Intellego ergo sum


“Intellego ergo sum – introduzione politicamente scorretta all’intelligence: per analisti, giornalisti, manager e non solo” di Alessandro Vivaldi.


Intelligence, open source, analisi geopolitiche, forse come mai prima d’ora in Italia sempre più spesso sentiamo queste espressioni, parole con un significato oscuro per i non addetti ai lavori, e forse anche troppo abusate tanto da svuotarne di significato in alcuni casi. Se tutto è analisi geopolitica allora nulla è analisi geopolitica. “Intellego ergo sum – introduzione politicamente scorretta all’intelligence: per analisti, giornalisti, manager e non solo” di Alessandro Vivaldi, cerca di fare un po’ di chiarezza con questo libro veloce, a tratti feroce, non accademico e destinato a chi ne vuole sapere qualcosa del mondo dell’intelligence.
Se per intelligence immaginate un James Bond con belle ragazze e martini agitato, siete fuori pista…chi si occupa di intelligence lavora sulle fonti, verifica le informazioni e sottopone le conclusioni agli operatori interessati.

Intervista con l’autore.

Partiamo dal titolo “Intellego ergo sum – introduzione politicamente scorretta all’intelligence: per analisti, giornalisti, manager e non solo”. Cosa ha voluto comunicare ai suoi lettori?
“Due concetti portanti: il primo è che il tradizionale “cogito ergo sum” non è più sufficiente. Nel mondo di oggi, iper-digitalizzato e che produce un quantitativo di informazioni superiore a quanto visto nel resto della storia umana, pensare non è più sufficiente, bisogna infatti pensare in maniera strutturata, con spirito critico, adottando arte del pensare, sì, ma anche tecnica del pensare, e quest’ultima, negli ultimi 30 anni, ce la siamo dimenticata, soprattutto a livello di dibattito pubblico (per quanto mi riguarda, anche perché stiamo gettando nel dimenticatoio le lauree umanistiche, Filosofia in primis). Secondo punto: l’intelligence è in realtà una funzione che l’essere umano ha già in sé, istintivamente, come anche altri animali, ma che dobbiamo raffinare costantemente per affrontare la complessità che ci circonda.”.

Nel libro definisce l’intelligence come «conoscenza previsionale al servizio di un processo decisionale». Cosa intende?
“Quanto stavo già accennando. L’intelligence non è altro che un processo per prendere decisioni migliori. Questo processo è innato negli esseri umani, sia a livello biologico, direi istintivo, che a livello intellettuale. Il problema nasce quando le troppe informazioni intasano il processo istintivo, di base, e quindi dobbiamo intervenire con delle tecniche strutturate per supportare le nostre decisioni, e ancor di più dobbiamo farlo quando prendiamo decisioni per le organizzazioni, per i gruppi umani, dalle istituzioni alle aziende. Il ruolo fondante dell’intelligence, oggi, è arginare la dittatura della comunicazione emotiva e quindi portare gli individui e i gruppi, i decisori, a decidere il più possibile razionalmente e il meno possibile emotivamente.”.

Nel suo libro se la prende un po’ con chi abusa dell’espressione Open Sources Intelligence…ci può chiarire le idee sul significato e sulla sua critica
“L’OsInt è una risorsa imprescindibile, rappresenta il 95% dell’intelligence. Il problema è che è mal compresa o fatta e venduta “un tanto al chilo”, come si dice in gergo. Entrambe le tipologie OsInt che definisco nel libro, quella più indirizzata verso le investigazioni informatiche e quella più orientata verso l’intelligence pura, sono fondamentali nel mondo contemporaneo. Ma vanno sapute fare: se per OsInt intendiamo una banale ricerca google con risultati inseriti in una tabella excel, come fanno molte aziende, decisamente non ci siamo. E stiamo facendo danni, all’azienda e al committente.”.

Nel mondo d’oggi dove la quantità delle notizie disponibili agli internauti è letteralmente enorme e in modo proporzionale aumenta la probabilità di non saper riconoscere le fake news. Per evitare di cadere in queste trappole, l’unico metodo sembra essere quello dell’affidabilità della fonte e la veridicità dell’informazione, ma non è sempre un lavoro facile…
“A monte, il problema è il concetto di fake news, perché nasce da un ambito più specificatamente scientifico. In ambito scienze dure, le fake news esistono e sono spesso dimostrabili. Ma in tutto quello che è scienza umana, quindi l’uomo, il tutto si complica e si va oltre le fake news, si entra nel dominio cognitivo, dove esiste inevitabilmente una “libertà di interpretazione” piegabile agli interessi di una parte e dell’altra. Per questo è preferibile parlare di concetti come propaganda e guerra informativa, specificando che queste le facciamo tutti, senza esclusione alcuna, a cominciare dai partiti. Il punto, quindi, diventa il cercare di smantellare quello che è palesemente falso, sì, ma anche comprendere che ogni fatto appurato passa attraverso l’interpretazione degli individui, e in tutto ciò bisogna trovare dei punti fermi, dei codici condivisi, come per esempio il Diritto Internazionale Universale. Ma se poi io, presidente del Burmini (cit. di Boris) mi metto ad accusare chicchessia di genocidio senza avere presenti le basi del Diritto Internazionale e del crimine “genocidio”, sto disintegrando quel codice condiviso per motivi politici, e quindi sto facendo “fake news”, anche se sono il presidente del paese più democratico del mondo (sic!).”.

Nel suo libro è molto critico verso la stragrande maggioranza della produzione geopolitica italiana che definisce “stantia e imprecisa”. Ci può spiegare il perché?
“In Italia abbiamo ottimi ricercatori nell’ambito delle relazioni internazionali, questo è un dato di fatto. Le nostre facoltà di scienze politiche per me vincono a mani basse soprattutto rispetto al Nord Europa e in molti casi anche rispetto all’anglosfera. Ma è e rimane ricerca accademica. A un decisore politico, a un decisore aziendale, a un decisore militare, 30 pagine di paper accademico spacciate per analisi non servono assolutamente a nulla. Per questo nel libro spiego come la geopolitica debba farsi intelligence strategica, quindi efficace nell’analizzare scenari futuri e proporre azioni secondo i metodi dell’intelligence.
E in questa cornice, in Italia esiste davvero poco. Ma ci stiamo lavorando.”.

La copertina è molto simpatica con il globo terrestre con la faccia di un gatto. Mi ha incuriosito la descrizione, Lei afferma che per comprendere davvero l’intelligence bisogna tener bene presente i gatti. Perché?
“Io sono cresciuto dapprima con i pastori tedeschi, l’incarnazione del fedele cane militare e poliziotto, e poi con i gatti. Ho quindi ben presenti le differenze. I nostri cani, indifferentemente dalla taglia, si sono evoluti per difendere noi e la “tana” della famiglia. Qualsiasi cosa si avvicini, è percepita e individuata. Ma i felini in genere e i gatti, sono diversi. La loro capacità di capire il territorio e quello che avviene in esso si estende per chilometri, anche quando sono gatti d’appartamento. E come spiego nel libro, hanno due organi di senso aggiuntivo: le vibrisse con cui percepiscono anche gli spostamenti d’aria più impercettibili e il canale che dalla lingua passa al naso, aggiungendo qualcosa alla loro capacità olfattiva. Hanno, letteralmente, due agenzie di intelligence in più. E rispetto ai cani sono maggiormente indipendenti, non obbediscono aprioristicamente, scelgono sempre di dire la verità, anche quando palesa la schiavitù dello stupido umano che li serve. Insomma, sono l’esempio perfetto di quello che dovrebbe fare uno specialista di intelligence.”.


Foto copertina: Intellego ergo sum – introduzione politicamente scorretta all’intelligence: per analisti, giornalisti, manager e non solo”.