile 2023.
[23] Articolo 2, punto 20 del Regolamento (UE) 1303/2013.
[24] Fondi strutturali europei 2021-2027, Presentazione dell’Accordo di Partenariato, Ufficio per la Comunicazione Istituzionale del Ministro per il Sud e la Coesione territoriale, con la collaborazione del Dipartimento per le Politiche di Coesione, 19 luglio 2022.
[25] Ibidem.
[26] Tale dato comprende la dotazione finanziaria di FESR, FSE+, JTF e FEAMPA.
[27] I Fondi UE per la politica di coesione 2021-2027, Camera dei deputati, Servizio Studi, 6 giugno 2023.


Foto copertina: Coesione economica, sociale e territoriale quale principale politica di investimento dell’UE