Ne impediatur legatio: analisi storica e geopolitica dei rapporti tra Italia ed Albania


L’Italia è storicamente (e non soltanto geograficamente) vicina all’Albania: una importante comunità albanese è stanziata nel nostro territorio sin dal secondo Dopoguerra, attestandosi come una delle comunità straniere più numerose: per tale ragione, analizziamo, questa volta, i rapporti diplomatici ed economici fra il nostro Paese e l’Albania.


La storia delle relazioni diplomatiche tra Italia ed Albania

I rapporti tra Italia e Albania sono andati intensificandosi dopo la cessazione del dominio italiano sui territori albanesi, con la conclusione del secondo conflitto mondiale.
L’occupazione italiana dell’Albania si ebbe già durante le fasi finali della Prima guerra mondiale, quando il Regno di Albania era un “protettorato italiano”. Concluso il conflitto, con il Trattato di Tirana del 1920 l’Italia riconobbe l’indipendenza albanese e si impegnò a rispettarla. In Era fascista la politica espansionistica italiana prese nuovamente vigore: nel 1925, l’elezione del Presidente della Repubblica albanese Ahmed Zog originò una condizione quanto mai favorevole per la penetrazione italiana nel territorio albanese, principalmente in funzione anti-jugoslava: nello stesso anno vennero stipulati degli accordi che, di fatto, assecondavano tutte le richieste italiane: «In un trattato segreto militare […] l’Albania metteva a disposizione dell’Italia il suo territorio nell’eventualità di una guerra con la Jugoslavia; […] concessioni di zone petrolifere, […] concessioni agricole in zone da definirsi, […] costituzione della Banca di emissione albanese con capitali italiani»[1]. Quando, poi, nel 1928 il Presidente Zog si proclamò monarca, nella comunità internazionale soltanto l’Italia riconobbe tale atto; dieci anni dopo, Mussolini propose al Re albanese un nuovo trattato: «[…] La risposta di Roma venne sotto forma di una bozza di trattato di alleanza che praticamente trasformava l’influenza italiana in Albania in qualche cosa di molto simile al mandato. Come se non bastasse – previ accordi con il Re – il capo di Stato maggiore delle forze armate albanesi sarebbe stato italiano e del pari in mani italiane sarebbero stati la gendarmeria e la polizia […] l’organizzazione fascista albanese […]»[2]: si trattava di condizioni che nemmeno la storica amicizia fra il sovrano albanese e il governo fascista poté rendere accettabili. Il rifiuto avrebbe portato ad una conseguenza inevitabile: una settimana dopo la conclusione della Guerra di Spagna, l’Italia occupò militarmente l’Albania. Liberata nel novembre 1944, l’Albania si trovò ad affrontare le problematiche della ricostruzione di un Paese in rovina e il riconoscimento del nuovo governo nella comunità internazionale come l’unico e legittimo: la distruzione di un terzo delle città e villaggi, la devastazione dei pochi stabilimenti industriali e della modesta infrastruttura stradale, portuale ed economica fu la pesante eredità della Seconda guerra mondiale per l’Albania. Nella ricostruzione, fase di lotte intestine tra gruppi armati organizzati, fu la fazione comunista ad imporsi al governo della nazione: primo obiettivo nella politica estera del governo provvisorio albanese fu il suo riconoscimento nell’arena internazionale. Se i sovietici riconobbero il nuovo governo nel 1945, le potenze occidentali posero come condizione per il riconoscimento “lo svolgimento di elezioni democratiche, libere e segrete nel paese, cosi come la libertà di stampa e la presenza di osservatori stranieri nelle elezioni medesime”. Il Trattato di Pace tra l’Italia e le Potenze alleate e associate fu, poi, adottato a Parigi il 10 febbraio 1947 e ratificato dall’Assemblea Nazionale albanese il 9 ottobre dello stesso anno: la questione dell’attuazione del trattato di pace, influì in maniera decisiva nelle relazioni italo-albanesi dopo il 1947, come “questione principalmente fonte di tensione e disaccordo, ma allo stesso tempo anche motivo ufficiale per lo stabilirsi delle relazioni diplomatiche tra i due paesi a rango di legazione”. L’Italia considerò il Trattato di Pace come un’atroce sentenza di condanna contro il popolo italiano e da subito si impegnò per la sua revisione, mentre il governo albanese pretendeva che le disposizioni del trattato fossero attuate integralmente. Ci vollero, alla fine, “quasi dieci anni di negoziati, scambi di note, lettere, contatti e incontri bilaterali, per arrivare alla regolamentazione delle questioni rimaste irrisolte tra l’Italia e l’Albania derivanti dal Trattato di Pace”. Soltanto con la caduta del comunismo in Albania, avviata nel 1990, furono ristabilite definitivamente e pienamente le relazioni tra il nostro Paese e l’Albania[3].

I rapporti diplomatici oggi

“Favorito anche dalla prossimità geografica, il rapporto tra l’Italia e l’Albania è da anni forte e intenso e poggia su solide fondamenta storiche, culturali ed economiche”[4]. In particolare, l’Italia riveste un ruolo centrale nel processo di integrazione europea dell’Albania e nel suo posizionamento euro-atlantico, segnato da tappe importanti come l’adesione alla Nato nel 2009, la liberalizzazione dei visti nel dicembre 2010 e la concessione dello status di Paese Candidato nel giugno 2014. “La relazione che lega il nostro Paese con l’Albania è da intendersi anche come forma di politica regionale che l’Italia porta avanti nei Balcani (…) L’Italia apprezza il contributo dell’Albania alla stabilità della regione e al rafforzamento della cooperazione regionale”[5]. Importante ambito di cooperazione è la lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, che ha portato allo sviluppo di forme di assistenza e partenariato “in materia giuridica, di polizia e militare, che i due governi stanno portando avanti, tra cui l’accordo di cooperazione giudiziaria in materia di estradizioni”[6]: i rapporti tra Italia e Albania afferiscono, insomma, ad un’ampia varietà di settori che si intrecciano con la cooperazione politica.

I rapporti economici

L’Italia è un partner fondamentale per lo sviluppo dell’economia albanese: l’export italiano nel Paese, nel periodo gennaio-ottobre 2021, si attestava intorno ai 1.298 milioni di euro, con una variazione del 28% rispetto al 2020[7]. L’export di articoli in pelle-abbigliamento escluso- è pari a 129,55 milioni di euro; a circa 122 milioni di euro ammonta l’export di prodotti tessili; a 119 milioni, quello di prodotti alimentari[8]. L’import dal Paese, invece, si attesta intorno ai mille milioni di euro nel periodo gennaio-ottobre 2021, prevalentemente costituito da articoli di abbigliamento, anche in pelle e pelliccia.

La comunità albanese in Italia

Nella seconda metà del secolo scorso massiccia fu l’immigrazione da parte di cittadini albanesi in Italia, che oggi costituiscono una delle comunità straniere più consistenti (l’11,5% dei cittadini non comunitari in Italia): nel 2020 erano circa 416mila i cittadini albanesi regolarmente soggiornanti nel nostro territorio, egualmente ripartiti tra uomini (51%) e donne (49%), stanziati prevalentemente in Lombardia (20,5%), Toscana (14,4%), Emilia-Romagna (13%). La comunità albanese è inserita in settori importanti dell’economia italiana, come quello industriale: si discorre di una vera e propria “specializzazione etnica” che ha portato, nel corso del tempo, la maggior parte dei membri della comunità a specializzarsi nel settore edile e nel campo dell’industria in senso stretto: il tasso di occupazione è pari al 56,2% rispetto al 60,1% rilevato sul complesso dei non comunitari, con una netta differenza, questa volta, fra i tassi di occupazione dei due sessi (72,4% sono gli impiegati di sesso maschile, 38,6% quelli di sesso femminile). “L’impiego in ambito industriale e la specializzazione professionale, per quanto abbiano esposto i lavoratori appartenenti alla comunità alle ripercussioni negative della crisi economica, hanno effetti positivi sul fronte reddituale. I dati evidenziano infatti come i lavoratori dipendenti della comunità percepiscano retribuzioni mensili mediamente superiori a quelle riservate ai lavoratori non comunitari di 150 euro: 1.341 euro a fronte di 1.191”. In riferimento al contributo della comunità albanese in Italia al Paese d’origine, l’Albania rappresenta la dodicesima destinazione delle rimesse partite dall’Italia nel 2019 con circa 137 milioni di euro, pari al 2,7% del totale delle rimesse in uscita (+0,2 milioni rispetto al 2018)[9].


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Note

[1] Alessandro Lessona, Memorie, Sansoni editore 1958, pag. 20-21
[2] Ufficio Storico Stato Maggiore dell’Esercito, Le truppe italiane in Albania (1914-1920 e 1939), pag. 251
[3] Per la ricostruzione storica, le citazioni, i riferimenti cronologici cfr. “L’Italia nella politica estera dell’Albania (1957-1985) in https://iris.uniroma1.it/retrieve/handle/11573/918535/324252/L%27Italia%20nella%20politica%20estera%20dell%27Albania%201957-1985%5B1%5D.pdf
[4]https://ambtirana.esteri.it/ambasciata_tirana/it/i_rapporti_bilaterali/cooperazione_politica
[5]https://ambtirana.esteri.it/ambasciata_tirana/it/i_rapporti_bilaterali/cooperazione_politica
[6] https://ambtirana.esteri.it/ambasciata_tirana/it/i_rapporti_bilaterali/cooperazione_politica
[7] https://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=57
[8] https://www.infomercatiesteri.it/scambi_commerciali.php?id_paesi=57 (i parametri sono riferiti al 2020)
[9] Dati e citazioni ripresi da https: //www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/studi-e-statistiche/Documents/Rapporti%20annuali%20sulle%20comunit%C3%A0%20migranti%20in%20Italia%20-%20anno%202020/Albania-sintesi-2020.pdf


Foto copertina: Quirinale 11/09/2017 Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il Presidente della Repubblica di Albania, Ilir Meta in Visita ufficiale. (Foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)