Il rapporto tra Cina e Taiwan


Panoramica storica e prospettive legali sulla questione di Taiwan.


La Repubblica di Cina è rimasta un membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite fino al 1971, quando l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato la Risoluzione 2758, che assegnato il seggio alla Repubblica Popolare Cinese.
Un anno dopo, nel 1972, il cambiamento di approccio degli Stati Uniti alla questione sino-taiwanese raggiunse il culmine con lo sviluppo della politica “Una Cina” di Richard Nixon e Henry Kissinger, che essenzialmente riconosceva che i « cinesi su entrambi i lati della lo Stretto di Taiwan fanno parte di un’unica Cina, che include Taiwan ». Da questa dichiarazione, nota come Shanghai Joint Communiqué, era evidente che Nixon era disposto a evitare di ferire esplicitamente Taipei pur riconoscendo che la Cina non aveva due governi de jure.[1]
Poiché la maggior parte dei governi ha seguito la decisione degli Stati Uniti, Taiwan è l’esempio più noto di Stato o entità sui generis non riconosciuta. La Repubblica Cinese di Taiwan ha mantenuto relazioni diplomatiche con sole 14 nazioni in tutto il mondo, la maggior parte delle quali si trova in Africa e America Latina. Il mancato riconoscimento, che è alla base delle contestazioni legali sulla questione di Taiwan, complica ulteriormente le relazioni con la comunità internazionale.[2] Taipei ha sempre rifiutato categoricamente la dottrina “Un Paese, due sistemi”, optando piuttosto per un sistema di doppia rappresentanza nei forum internazionali e diplomatici: più di “un Paese, due sistemi”[3], l’interpretazione di Taiwan può essere riassunta nel concetto “due paesi e due sistemi” che, del resto, non fa altro che rappresentare la situazione di fatto della complessa questione sino-taiwanese, al di là delle aspirazioni della Cina comunista e anche delle stesse ambizioni di Taipei di riconquistare la sua madrepatria che, negli ultimi trent’anni, è stata di fatto abbandonata dalla piccola democrazia insulare che, ora, adotta verso il problema un approccio più realistico e pragmatico.

“Una Cina”: interpretazioni in materia di diritto internazionale e convenzioni

Come abbiamo visto, la perdita del riconoscimento diplomatico internazionale che Taiwan ha subito all’indomani della risoluzione 2758 delle Nazioni Unite non è stata sufficiente per risolvere la questione. Inoltre, i Comunicati Congiunti hanno sottolineato che la Repubblica Popolare Cinese è ora il solo governo legale della Cina, ma hanno lasciato aperta la questione se Taiwan faccia parte della “Cina” che la RPC afferma di rappresentare. La questione di Taiwan è, infatti, e legalmente e indissolubilmente legata alla cosiddetta politica dell’Unica Cina. Ci sono tre interpretazioni di base di questa controversa politica che è opportuno considerare.
Dal punto di vista di Pechino, la Repubblica Popolare Cinese è succeduta alla Repubblica di Cina come unico governo cinese, degradando Taiwan allo status di provincia ribelle occupata da forze che, sconfitte nella guerra civile, sono illegali.
In ogni caso, è facile vedere come questa interpretazione sia fortemente parziale e non corrisponda ai dati del Diritto Internazionale.

La Repubblica di Cina è stata fondata nel 1912 e, da allora, non ha mai cessato di esistere come Stato, né dopo l’occupazione giapponese né dopo la vittoria di Mao nella guerra civile: infatti, essa risponde a tutti gli effetti ai criteri stabiliti dalla Convenzione di Montevideo sui diritti e doveri degli Stati in merito all’effettiva capacità del governo di detenere la sovranità su una popolazione e un territorio definiti, con proprie strutture amministrative e con una propria capacità di partecipare alle relazioni internazionali come soggetto di diritto internazionale, e questo anche dopo il ritiro del riconoscimento di altri attori internazionali. La stessa politica dell’Unica Cina costituisce infatti un ricatto da parte di Pechino nei confronti di qualsiasi Paese che intenda intraprendere relazioni formali con la Repubblica Popolare Cinese, rappresentando così un deterrente contro il riconoscimento di Taiwan, ma che certamente non implica, anzi, la scomparsa della soggettività internazionale della Repubblica di Cina. Inoltre, sebbene gli Stati che compongono la comunità internazionale abbiano accettato il principio dell’Unica Cina, sono quasi unanimi nell’opporsi alle ambizioni territoriali di Pechino su Taiwan. Ecco perché, ad esempio, nei comunicati congiunti, ci si limita a “riconoscere”, “prendere atto di”, “capire e rispettare” la posizione cinese su Taiwan, senza in realtà sostenerla esplicitamente.[4]
Una seconda teoria afferma che lo status giuridico di Taiwan deve ancora essere determinato. Infatti, in occasione del Trattato di San Francisco (1951) e del successivo Trattato di Taipei (1952)[5], il Giappone si è limitato a rinnegare la propria sovranità su Taiwan, senza stabilire esplicitamente a quale entità statale questa sarebbe stata trasferita. Inoltre, poiché la Repubblica di Cina non ha mai ottenuto la sovranità su Taiwan a seguito di questi trattati, la Repubblica Popolare Cinese non ha potuto “ereditare” il titolo dalla Repubblica di Cina. Sebbene questa teoria sia plausibile, contiene più di una lacuna logica. In primo luogo, il significato dei trattati può essere determinato dal principale punto di riferimento in materia che è la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, secondo la quale quando i termini dei trattati sono vaghi, l’interpretazione degli stessi può essere fatto ricorrendo all’ausilio di mezzi aggiuntivi quali “lavori preparatori” e “circostanze della loro conclusione”. Quando il Giappone ha firmato i due trattati, il governo della Repubblica di Cina aveva esercitato giurisdizione effettiva su Taiwan.[6]
La teoria dello stato diviso è la terza e anche la più sensata ipotesi per classificare lo stato di Taiwan e i rapporti nello Stretto. La Cina è attualmente divisa in due parti: la Repubblica popolare cinese e la Repubblica popolare cinese. Dal 1949, la Repubblica popolare cinese (RPC), sulla terraferma, e la Repubblica cinese (ROC), su Taiwan, coesistono sotto il “tetto de jure della Cina”. Entrambi i governi condividevano la sovranità sull'”antica Cina”, ma nessuno dei due aveva giurisdizione sull’altro. Entrambe le parti hanno operato come stati autonomi con personalità giuridiche internazionali uniche negli ultimi 60 anni. Gli statuti della Repubblica di Cina e della Repubblica Popolare Cinese alla fine hanno superato gli ostacoli legali al principio dell’Unica Cina, ottenendo un implicito riconoscimento di stato diviso, supportato anche dalle pratiche degli altri stati.[7]

Considerazioni finali

La questione della riunificazione non sarà risolta nel prossimo futuro. Mentre i taiwanesi chiedono il mantenimento dello lo status quo e abbiano da tempo abbandonato qualsiasi pretesa sulla terraferma, una Cina sempre più nazionalista insiste su un programma di riunificazione.
La guerra è inevitabile? Gli Stati Uniti agiranno da pacificatori o saranno coinvolti in un conflitto violento?[8]
È lecito mettere in discussione il ruolo degli Stati Uniti: nonostante lo sviluppo della politica “One China”, praticamente tutte le amministrazioni presidenziali succedute a Nixon hanno mantenuto un approccio basato sulle linee dell’ambiguità. La Repubblica Popolare Cinese è una realtà, sia dal punto di vista economico che geopolitico, troppo grande per essere affrontata in aperto conflitto. Nonostante ciò, è chiaro che è nell’interesse degli Stati Uniti e dell’Occidente preservare l’indipendenza di fatto della piccola democrazia insulare di Taiwan, che gode di immensa importanza strategica: per fare un esempio, Taipei è la sede di TMSC, la più grande azienda mondiale di semiconduttori che, da sola, soddisfa la maggior parte fabbisogno planetario di questi prodotti.
Se l’economia è la chiave della politica globale, allora, nonostante gli sconvolgimenti politici, il futuro delle relazioni Cina-Taiwan rimane luminoso. Dall’instaurazione di rapporti commerciali tra i due paesi nel 1979, il commercio indiretto attraverso lo Stretto di Taiwan è cresciuto fino a rappresentare una quota considerevole del commercio totale sia per la Cina che per Taiwan; Nel 1997, il commercio indiretto attraverso Hong Kong è aumentato da 1,5 miliardi di dollari nel 1987 a oltre 11 miliardi di dollari. Il quarto partner commerciale di Taiwan è attualmente la Cina continentale. L’investimento di Taiwan sulla terraferma ha superato gli 11 miliardi di dollari tra il 1979 e il 1995, rendendo Taiwan il secondo investitore della terraferma dopo Hong Kong. Taiwan ha anche goduto di un considerevole surplus commerciale ogni anno dal 1980.[9]
La situazione, quindi, sembra ancora lontana dal poter essere determinata con certezza; l’apparente precario equilibrio, infatti, costituisce una garanzia di indipendenza per uno Stato come Taiwan che, da solo, non potrebbe competere militarmente con il potere della Cina comunista. D’altra parte, la Repubblica popolare cinese, almeno fino alla fine della presidenza di Hu Jintao, ha mantenuto un approccio abbastanza cauto, consapevole che qualsiasi azione energica su Taiwan la renderebbe ufficialmente una minaccia attiva agli occhi del blocco occidentale. Non si può fare a meno di osservare, però, come alla presidenza di Xi Jinping corrisponda una rinnovata aggressività cinese nei confronti di Taiwan, almeno nei proclami e nella retorica. La questione sino-taiwanese continua a costituire uno dei punti focali più importanti, se non il più importante, nel mantenimento degli equilibri internazionali. Noi contemporanei avremo l’opportunità di osservare e, di conseguenza, il dovere di raccontare e riferire gli eventuali sviluppi di uno dei conflitti civili più duraturi di sempre.


Potrebbe interessarti:


Note

[1]Davison Rémy “The Chinese Century?”, in Connors K. Michael, Dosh Jörn (a cura di), “The New Global Politics of the Asia-Pacific”, London, Routledge Taylor & Francis Group, 2018, p. 51
[2]Cit “The Taiwan Question and the One-China Policy: Legal Challenges with Renewed Momentum” p. 62
[3]“Un paese, due sistemi” è un principio costituzionale della Repubblica Popolare Cinese adottato per definire l’assetto amministrativo di Hong Kong e Macao una volta divenute regioni ad amministrazione speciale della Cina rispettivamente nel 1997 e nel 1999. Stabiliva che ci sarebbe stata una sola Cina, ma che alcune regioni sarebbero state autorizzate a preservare i propri sistemi economici e amministrativi, mentre il resto della Cina continentale avrebbe operato in un sistema di socialismo con caratteristiche cinesi.
[4]Cit “The Taiwan Question and the One-China Policy: Legal Challenges with Renewed Momentum”, pp. 63-64
[5] il Trattato di San Francisco ha ristabilito relazioni pacifiche tra il Giappone e le potenze alleate all’indomani della Seconda Guerra Mondiale. Il Trattato di Taipei è stato firmato tra il Giappone e la Repubblica di Cina (ROC) il 28 aprile 1952 a Taipei ed è entrato in vigore il 5 agosto 1952, ponendo così fine alla seconda guerra sino-giapponese (1937–45).
[6]Cit “The Taiwan Question and the One-China Policy: Legal Challenges with Renewed Momentum” pp. 64-65
[7]Cit “The Taiwan Question and the One-China Policy: Legal Challenges with Renewed Momentum”, p. 65-66
[8]Cit“Relazioni tra la Cina continentale e Taiwan: panoramica e cronologia”, P. 64
[9]ibidem


Foto copertina: Immagine da Foreign Affairs di Dan Bejar