L’arte della guerra ibrida


Non tutte le guerre si combattono con gli aerei e i carri armati, alcune guerre si combattono silenziosamente su terreni non convenzionali che vanno dall’economia alla disinformazione, dal cyber alla manipolazione elettorale. Sono le guerre ibride e ne parliamo con Emanuel Pietrobon, analista geopolitico e autore di “L’arte della guerra ibrida” (Castelvecchi, 2022).


Se qualcuno vi dicesse che è possibile mettere in ginocchio una Paese senza sparare un solo colpo di artiglieria, gli credereste? La guerra in Ucraina suggerirebbe di rispondere negativamente a questa domanda. Del resto stiamo vedendo che carri armati, artiglieria, missili e uomini sono ancora inevitabilmente decisivi.
Ma le grandi potenze (e le grandi corporazioni) stanno già sperimentando nuovi tipi di guerre, non per forza solo militari, ma guerre che si combattono a compi di disinformazione, di speculazioni economiche, di destabilizzazioni sociali, di attacchi cyber e di interferenze elettorali. Von Clausewitz affermava che «Ogni epoca ha la sua forma di guerra», e noi siamo nell’epoca delle guerre ibride.
Per comprendere cosa sono queste guerre ibride, chi le combatte e come fare a riconoscerle, ne parliamo con Emanuel Pietrobon, analista geopolitico, collaboratore di Opinio Juris e autore di “L’arte della guerra ibrida” (Castelvecchi, 2022 Acquista qui). Con “L’arte della guerra ibrida”, Pietrobon ci illustra la teoria e la prassi delle guerre ibride, attraverso la narrazione di casi reali di destabilizzazione.

Che cosa s’intende per “guerra ibrida”?
“È una guerra che combina elementi e armi convenzionali e non convenzionali, a volte esclusivamente di quest’ultimo tipo, e che si combatte lungo trincee atipiche, come la cultura, l’economia, l’informazione, le istituzioni, la religione e la società. È la guerra combattuta con mezzi che non siano carri armati e missili e da soldati senza divisa, quali possono essere criminali, giornalisti, guerriglieri, hacker, speculatori finanziari, terroristi e quinte colonne di vario tipo. È un tipo di guerra caratterizzato da un’ottima relazione tra costi e benefici, perché un bravo stratega è potenzialmente in grado di ottenere il massimo risultato col minimo sforzo: la sottomissione, lo spaesamento e/o l’indebolimento critico del rivale senza interventi militari diretti. Sebbene popolarmente e giornalisticamente associata alla Russia, vedasi la celeberrima dottrina Gerasimov – peraltro inesistente –, la guerra ibrida esiste da sempre e non è una prerogativa dei soli stati, né è tipica dei regimi autoritari e dittatoriali, poiché formulabile e attuabile da corporazioni multinazionali, gruppi guerriglieri, organizzazioni non governative, terrorismi.”

Come si conduce una guerra ibrida?
“La guerra ibrida non ha limiti. Consiste nella militarizzazione, cioè nella trasformazione in arma, di tutto ciò che ha il potenziale di far male, danneggiare e destabilizzare. Si possono impiegare attori del mondo dell’informazione per disinformare e/o indottrinare un’opinione pubblica. Si possono creare/strumentalizzare ondate migratorie per mettere sotto pressione i confini di un paese. Si può fare affidamento su speculatori, singoli e fondi, per attaccare valute, campioni nazionali e corporazioni. Nell’armamentario dei paesi, influenzato e influenzabile da una serie di fattori, può trovarsi di tutto. Dipende da cosa uno cerca. È necessario distinguere operazioni ibride – come un’interferenza elettorale o una campagna disinformativa – e guerre ibride – una pluralità organizzata e coordinata di operazioni. Ogni paese ha un proprio modus operandi quando si tratta di guerre, e questo vale anche per quelle ibride. False flag, entrismo e operazioni disinformative rientrano nel bagaglio di ogni strategia, ma solo alcuni sono in grado di pilotare un esodo migratorio. Non tutti hanno le risorse e una relazione con la vittima tali da possibilitare una guerra economica. E via dicendo. La Russia ha storicamente avuto un debole per la disinformazione, il cospirazionismo – che può radicalizzare gli individui a livelli inimmaginabili; si pensi, ad esempio, all’odierno movimento QAnon – e l’entrismo – cioè l’infiltrazione di gruppi di pressione e movimenti socioculturali, come l’internazionale pacifista durante la Guerra fredda. Insieme agli Stati Uniti e al Regno Unito, possiamo definirla la co-fondatrice delle guerre ibride contemporanee. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, non a caso maestri di guerre ibride, sono soliti utilizzare una vasta gamma di strumenti in simultanea: dalle interferenze elettorali alla speculazione finanziaria, dalle sanzioni economiche al terrorismo, dall’entrismo all’esportazione di ideologie in grado di riformare le società. È sottinteso, certamente, che il numero di mezzi impiegati varia a seconda dell’importanza rivestita dall’obiettivo. La Francia ha tradizionalmente prediletto l’accensione di guerre per procura e insorgenze etno-religiose, se si parla di continente africano, e la guerra economica – in ogni sua forma –, se si parla di Europa. La Turchia ha dimostrato di eccellere nell’utilizzo delle armi di migrazioni di massa e del terrorismo. L’imperscrutabile Cina ha appreso in modo osservazionale da Unione Sovietica e Stati Uniti, attingendo ad un legato millenario di fine pensiero strategico, ed è oggi capace di portare avanti attacchi cibernetici e infodemie di altissimo livello.”.

Quali sono gli strumenti per riconoscerla e difendersi?
“Non è un’impresa facile quella di riconoscere una guerra ibrida. Un paese può accorgersi della presenza di regie oscure dietro una crisi migratoria quando è ormai rientrata. Il reale autore di un attentato o di un grave sabotaggio potrebbe non essere mai scoperto. Un giornale potrebbe essere libero di fare disinformazione per anni, anche decenni, senza venire mai né chiuso né censurato. Gli attacchi cibernetici restano quasi sempre impuniti. Le prove di un’interferenza elettorale potrebbero comparire anni dopo il fatto.
Da dove partire? Dalla consapevolezza che non esistono delitti perfetti e che l’assassino torna sempre sulla scena del crimine. È inevitabile che il destabilizzatore lasci delle briciole lungo il suo cammino, perciò è imperativo che chi di dovere osservi ogni accadimento con spirito critico e vigilanza attiva e che destini le dovute risorse all’apparato spionistico. L’intelligence va resa efficiente e a prova di entrismo.
Non tutte le tracce possono essere cancellate, men che mai le tracce coinvolgenti il denaro. Chi sono i finanziatori del giornale che attacca in continuazione il governo? Chi c’è dietro le Ong che stanno facilitando un esodo migratorio ai nostri confini? È possibile indagare sull’origine delle armi e dei soldi in possesso di un gruppo terroristico? Chi sono gli investitori che partecipano al fondo speculativo che sta aggredendo i nostri campioni nazionali? Porsi domande, sempre.
Ricordarsi che, come già indicato poc’anzi, l’assassino tende a tornare sul luogo del delitto. Il che può significare la costruzione di trappole affinché colpisca di nuovo, come veicolare l’idea che un’infrastruttura strategica sia scoperta – per attirare i sabotatori.
Difendersi da una guerra ibrida non è semplice. Innanzitutto, di nuovo, dobbiamo distinguere tra guerra vera e propria e operazione. Una singola azione può essere fermata mentre è in corso, o addirittura sgominata in anticipo, ma il discorso cambia se si parla di contrastare una moltitudine di atti tra loro eterogenei.
Le società si proteggono combattendo le zone grigie. Le opinioni pubbliche si vaccinano con l’istruzione. Le istituzioni si possono schermare costruendo degli eserciti paralleli. Le economie si schermano con la giusta dose di interventi pubblici, protezionismo e monitoraggio di manovre sospette. Ai ricatti migratori si risponde con chiusura dei confini e ritorsioni – come sanzioni o altre operazioni ibride. Ad attacco cibernetico si risponde con attacco cibernetico. Insomma: prevenire per non curare, guerra ibrida per guerra ibrida.”.

Tra i vari strumenti utilizzati per portare avanti una guerra ibrida, sicuramente la più interessante, e se vogliamo preoccupante, è l’arma psicologica. In cosa consiste?
“Come la politica pervade ogni dimensione della nostra quotidianità, così la psicologia permea le guerre ibride. La parola d’ordine è una: terrorizzare. Perché una vittima in preda al terrore smette di ragionare in maniera lucida, si affida all’impulso, ed è molto più facile manipolarla e piegarla al proprio volere.
Disinformazione che confonde. Propaganda che indottrina. Camere d’eco che radicalizzano. False flag, omicidi e attentati che spaventano. Ricatti che mettono sotto pressione. Lo stratega si nutre dei sentimenti di paura e insicurezza che le operazioni ibride generano nello stato vittima e nei suoi abitanti. Sentimenti utili nella misura in cui sono farina per la produzione di altri beni: dalle crisi politico-istituzionali ai disordini urbani.
Le operazioni psicologiche esistono da sempre – si pensi a quanto sia antica l’arte della propaganda. Ma l’avvento di Internet e le scoperte in una serie di ambiti – dalle neuroscienze alle scienze sociali – hanno portato nuove tattiche e tecniche all’interno dell’armamentario degli strateghi, promananti dalla migliore conoscenza della mente umana, e facilitato enormemente il loro lavoro.
Oggi, contrariamente all’era pre-Internet, una bufala può fare il giro del mondo in un minuto. Oggi, grazie a troll ed eserciti digitali, una bugia può assumere la forma di verità agli occhi di milioni di persone. Oggi, rispetto al passato, operazioni psicologiche si possono condurre attraverso applicazioni mobili – come TikTok –, influencer, musica e videogiochi. Oggi, data l’onnipresenza e la più perniciosa carica destabilizzante delle operazioni psicologiche, si è davanti ad armi, dette cognitive, che sono in grado di riformattare il cervello delle vittime.”:

Nel libro definisce gli Stati Uniti come i “maestri delle guerre ibride”. Un primato poco invidiabile…
“Ho definito gli Stati Uniti in tal modo perché, oltre ad aver interiorizzato eccellentemente il modus operandi dell’Impero britannico – a suo tempo maestro nel divide et impera e nei tornei di ombre con le grandi potenze –, sono stati i (co)fondatori della guerra ibrida contemporanea. Invero, una radice delle guerre ibride odierne affonda nel 1953, in Iran, teatro della pionieristica operazione Ajax di CIA-MI6.
Gli Stati Uniti, provata sul campo la fattibilità di portare avanti efficacemente guerre non convenzionali da remoto, testarono nuovamente il “formato Ajax” in Guatemala, nel 1954, per avere una conferma definitiva della sua validità – che ottennero. Da allora, complice anche il concomitante scoppio della Guerra fredda, lo hanno ampliato, arricchito, approfondito. Un aggiornamento sul campo costante: dall’Asia all’America Latina.
Non si possono capire rivoluzioni colorate e primavere arabe prescindendo dalla conoscenza dell’operazione Ajax, il primordio di tutto. E nessuna potenza è mai riuscita, sino ad oggi, a portare avanti delle operazioni di destabilizzazione di efficacia pari o anche solo lontanamente simile a quelle degli Stati Uniti.
Uno dei motivi alla base della primazia statunitense nel campo delle guerre ibride è di natura strettamente egemonica: gli Stati Uniti sono la prima potenza economica del pianeta, il cuore del capitalismo finanziario globale, capifila di un blocco geopolitico (e geoeconomico) che spesso li segue nelle vesti di cobelligerante – l’Occidente – e possono vantare il possesso di un’arma chiamata dollaro.
Come spiegato nel manuale, attraverso una pluralità di esempi storici, le guerre ibride degli Stati Uniti non di rado assumono la forma di asfissianti e inaggirabili assedi economici e di violenti tutti-contro-uno. A meno che la vittima delle operazioni non abbia alleati validi e un sistema immunitario molto forte, il suo destino è già scritto. Lo dice la storia.”.

Nel suo libro ci sono tanti esempi di azioni di destabilizzazione che hanno portato a guerre civili e/o a colpi di Stato. Tra i casi analizzati quello del Cile di Allende viene indicato come il “caso da manuale”. Perché?
“Il Cile è un caso da manuale in quanto gli Stati Uniti, in soli tre anni, attraverso l’utilizzazione di un’ampia gamma di elementi, ne ridussero ad uno stato quasi precapitalistico l’economia – la più sviluppata del subcontinente – e ne fratturarono la società in opposti estremismi – nonostante una lunga tradizione di collaborazione interclasse e coesione –, portandolo sull’orlo di una guerra civile e creando le premesse per il colpo di stato dell’11 settembre 1973. Il Cile fu il teatro della prima guerra ibrida totale della storia recente. Una guerra più corposa di Iran ’53, più lunga di Guatemala ’54, influenzata dall’esperienza cubana – il potere del dollaro –, altamente destabilizzante – il ricorso frequente a false flag, omicidi, sabotaggi, scioperi e terrorismo – e di dimensioni internazionali – l’economia nazionale annichilita da un embargo informale partecipato da Primo mondo e America Latina. Non è azzardato sostenere che il Cile sia stato il luogo del perfezionamento del formato Ajax e, in quanto tale, vittima della prima guerra ibrida totale della storia.”.

Quando avvengono pesanti manifestazioni di piazza, non di rado i governanti colpiti denunciano tentativi di “ingerenze straniere” di destabilizzare i Paesi coinvolti. I casi sono innumerevoli, il più recente quello iraniano. Come è possibile distinguere manifestazioni pacifiche e spontanee da manifestazioni organizzate e coordinate dall’estero?
“Le dimostrazioni coordinate dall’estero si distinguono per la maggiore violenza, in quanto infiltrate da schiere di agenti provocatori, per la maggiore durata e intensità, date dalla presenza di flussi di denaro a garanzia di continuità e stabilità, per la maggiore qualità organizzativa e, non meno importante, per la maggiore copertura mediatica da parte della stampa globale. L’insieme di cui sopra è in grado di permettere una trasformazione quanti-qualitativa della rabbia, da protesta a insorgenza/sedizione/rivoluzione, e di legittimare le ingerenze straniere in una fase successiva, dalle sanzioni alle ammonizioni diplomatiche, fino agli interventi militari in difesa dei riottosi.”.

Nel suo libro indica tra gli autori di opere di destabilizzazione, non solo gli Stati sovrani ma anche le grandi multinazionali e le compagnie economiche private. Tra queste sicuramente la più famosa è la United Fruit Company…
“Operazioni ibride e guerre ibride possono essere condotte in simile maniera e con simili risultati da stati e da forze nonstatali, come organizzazioni nongovernative, gruppi terroristici e corporazioni multinazionali. Oggi, epoca dell’erosione del potere degli stati nazionali, stiamo assistendo ad un’energica crescita della rilevanza economica e dell’influenza politica dei grandi attori privati – case farmaceutiche, colossi energetici e minerari, fondi speculativi e via dicendo. Si parla di entità che hanno disposizione enormi quantità di denaro, non di rado superiori al Pil di interi paesi, utili e utilizzabili per corrompere istituzioni, inglobare (o distruggere) concorrenti, dirigere campagne propagandistiche di dimensioni globali, colonizzare interi apparati produttivi e muovere guerre. Una casa farmaceutica può disinformare per vendere un proprio prodotto di dubbia efficacia. Un colosso energetico, di concerto col proprio governo, può tagliare le forniture a uno stato cliente. Un gigante minerario può trarre vantaggio dalla creazione o dal prolungamento di conflitti per mezzo dei quali acquistare risorse a basso prezzo sul mercato nero. Un fondo speculativo può operare delle manovre ai danni di una o più grandi imprese, causandone lo scorporamento, ed un singolo speculatore, se bravo abbastanza, può mettere in crisi la stabilità di una valuta – chi si ricorda di Italia ’92?. Un operatore nel campo delle telecomunicazioni può adibire le tecnologie vendute ad un paese al servizio del proprio, trasformandole in apparecchi spionistici o “spegnendole” da remoto. Potremmo continuare all’infinito. Ho pensato fosse importante approfondire il caso della United Fruit Company perché è la prova pratica che anche le corporazioni fanno la guerra ibrida, a volte in combutta coi loro governi nazionali, e che dagli investimenti di taluni attori è sempre meglio diffidare. Che Guatemala ’54 possa essere un faro per i decisori nel momento del bisogno, aiutandoli a non ripetere gli errori di chi li ha preceduti.”.

A sua avviso recentemente l’Italia è stata mai al centro di tentativi di destabilizzazione?
“La Repubblica italiana nasce da una guerra civile che vedeva coinvolti elementi rispondenti a Unione Sovietica e Stati Uniti, ha come esperienza formativa gli anni di piombo – un’epoca di interferenze elettorali, violenze politiche, omicidi politici, “incidenti” e attentati imputabili a diverse regie –, entra nel momento unipolare subendo il più grande attacco speculativo della sua storia – Soros ’92 – e vivendo un cataclismico scandalo a orologeria – Tangentopoli –, ed è costretta a uscire dall’arena euro-mediterranea da un golpe finanziario di origine franco-tedesca – il bollente 2011. La lista delle operazioni ibride ai nostri danni è lunga. Più di recente, attività di matrice cognitiva, verosimilmente dirette da Russia e Cina, hanno avuto luogo durante la pandemia di COVID19 allo scopo di deteriorare la coesione sociale, alimentare l’esitazione vaccinale e radicalizzare specifici segmenti di popolazione.
L’Italia è un grande paese che, per una serie di ragioni, fa gola a diverse potenze europee e non europee. Non riusciamo a capitalizzare i possibili vantaggi delle attenzioni che ci vengono costantemente rivolte perché siamo privi di visione strategica e di difese, nonché di una forte coscienza nazionale, e questo ci rende vulnerabili. Agnelli tra i lupi. Ma non è un destino irreversibile.
In Italia occorre un dibattito sulle guerre ibride – ad oggi mancante. È necessario ripensare ex novo il nostro sistema economico – ad oggi decadente, fragile e facilmente colonizzabile e/o destabilizzabile. Va riscritto il sistema scolastico – che deve formare persone critiche, riflessive e scettiche. Urgono investimenti nella securizzazione fisica e cibernetica delle infrastrutture strategiche e critiche. E servono dei piani su base pluriennale per la formazione di esperti, dalle guerre cibernetiche alle operazioni cognitive, che un giorno saranno la nostra migliore difesa. Investire. Dobbiamo investire se vogliamo evitare che l’Italia involva in una metternichiana espressione geografica. Investire in moltissimi campi, tra i quali a difesa dalle bride.


Foto: copertina libro “L’arte della guerra ibrida” di Emanuel Pietrobon. Castelvecchi editore.