Il metodo di lavoro e la continuità dell’azione di governo di Mario Draghi hanno creato uno spartiacque nel confronto fra i partiti politici, generando nel dibattito elettorale posizioni diverse e sfaccettate rispetto a quella che è stata definita “agenda Draghi”.
Se c’è un tema ricorrente che caratterizza questa insolita campagna elettorale vi è stato senza dubbio quello riferito alla cosiddetta “agenda Draghi”. Lo stesso Presiedente del Consiglio dimissionario nella sua recente partecipazione al Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini si è schermito affermando “che saranno gli italiani, con il loro voto, a scegliere i loro rappresentanti per la prossima legislatura e quindi il programma del futuro esecutivo”. Al netto di queste poche parole pronunciate all’interno di un discorso autorevole, il dibattitto fra le forze politiche è stato animato però dall’approccio nei confronti del metodo portato avanti dall’ex presidente della BCE nei suoi 18 mesi alla guida dell’esecutivo. Si è a lungo discusso sull’esistenza o meno di questa agenda, purtuttavia appare indubitabile che Mario Draghi abbia in qualche modo delimitato un perimetro da cui, pur volendo, difficilmente il prossimo Governo potrà sconfinare. Eppure l’atteggiamento che le diverse forze politiche hanno riservato agli elementi programmatici principali che hanno definito la direzione del governo di Mario Draghi, appare quanto mai sfaccettato. E ciò nonostante quasi tuti i partiti vi abbiano partecipato, non stanno mancando i distinguo, le prese di distanza così come la sincera rivendicazione rispetto agli argomenti più volte richiamati come un mantra: dalla politica estera al PNRR, dalla transizione energetica alle riforme, i punti fermi che hanno costituito l’agenda Draghi rappresenteranno una pesante eredità per chiunque avrà l’onere di governo, anche senza dirlo. Se il M5s ha da subito liquidato tale agenda, bollandola per bocca di Giuseppe Conte come incompatibile con l’agenda sociale del M5S, il Partito Democratico ha inteso immediatamente distinguere le condizioni emergenziali che hanno portato al sostegno di Draghi, rimarcando un’identità ed un’agenda sociale che inevitabilmente non potrà che differire da quella che ha condizionato l’attività del governo cui lo stesso PD aveva partecipato. Chi non ha fatto mistero di un sostegno incondizionato all’agenda Draghi è stato senz’altro il terzo polo di Calenda e Renzi che l’ha addirittura inserita quale punto fondante del proprio programma elettorale, tanto da arrivare, in maniera abbastanza ardita per la verità, a sostenere come dopo la probabile vittoria del Centrodestra e del caos che si genererà, sarà inevitabile richiamare Draghi alla guida del Governo con una maggioranza Ursula già sperimentata in sede di nomina del presidente della Commissione Europea. Su questo punto il diretto interessato ha già fatto sapere di essere indisponibile al ritorno a Palazzo Chigi, ambendo chissà ad altra carica. Sul fronte Centrodestra è stato impossibile non notare l’imbarazzo di chi pur aveva sostenuto l’esecutivo Draghi ha dovuto subire profonde lacerazioni come nel caso di Forza Italia, quando all’indomani del mancato voto di fiducia, esponenti di primo piano del partito fondato da Silvio Berlusconi, come Renato Brunetta, Maristella Gelmini e Mara Carfagna, lo abbiano abbandonato per aderire entusiasticamente al raggruppamento di Calenda e Renzi che appunto del programma di Governo di Mario Draghi ha fatto il proprio vessillo. Qualche malessere si è registrato anche in ambienti leghisti dove lo spirito di corpo è prevalso sulle posizioni di un Giancarlo Giorgetti, considerato da sempre molto vicino al Presidente del Consiglio uscente e più cauto rispetto al leader Matteo Salvini, avvisato dell’errore di catapultare il Paese in una fase di instabilità solamente per inseguire e tentare di frenare l’inarrestabile ascesa di Giorgia Meloni, staccando la spina all’esperienza del governo di Unità nazionale. Chi invece non ha minimamente fatto un palese accenno all’agenda Draghi è stata proprio Giorgia Meloni, fiera oppositrice del governo nato nel febbraio del 2021 e che con ogni probabilità capitalizzerà la sua intransigenza con il primato nelle preferenze per il suo partito da parte del corpo elettorale. Eppure, nonostante non vi sia nemmeno un accenno a quanto fatto dal governo uscente, l’impressione ricavata in queste settimane di campagna elettorale sembra essere quella che la leader di Fratelli D’Italia abbia scelto un profilo relativamente basso, evitando promesse mirabolanti e strappi eccessivi, dimostrando così sia all’interno che ai partner internazionali una certa dose di affidabilità oltre a sgombrare il campo da possibili equivoci sulle intenzioni del futuro Presidente del Consiglio, per il quale non ci saranno intenzioni bellicose né tantomeno sbandate populiste tipo quelle cui si poté assistere ai tempi del Governo Conte I. In tale direzione anche le dichiarazioni di alcuni esponenti di primo piano del partito di Giorgia Meloni come Adolfo Urso, Presidente del Copasir hanno un significato molto chiaro ed importante, visto che a proposito della continuità in politica estera, sulle questioni inerenti alla difesa e l’energia, un governo a guida Fratelli D’Italia porterà avanti nel tentativo di non disperdere il patrimonio di credibilità internazionale conquistato grazie a Mario Draghi. Sotto questo aspetto hanno un peso rilevante hanno pure le dichiarazioni di Draghi in occasione della presentazione del decreto Aiuti bis allorquando ha provato a definire la propria agenda come una serie di risposte, interventi e riforme utili a fronteggiare i problemi che si presenteranno, ribadendo l’esiziale importanza del vincolo esterno per il nostro Paese quando a proposito di credibilità ha sottolineato come avere un credito internazionale alto come lo ha l’Italia oggi è importantissimo per la crescita interna, per il benessere, per la prosperità, per l’equità sociale, per poter fare tutte le riforme necessarie senza scatenare l’ostilità di chi dall’esterno guarda con interesse le nostro dinamiche politiche ed economiche. Una dose di realpolitik ed invito alla prudenza che ad onor del vero ha sempre caratterizzato l’azione di Mario Draghi nei suoi 18 mesi di Governo e che oggi ancor di più dovrebbe essere assunta in quantità robusta da chi si candida a guidare il Paese.
Foto copertina: Mario Draghi al meeting di Rimini 2022