Identità e nazione: la forza e la sfida dello stato di Israele


La composizione della Knesset eletta dagli israeliani il 1 novembre ha portato esperti e studiosi a riproporre riflessioni sulla forza dei discorsi sull’identità nazionale, sulle retoriche che hanno contribuito alla costruzione di uno Stato saldamente legato alla narrazione nazionalista sionista; in questo articolo riesaminiamo il legame fra nazionalismo, identità e potere.


A cura di Viviana Serpillo

La radicalizzazione e il nazionalismo sfrenato dell’estrema destra israeliana, risultata vincitrice dalla tornata elettorale di novembre 2022, suscitano preoccupazioni fra esperti e studiosi e producono un’ondata di proteste di quella parte della popolazione che rifiuta l’ennesimo governo Netanyahu e le sue componenti estremiste. Dalle prime settimane di gennaio 2023, la popolazione israeliana è scesa in piazza settimanalmente in tutto il Paese per mostrare il proprio dissenso e la preoccupazione per le minacce che le politiche ultra-nazionaliste pongono alle stesse basi democratiche dell’etnocrazia israeliana[1].
Ma come si è arrivati a questo punto? Come ogni processo politico è necessario fare dei passi indietro per comprendere a fondo il contesto politico e ideologico israeliano. In Israele il nazionalismo non ha mai smesso di definire l’identità e la forza legittimante dello Stato, che ha fondato proprio sul discorso nazionale la propria nascita e costruzione. Il processo di creazione dell’identità nazionale poggia su narrazioni che sfruttano i rapporti di forza sia interni a gruppi etnici che fra parti in conflitto, manipolandoli e creando miti e visioni della storia che intessono una fitta trama che ci restituisce oggi la deriva estremista della politica israeliana.

Lo Stato-nazione, un mito da costruire

Il processo di formazione dello Stato nazionale secondo il modello westfaliano di stampo europeo, impostosi con processi violenti come forma principale di organizzazione politica in ogni angolo del mondo contemporaneo, ha definito un rapporto profondo fra identità, popolazione e Stato. Il nazionalismo è un processo in cui vari gruppi con posizioni e interessi spesso divergenti lottano fra loro per il diritto di determinare le linee identitarie e culturali della Nazione[2]; in quanto processo, la nazione non è un’entità costituita di per sé, ma anzi è prodotto di processi culturali e concettuali che definiscono un costrutto artificiale determinato dalla creazione di simboli, dall’invenzione di tradizioni.
Sull’onda della diffusione del nazionalismo come “primavera dei popoli” nel XIX secolo, il tentativo del sionismo di trasformare la religione ebraica a identità nazionale ha portato ad un naturale processo di ridefinizione dell’identità etnica in termini nazionali. [3]Il caso di Israele rappresenta di fatto un laboratorio concreto della costruzione dello Stato nazionale sull’identità, in quanto i primi ideologi del sionismo e fra i fondatori dello Medinat Yisra’el, hanno iniziato la concettualizzazione dell’identità ebraica facendo esperienza dei processi europei e importandoli con le ondate migratorie nei territori dell’allora Palestina storica. Il confine tra Medinat (Stato) e Eretz (Terra) è stato volutamente fuso per creare un sinolo con l’identità che è definita e a sua volta definisce la Terra, determinando un aspetto fondante e cruciale nel comprendere le dinamiche storiche ed attuali.

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Il sionismo e l’identità ebraica

Il movimento sionista, fin dal primo manifesto politico Der Judenstaat, [4]non ha mai smesso di costruire una narrazione che potesse legittimarlo, dando priorità alla valorizzazione del legame di appartenenza fra la comunità ebraica e la Terra Santa (Eretz haQodesh), terra di Abramo e della sua discendenza. Un altro aspetto a cui il sionismo ha sempre riservato un ruolo di preminenza riguarda la concettualizzazione dell’identità ebraica in sé, che è stata ed è la capacità di raccontare una visione storica funzionale alla creazione di uno Stato nazionale solo ebraico. In questo modo si è affermato un processo che si autoproduce e costituisce un’assimilazione implicita del diritto della popolazione ebraica a vivere e prosperare in quei territori, a danno di chiunque possa rappresentare una minaccia a questo progetto.
In questa prospettiva il sionismo ha elaborato un’immagine, un simbolo estremamente calzante rispetto alla costituzione dello Stato di Israele del maggio 1948, che racchiude in sé sia il background religioso dell’ebraismo che la narrazione di Israele come la vittima, accerchiata dai propri nemici con la ferma intenzione di strangolare lo Stato ebraico alla nascita: Israele era un indifeso e debole David che combatteva contro un grande e forte Golia, in una disperata, eroica, e alla fine riuscita battaglia per la sopravvivenza contro le probabilità schiaccianti di essere sopraffatto. Questa immagine è ormai penetrata nell’immaginario collettivo israeliano, portando a credere che l’estremismo rappresenti una delle poche, se non l’unica, alternativa che possa garantire la sopravvivenza stessa della comunità.

Conclusioni

La pretesa di governare in nome della nazione rende imperativo che coloro che governano facciano prevalere il proprio punto di vista sull’identità e gli interessi [strategici][5]. Il lungo percorso che affonda le radici nella nascita del movimento sionista e passa per la creazione dello Stato di Israele e per la sua costituzione come Stato nazione attorno all’identità etnica dell’ebraismo ha condotto alla visione distorta odierna della politica interna del Paese.
È questo il peso che la politica e la società israeliana si portano dietro, in parte in modo inconsapevole e che ha condotto in oltre 75 anni di storia a un apparato statale imperniato sulla superiorità di un’identità nazionale che il sionismo ha modellato ed esasperato. Prima che politica, la vittoria della destra ebraica è culturale ed ideologica, perché è stata capace di modellare una nazione attraverso la paura di una minaccia interna ed esterna all’identità e quindi allo Stato.
E adesso questa fitta trama che lega nazione, identità, Stato ha iniziato a formare matasse, in cui parti della popolazione non riescono più a inserirsi. Una spaccatura divide la società, fra chi vede nel nazionalismo l’unica soluzione alla propria sopravvivenza identitaria e chi invece ne riconosce la pericolosità. Forse è arrivato il momento di fare i conti con oltre un secolo di nazionalismo estremo che ha proliferato e ora è arrivato ad essere l’ago della bilancia della politica in Israele?


Note

[1] Per un approfondimento sul concetto di etnocrazia vd. SMOOHA S., The Model of Ethnic Democracy, European Center for Minority Issues, 2001
[2] ANDERSON, B. (1983) Imagined Communities: Reflections on the Origin and Spread of Nationalism, Verso
[3] PAPPÉ, I. (2017) Ten Myths About Israel, Verso
[4] HERZL, T. (1896). Der Judenstaat: Versuch einer modernen Lösung der Judenfrage. Breitenstein.
[5] TRIPP, C. (2013) The Power and the People. Path of Resistance in the Middle East, Cambridge Press


Foto copertina: Israel – Jerusalem – The Old City  Wikipedia