Il primo viaggio di Biden in Medio Oriente


La guerra in Ucraina sta imponendo agli Stati Uniti dei cambi di rotta in politica estera, anche nel tentativo di controllare il caro-energia. Questo e altri motivi porteranno Joe Biden in Medio Oriente per la prima volta da presidente in carica, fra il 13 e il 16 luglio, dove visiterà Israele, Cisgiordania e Arabia Saudita.


Medio Oriente, sempiterno nucleo esterno dell’America

La prima visita di Biden in Medio Oriente era ed è molto attesa da tutti i leader della regione, in particolare il premier israeliano Naftali Bennett e il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman, coi quali si era posto agli antipodi criticando rispettivamente gli insediamenti israeliani a scapito dei palestinesi e, a riguardo dell’omicidio dell’editorialista del Washington Post, Jamal Khashoggi, dichiarando che “i sauditi devono essere trattati come i pariah che sono[1].
Il viaggio mediorientale di Biden, che aveva promesso di “riportare i diritti umani in cima all’agenda statunitense”, avverrà a un anno esatto dalle conclusioni delle indagini dell’intelligence americana sull’omicidio Khashoggi [2]. Per questo motivo, fino ad oggi, il presidente americano aveva avuto colloqui soltanto con il re Salman e rifiutato di riconoscerne il figlio come leader de facto.

I regimi politici e le case regnanti della regione MENA temevano la prospettiva di una nuova amministrazione democratica, dapprima che le urne decretassero il vincitore delle presidenziali del 2020, nella consapevolezza del loro povero record in termini di libertà e diritti. Ma le conseguenze della guerra in Ucraina a livello internazionale, che hanno impattato sull’economia a stelle e strisce, hanno rimescolato le carte in tavola. Biden, alle prese con una tremenda ondata inflattiva in casa e con le elezioni di medio termine in dirittura d’arrivo, è stato costretto a mettere la questione diritti umani da parte.

Guerra in Ucraina a parte, la verità è che un ruolo nell’attuale caro-energia che sta travolgendo gli Stati Uniti è stato giocato dall’agenda verde dell’amministrazione Biden – dalla sospensione dell’oleodotto Keystone XL alla riduzione degli investimenti in idrocarburi –, senza la quale i prezzi medi alla pompa mai avrebbero toccato le soglie di questi mesi. La presidenza Biden non ha che un modo per trovare una soluzione a questa crisi dalla doppia origine: incoraggiare i grandi produttori dell’OPEC, in primis l’Arabia Saudita, ad aumentare i livelli di produzione. E ha esercitato, prevedibilmente, pressioni in tal senso sin dallo scoppio della guerra. Sorprendentemente, però, MbS non ha voluto soddisfare le richieste provenienti dagli Stati Uniti. Ha saputo temporeggiare. È stato abile a giocare la carta del greggio in cambio della legittimità di futuro erede al trono, che gli verrà riconosciuta de facto dalla Casa Bianca in seguito al viaggio di Biden.

Chi di ideologia ferisce, di ideologia perisce

L’annuncio del tour mediorientale di Biden è stato accolto con freddezza dall’elettorato democratico nordamericano, quello stesso elettorato la cui ideologizzazione e la cui radicalizzazione il suo partito ha coltivato per anni. Ora, però, a pagare il prezzo del ritorno di fiamma dell’estremizzazione dei Dem potrebbero essere gli Stati Uniti nella loro interezza – cosa che Biden, un pragmatico, non può e non vuole permettersi.
Quello che è accaduto è che tredici organizzazioni per i diritti umani hanno rivolto un appello al presidente, denunciando le possibili ripercussioni dell’incontro con MbS sull’avanzamento delle libertà individuali nel regno saudita. E all’appello hanno fatto seguito le pressioni lobbistiche. Una situazione sensibile, non preventivata, che ha danneggiato la già deturpata immagine della presidenza a Riad: prima la sottopubblicizzazione del vertice Biden-MbS, poi la decisione di inserire il faccia a faccia a margine del prossimo GCC+3 – così da farlo sembrare un incontro di secondo livello – e di rimandare il tour – che avrebbe dovuto tenersi a fine giugno. Curiosamente, va fatto notare che il GCC non si riunisce mai a metà anno, ma sempre o a gennaio o a dicembre, perciò questo vertice estivo va letto come una sorta di favore all’alleato americano. Un favore che potrebbe, nel lungo periodo, minare ulteriormente la reputazione degli Stati Uniti, che potrebbero essere crescentemente percepiti, nell’area MENA e altrove, come una potenza inaffidabile in quanto ostaggio di masse ideologizzate.

Arabosfera, teatro-chiave della transizione multipolare

La visita di Biden potrebbe cristallizzare lo status quo venutosi a creare durante l’era Trump con lo stabilimento dell’alleanza di Abramo. Perché si vocifera che la diplomazia americana sia disposta a fare concessioni riguardevoli a MbS e a Riad in generale, confermando la legittimità del primo al trono e sveltendo l’ufficializzazione dei rapporti con Tel Aviv della seconda. Secondo la stampa israeliana, infatti, i vertici sauditi sarebbero favorevoli a normalizzare con Israele in occasione del tour bideniano.
In definitiva, Biden cercherà di raggiungere tre obiettivi con il tour mediorientale:

  1. Persuadere l’OPEC ad aumentare la produzione del petrolio così da ridurre il prezzo dei carburanti negli Stati Uniti;
  2. Migliorare lo scudo diplomatico a protezione di Israele attraverso un’alleanza Israele-GCC – destinatario del messaggio: l’Iran;
  3. Rammentare a Russia e Cina che gli Stati Uniti non si stanno disimpegnando dal Medio Oriente totalmente e per sempre, ma soltanto nell’ambito del ricalibramento verso l’Indo-Pacifico, e che esso è e resta uno dei teatri di maggiore importanza per la loro agenda estera.

Note

[1]    Ryan Bort, Biden Heading to Saudi Arabia Despite Promising to Make It a ‘Pariah’, Rolling Stone, 14/6/202
[2] Intel report finds Saudi crown prince approved Khashoggi murder, Politico, 26/2/2021


Foto copertina: Joe Biden andrà in Medio Oriente fra il 13 e il 16 luglio