La Repubblica Moldava di Pridniestrov o Pridnestrovie, meglio conosciuta come Transnistria, fa parte di quell’insieme di entità territoriali a tutti gli effetti autonome rispetto al governo del paese nel quale sono ufficialmente inquadrate che, nel linguaggio del Diritto Internazionale, vengono definite come stati “de facto”.
La dicitura Stato “de facto”. sta proprio ad indicare la circostanza fattuale per cui, pur essendo a tutti gli effetti riconosciuti non indipendenti dalla maggior parte della Comunità Internazionale, controllano e governano in sostanziale autonomia rispetto al governo centrale un territorio ed una popolazione ben definiti.
Le velleità indipendentistiche della Transnistria raggiungono il culmine nel Settembre del 1990 quando, in via del tutto unilaterale, la regione con capitale Tiraspol ha dichiarato la propria indipendenza. Questo avvenimento può essere visto come una reazione della Transnistria alle riforme legate alla Perestroika, fortemente volute da Gorbačëv che, tra le tante decisioni, includevano l’abolizione della lingua Russa come lingua ufficiale della Repubblica Socialista Sovietica della Moldava. Questo originò forti malcontenti nella parte orientale del Paese, dove era presente una forte maggioranza russofona. In seguito al fallimento della secessione tentata nel 1990, quando anche un referendum non riconosciuto dalla comunità internazionale sancì in via teorica l’indipendenza della Transnistria con una percentuale bulgara, la dissoluzione dell’Unione Sovietica costituì un momento di shock per l’equilibrio già precario della regione. Nella primavera del 1992 scoppiò un conflitto tra la Repubblica dei Moldavia e la Repubblica Moldava di Transnistria. Negli anni precedenti, le forze armate della Moldavia erano state supportate ed addestrate dalla vicina Romania, alleato storico di Chişinău, soprattutto in chiave anti-sovietica. Tuttavia, ciò non bastò a garantire la vittoria dell’esercito moldavo, sconfitto dalle forze separatiste, rinvigorite dal decisivo appoggio russo. Fu proprio la russa a mediare il cessate il fuoco che determinò il “congelamento” del conflitto.[1] Nell’ambito delle relazioni internazionali, un conflitto congelato (frozen conflict) è una situazione in cui lo scontro armato è cessato a causa di circostanza di fatto, senza che soluzioni di tipo politico-diplomatiche abbiano posto ufficialmente fine allo stesso. Di conseguenza la guerra può ricominciare in qualsiasi momento, alimentando così un’atmosfera di costante instabilità che può sfociare in una ripresa delle attività belliche in qualsiasi momento.
All’indomani del cessate il fuoco, venne formata una forza di peacekeeping composta da cinque battaglioni russi, tre moldavi e due transnistri, che tutt’ora costituisce l’unico deterrente dalla ripresa delle ostilità.
Nel 1996, la Transnistria ha provveduto a dotarsi di una propria Costituzione, che designa la Repubblica come semi-presidenziale, in cui il Capo dello Stato è direttamente eletto dal popolo ed affiancato da un’assemblea legislativa unicamerale, “il Consiglio dei Deputati del Popolo”, composto da 43 rappresentanti eletti ogni quattro anni. Concretamente, le prerogative del parlamento transnistro sono puramente formali, essendo il potere fortemente concentrato nelle mani del Presidente.
Per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani, la Transnistria è stata fortemente criticata da molti esponenti internazionali; Freedom House, nel “Freedom in The World” Report del 2007, ha classificato la Transnistria come un territorio “non libero” e, nel 2021, la stessa Freedom House segnala una preoccupante e crescente limitazione del pluralismo politico ed ideologico.[2]
Come si può evincere dal nostro excursus storico, estremamente nette sono le differenze in materia di politica estera esistenti tra Moldavia e Transnistria. Le autorità di Chişinău, infatti, non nascondono il desiderio di una riunificazione con la Romania; la stessa Lingua Moldava fu creata durante la dominazione sovietica traslitterando il Romeno in caratteri cirillici, e forti sono i legami diplomatici, politici e culturali che intercorrono con Bucarest.
Il vento che soffia a Tiraspol è drasticamente differente: qui la componente russofona è in netta maggioranza, essendo il russo utilizzato anche come forma di comunicazione interfonica tra gli stessi russi, i moldavi e gli Ucraini (un’ampia fetta di popolazione si riconosce nell’etnia ucraina, e la lingua di Kiev è addirittura annoverata tra le lingue ufficiali della Transnistria). Inoltre, non può non suscitare curiosità notare come la regione secessionista abbia mantenuto pressoché intatto il simbolismo politico e culturale dell’Unione Sovietica; statue di Lenin campeggiano fiere sulle principali città e Falce e Martello si stagliano beffarde del tempo sulle effigi dello Stato.[3]
Era inevitabile che il conflitto Russo-Ucraino intensificasse la luce dei riflettori che dal 1990 sono puntati sulla Transnistria. Oggi, il governo di Tiraspol e la sua economia dipendono in larga parte dai fondi provenienti da Mosca, nonostante timidi riavvicinamenti diplomatici tra i secessionisti transnistri e la Moldavia. Dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, sono più volte ventilate le voci di un coinvolgimento della Transnistria nel conflitto come avamposto che le truppe di Putin potrebbero utilizzare per attaccare Odessa; tuttavia, questo è uno scenario abbastanza improbabile. Le unità russe attualmente presenti nella regione non superano le 2000, e il loro compito è principalmente destinato alla difesa della base di Cobasna, dove si trova un enorme deposito di armamenti sovietici che, a detta dell’ex ministro della Difesa moldavo Anatol Salaru, sono oggi obsolete e non funzionanti.[4]
Questo non toglie che gli occhi di Putin siano ben puntati anche sulla Transnistria, del resto un futuro attacco alla Moldavia avvalorato dall’ormai inflazionato alibi della “tutela delle minoranze russofone” non è, ad avviso di chi scrive, da escludere. Questo schema costituisce infatti da vent’anni un pilastro dell’aggressiva politica estera putiniana basata sul dividi et impera: finanziare e armare movimenti secessionisti nelle ex repubbliche sovietiche, acuendo così il conflitto tra questi ultimi e le legittime autorità centrali, per poi invocare la necessità di “Operazioni Speciali” o mirabolanti “De-Nazificazioni” volte proteggere le minoranze russofone da inesistenti pulizie etniche perpetrate, secondo il Cremlino, dai governi di quei paesi che la Russia ha per anni de-stabilizzato. così, almeno, è stato in Cecenia, Georgia e Ucraina, prima con la Crimea e poi con l’aggressione del 2022 volta ad impadronirsi dei territori del Donbass e del Lugansk.
Nonostante ad oggi la posizione della Russia sia molto più difficile che in passato a causa della vigorosa risposta della Comunità Internazionale all’invasione dell’Ucraina e i servizi di intelligence dei paesi occidentali abbiano alzato la guardia circa il pericolo di infiltrazioni e destabilizzazioni da parte del regime di Putin, il pericolo di un coinvolgimento della Transnistria (e di conseguenza della Moldavia) nel conflitto non è assolutamente svanito. Proprio negli ultimi due mesi, infatti, si registrano a Chişinău molte proteste finanziate dal Cremlino per chiedere la fine dell’adesione della Moldavia alle sanzioni contro la Russia e un distacco netto rispetto alle politiche della NATO (nella quale, comunque, la Moldavia non ha mai espresso di voler entrare). Molti osservatori consigliano di rimanere vigili circa eventuali tentativi di colpi di stato volti ad instaurare in Chişinău un regime filo-russo.
Tuttavia, c’è da registrare come anche l’Ucraina abbia recentemente tentato di trascinare la Moldavia nel conflitto. Pare che negli ultimi mesi siano state fatte pressioni da parte di Kyiev sulla Presidente Moldava Maia Sandu per spingere l’esercito moldavo ad invadere la Transnistria. Nella strategia ucraina, questo comporterebbe l’apertura di un fronte bellico russo-moldavo che impegnerebbe le forze russe, ora già provate dall’abbandono dell’Oblast di Kherson e dalla conseguente ritirata sulla sponda orientale del Dnipro. Tuttavia, ad oggi si registra il netto rifiuto della Moldavia di unirsi al conflitto.[5] Anche questo scenario, dunque, risulta al momento da escludere. Un coinvolgimento diretto della Moldavia sarebbe ora come ora possibile soltanto in caso di un’attacco russo o di una precipitazione della situazione in Transnistria; a questo punto, difficilmente si potrebbe evitare un intervento della Romania a difesa dell’alleato, con risvolti e conseguenze potenzialmente catastrofiche e capaci di scatenare un’escalation dagli esiti inquietanti e imprevedibili.
Note
[1] https://lospiegone.com/2019/03/06/uno-stato-che-non-ce-la-transnistria/
[2] https://freedomhouse.org/country/transnistria/freedom-world/2021
[3]Transnistria, cos’è e perché se ne (ri)parla
[4] https://www.balcanicaucaso.org/aree/Transnistria/Transnistria-strumento-di-disturbo-e-provocazione-217801
[5] https://www.agcnews.eu/moldavia-chisinau-rigetta-la-proposta-ucraina-di-intervenire-in-transnistria/
Foto copertina: