Una delle questioni più importanti che la nuova legislatura dovrà affrontare è quella meridionale. Dimenticata e ignorata, l’abissale differenza tra Nord e Sud è cruciale per il futuro del Paese intero. Il PNRR assegna al Mezzogiorno almeno il 40% di tutte le risorse allocabili, circa 86 miliardi, per tentare di colmare il divario di sviluppo. Il nuovo esecutivo dovrà spenderli nel modo più efficiente possibile, evitando di fare promesse irrealizzabili o non rilevanti come il ponte sullo Stretto.
Una storia vecchia quanto l’Italia
È difficile stabilire un punto di inizio della questione meridionale. Nel 1861, anno dell’unità, l’Italia era già divisa. L’operoso Nord aveva sviluppato industrie fiorenti mentre al Sud i Borboni non avevano affrontato i problemi sociali ed economici che ne bloccavano lo sviluppo. Dopo l’unità la fragile economia meridionale crollò sotto la tassazione che lo Stato estese dal Piemonte al resto d’Italia, senza tenere conto delle differenze tra Nord e Sud. Nel corso dei decenni, il Mezzogiorno divenne sia un bacino di manodopera per le industrie del Nord, sia un mercato dove queste stesse imprese potevano esportare. Il drenaggio di persone e risorse continua ancora oggi. Dal 2000 il Sud ha perso circa due milioni di giovani, in gran parte laureati o che vanno a studiare al Nord. È come se ogni dieci anni scomparisse una città come Napoli o Palermo[1]. Non sono solo i giovani in cerca di opportunità a spostarsi: anche coloro che necessitano cure mediche preferiscono cercarle al Nord. Ogni anno il Meridione trasferisce più di due miliardi di euro al Nord in trattamenti sanitari.[2] In termini assoluti, il PIL del Sud è la metà di quello del Nord, mentre la disoccupazione è il triplo. Le regioni del Mezzogiorno si collocano agli ultimi posti per occupazione nell’Unione Europea.
Oltre che economica, la questione meridionale è sempre stata soprattutto sociale. Nel 1861, quando il PIL per abitante del Sud era poco inferiore alla media italiana, c’erano comunque alti tassi di analfabetismo, mortalità e povertà. La disuguaglianza tra Nord e Sud era anzitutto sociale. La ristretta fascia di borghesia era totalmente subordinata ai grandi proprietari terrieri, che bloccarono ogni tentativo di modernizzazione. Esempio di questa dinamica fu il dazio sul grano, che lo Stato impose anche con l’assenso dei latifondisti, proteggendoli dalla competizione con i prodotti cerealicoli importati dall’estero, anche al costo di far pagare di più il pane. Le politiche pubbliche fasciste come la “battaglia del grano” rinforzarono ancora il potere dei proprietari terrieri.
Il divario tra Nord e Sud in termini di PIL per abitante fu parzialmente ridotto negli anni Cinquanta e Sessanta, grazie alla Cassa del Mezzogiorno. In due decenni il Meridione crebbe anche più del Nord, fino a quasi equipararlo in PIL per abitante. Fu anche un periodo di crescita per l’Italia intera, che divenne una grande potenza industriale. Negli anni Settanta la Cassa del Mezzogiorno smise di funzionare come negli anni precedenti, complice l’interferenza della politica e il meccanismo distorto che aiutava persino a finanziare la criminalità organizzata.[3]
Ricucire l’Italia
Oggi il Sud rischia la desertificazione: il drenaggio di giovani e la bassa natalità porterà in futuro a una catastrofe demografica, con la popolazione che non sarà in grado di sostenere le misure di welfare dei propri territori, aumentando la dipendenza dal Nord. Ma il problema riguarda l’Italia intera. Le difficoltà del Sud si vanno estendendo a tutto il Paese. Lentezza e inefficienza burocratica, delocalizzazione, mancanza di opportunità per i giovani, spopolamento dei piccoli centri a favore di poche grandi città, affliggono ormai anche il centro Italia. Il simbolo di questo regresso è Roma. Ben lontana dalle sue controparti in Francia o Regno Unito, dove le capitali sono il fulcro della vita economica, sociale, culturale e politica del Paese, la città eterna si è meridionalizzata, salvata solo dall’aura degli antichi fasti imperiali. Roma deve essere rilanciata, perché il declino di Roma è il declino dell’Italia.
Dall’altro lato, Milano ambisce a diventare “capitale economica e sociale”, come la chiama il suo sindaco, Sala. Già oggi il capoluogo lombardo supera Roma in produttività. Milano è il simbolo di un Nord che si sogna autonomo, libero dalla zavorra del Sud. Quello stesso Sud da cui proviene una gran parte della forza lavoro e delle competenze che ne fanno la ricchezza.[4]
Ad oggi la questione meridionale rimane irrisolta. Il Sud è la più grande area in ritardo di sviluppo dell’Europa Occidentale. È dunque essenziale che la prossima legislatura si occupi del Sud, come prescritto dal PNRR. Non bastano i finanziamenti, è necessario che essi siano mirati ed efficienti. Bisogna stimolare investimenti privati ed esteri in un’area che, peraltro, già ora produce il 50% dell’energia pulita italiana. Serve serietà progettuale ed efficienza attuativa. È anche importante che i finanziamenti europei vengano realmente intercettati, come a volte non accade perché la classe dirigente è incapace di formulare un progetto tale da ricevere i fondi. Ne è un esempio la Calabria, che non ha ricevuto alcun finanziamento dal PNRR per la sua rete idrica, nonostante la dispersione di acqua si avvicini al 50%.[5] Ancora, sarebbe bene non affidarsi a progetti come il ponte sullo Stretto per affrontare i problemi infrastrutturali del Meridione. Quello della grande opera come panacea di tutti i mali è un mito, più volte sfatato nella storia.
Il Sud dimenticato dalla politica
Per le elezioni del 25 settembre, nei programmi dei partiti vi sono poche parole per il Sud. Si parla invece di autonomia differenziata, un cavallo di battaglia della Lega. Si chiede l’attuazione del Ddl Gelmini, al fine di dare maggiore autonomia agli Enti territoriali nella gestione delle risorse, nella convinzione che questo responsabilizzi le classi dirigenti. Dietro questa proposta vi è l’idea che il Sud fatica perché viene riempito di soldi che non sa spendere e che vengono sottratti al laborioso e responsabile Nord. Tuttavia, i dati dicono il contrario. A partire dal 2016 lo Stato ha speso in media 12.000 euro pro capite per il Meridione, a fronte di 15.000 per il Centro-Nord. Ancora, dal 2000 al 2007 il Sud ha ricevuto meno risorse rispetto alla media nazionale, al contrario del Nord che ne ha ricevute di più.[6] Inoltre, la difficoltà a intercettare i fondi e attuare progetti deriva dal fatto che le amministrazioni meridionali sono sottodimensionate, sia in termini di capitale umano che fisico, a causa dei tagli alle risorse.
Investire sul Sud significa far progredire l’Italia intera. Un’indagine della Banca d’Italia ha dimostrato come l’aumento di 1 euro di PIL al Sud produca un aumento di 40 centesimi del PIL del Centro-Nord. Questo perché l’aumento di consumi aiuta anche le aziende del Nord che esportano nel Mezzogiorno. La crescita del Sud trascina quella dell’Italia intera, il che sfata il mito del Nord locomotiva. Un aumento di 1 euro di PIL al Nord produce un incremento di soli 10 centesimi del PIL italiano. Attuare il progetto di autonomia differenziata significa sottrarre al Parlamento la gestione di molte risorse, il che significherebbe altri tagli al Sud, e una minore crescita per il Paese intero.
L’arretratezza del Mezzogiorno è una conseguenza di condizioni sociali ed economiche preesistenti all’unità d’Italia, che le politiche pubbliche hanno peggiorato. Il declino di un’area che comprende 20 milioni di abitanti è un problema per l’Italia intera. Un paese “a due velocità” ha poco margine di crescita, dato che rinuncia a priori al contributo di una parte importante del suo territorio. Abbandonare il Mezzogiorno è ancora più insensato considerando che l’Italia, per la sua geografia e storia, dovrebbe guardare più al Mediterraneo che all’Europa centrale. Come diceva Mazzini, “l’Italia sarà quel che il Mezzogiorno sarà”.
Note
[1] “Sud. Per ricucire il Paese il PNRR aiuta (ma non basterà)”, Ferruccio De Bortoli, L’Economia, Corriere della Sera, 04/07/2022, pag. 3.
[2] “Il Mezzogiorno: una questione nazionale”, Fabrizio Balassone, bancaditalia.it
[3] “Disuguaglianze, la questione meridionale non è solo il divario tra nord e sud”, Emanuele Felice, editorialedomani.it
[4] “La questione meridionale è questione nazionale”, Rebecca Pecori, L’Italia sospesa, Domino n. 5 2022.
[5] “Pnrr: Alecci,a Calabria niente fondi per perdite reti idriche”, ansa.it
[6] “Ma il Sud viene dimenticato nei programmi dei partiti”, Guglielmo Forges Davanzati, ilsole24ore.com
Foto copertina: La questione meridionale