A partire dal 2014, la Polonia (così come i paesi del Baltico) otteneva una maggiore visibilità e crescente considerazione in ambito NATO, dal momento che la questione ucraina, con l’annessione della penisola di Crimea alla Russia, aveva reso evidente a tutte le cancellerie occidentali, in particolare USA e UK, che il tempo del “soft power” era giunto al termine. L’intervento russo nella penisola del Mar Nero aveva mostrato al mondo che la Federazione Russa, sotto la guida di Putin, tornava ad affacciarsi minacciosa sull’Europa Orientale. Ripercorriamo alcune delle tappe che hanno plasmato la postura antirussa del versante orientale della Alleanza.
Dopo circa un ventennio di cooperazione NATO-Russia nel campo della sicurezza collettiva, sancito con l’entrata di Mosca nel North Atlantic Cooperation Council (1991)[1], l’espansionismo alleato nel “giardino di casa” russo, ha raccolto le reazioni del Cremlino, preoccupato che la presenza di militari NATO ai confini russi, e soprattutto l’adesione di paesi come Ucraina e Georgia all’alleanza occidentale, potessero rappresentare una minaccia vitale alla sicurezza nazionale.
Mosca era decisa a bloccare, anche con la forza, l’iniziativa occidentale di allargamento a Est, e valutava il ricongiungimento della Crimea e lo sconfinamento nella regione del Donbass. Ciò rappresentava la spia che era in atto uno stravolgimento dei rapporti diplomatici degli anni ’90 e sanciva un nuovo corso della politica estera russa, accantonando definitivamente il periodo di cooperazione in tema di sicurezza nell’ambito del NATO-Russia Council (NRC).[2]
Da quel momento, l’Alleanza Atlantica, che fino ad allora si ergeva compatta al contrasto del terrorismo islamico e al contenimento della minaccia talebana in Afghanistan, si ritrovava a dover fare i conti con una nuova e seria minaccia alla sicurezza europea, una minaccia ritenuta definitivamente superata, spaccandosi al suo interno su due direttive.
Sud vs Est
La prima direttiva è quella della Southern Flank Security, seguita e sostenuta da quei paesi che ritenevano esagerata e sostanzialmente improbabile il ritorno di una minaccia russa in pieno stile Guerra Fredda. Tra questi soprattutto Italia, Francia e Germania, i quali sostenevano l’ipotesi di una risoluzione diplomatica della questione ucraina. Una risoluzione diplomatica che avrebbe permesso di mantenere un canale aperto con Mosca, al fine di evitare una pericolosa e insperata escalation militare nel continente.
L’altra direttrice è quella della già citata Eastern Flank Security, sostenuta animosamente da tutti i paesi dell’Europa Orientale, Polonia in primis, i quali temono un ritorno dell’imperialismo russo nella regione, chiedendo a gran voce maggior presenza militare NATO e USA per scongiurare un destino simile a quello ucraino.
La Polonia, più di tutti ha raccolto il sentimento di “russofobia” che accomuna tutti i paesi dell’Est, spingendo, all’interno dei consessi europei, verso una maggior considerazione di una concreta minaccia russa, che dal punto di vista di Varsavia rappresentava una minaccia ben più preoccupante e concreta di quella rappresentata dal terrorismo, per ovvie ragioni. L’attività polacca aveva radunato intorno a sé il supporto degli alleati sul fronte orientale.[3] L’operosità della diplomazia polacca, in particolare del governo a trazione sovranista del PiS, ha avuto l’occasione di portare la Polonia al centro della strategia Atlantica in Europa, attraverso una intensa campagna antirussa e un massiccio investimento in armamenti, soprattutto acquistati dall’alleato americano. Occasione raccolta con successo, evidentemente.
A partire dal 2014 infatti, gli Stati Uniti e gli alleati hanno aumentato la presenza militare in Europa orientale, portando avanti una serie crescente, e sempre più frequente, di esercitazioni militari[4].
La Polonia e gli alleati del Baltico, in particolare la Lituania, chiedevano a gran voce una maggior presenza statunitense e NATO in Europa orientale, in chiave difensiva contro Mosca. Già con l’amministrazione Obama, infatti, si decise di aumentare la presenza di militari dell’Alleanza Atlantica soprattutto in Polonia, attraverso un meccanismo di rotazione in osservanza degli accordi del NATO-Russia Founding Act del 1997, che di fatto vietava il dispiegamento permanente di forze armate statunitensi in Europa orientale.
In risposta alla annessione russa della Crimea, ed all’abbattimento di un aereo di linea della Malaysia Airlines nel luglio 2014[5] , Stati Uniti ed Unione Europea, condannavano l’intervento russo, denunciando l’illegalità di tale annessione, imponendo sanzioni economiche alla Russia. La NATO, durante il summit del settembre 2014 in Galles, ribadiva che la politica aggressiva di Mosca in Ucraina, costituisse una minaccia alla pace e alla sicurezza in Europa senza precedenti dalla fine della Guerra Fredda, ribadendo che la cooperazione NATO-Russia era sospesa. Per la prima volta, dal collasso dell’URSS si stava tornando ad un concetto di alleanza volta alla deterrenza della minaccia russa e alla difesa dei confini, perseguendo una strategia di rafforzamento della Eastern flank security.
Ovviamente Stati Uniti e i paesi dell’Europa orientale, principalmente la Polonia, accolsero con favore ed appoggiarono questa nuova linea strategica prospettata dalla NATO.
Per i paesi dell’Est Europa, la potenza militare degli USA e la sicurezza fornita dall’Alleanza Atlantica, rappresentava (e rappresenta) lo strumento principale per assicurare la difesa dalla nuova minaccia russa. Una minaccia che risvegliava i timori, mai sopiti, di un ritorno al sistema Sovietico. Dall’altra parte dell’Atlantico, anche a Washington, la priorità per la sicurezza nazionale individuata durante il secondo mandato Obama coincideva con la crisi ucraina e la necessità di rafforzare il fianco orientale europeo, con chiaro intento di contenere l’aggressiva espansione russa.[6]
Si può dire che l’ancestrale finalità della stessa Alleanza Atlantica, sugellata dall’articolo V del Trattato Nord-Atlantico, che si concretizzava nella difesa dello scacchiere europeo durante la fase più acuta della Guerra Fredda, formulando il principio di assistenza e risposta congiunta in caso di aggressione sovietica, stava per essere rispolverato e reclamato a gran voce da leader europei, che lo invocavano come evidente strumento di deterrenza.
Il ritorno alla deterrenza
La postura di deterrenza della coalizione atlantica si è mostrata necessaria al fine di garantire la pace e la libertà dell’Europa occidentale.
La caduta del Regime Sovietico e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, con la graduale assimilazione delle repubbliche ex-comuniste nel tessuto economico e politico di stampo occidentale, l’ingresso di queste nella NATO e nella UE, ha comportato una necessaria evoluzione della strategia atlantica. Una NATO che ha dovuto ripensarsi e riorganizzarsi, per darsi uno scopo.
L’apparente svolta filoccidentale di Mosca negli anni ’90 e inizio duemila ha posto l’Alleanza atlantica dinanzi alla necessità di reinventarsi, di rivedere la propria missione. Questo senza dimenticare che proprio in quegli anni si affacciava una nuova minaccia da fronteggiare. La postura difensiva e la deterrenza sovietica lasciava spazio ad una strategia di operatività oltre i confini europei, nel Medio Oriente, dove la coalizione ha affrontato una lunga e sanguinosa guerra asimmetrica con il terrorismo di matrice islamica, con il regime iracheno e l’instabilità dell’Afghanistan. Mettendo da parte, le valutazioni di carattere morale ed etico che quella politica porta con sé.
Il contenimento del terrorismo, la cyber-security e la sicurezza energetica apparivano di prioritaria se non di vitale importanza, nella agenda politica della NATO e dei suoi principali esponenti, primi fra tutti gli USA, i quali hanno investito uomini e risorse nella lunga permanenza in Medio Oriente.
La stessa Polonia si è dimostrata attivamente partecipe nella guerra al terrore di Al-Qaeda, già nel 2003, partecipando insieme agli Stati Uniti all’invasione in Iraq, dove per la prima volta dalla caduta del muro, l’esercito polacco fu impegnato in una missione NATO.
L’attività polacca fu sostenuta dal gruppo d’elite delle forze armate, il GROM, un reparto speciale che, proprio nel conflitto contro il regime di Saddam Hussein, si distinse per professionalità e ottenne il riconoscimento da parte degli alleati Americani.[7]
In questo contesto, dunque, la strategia NATO propendeva per una maggiore presenza ed attenzione al fronte Sud, alla regione del Mediterraneo, per affrontare le dinamiche che minavano la stabilità del continente europeo, che comprendevano, oltre al terrorismo internazionale, anche l’esplosione della crisi migratoria, e l’acuirsi della crisi siriana. Nel 2014 gli alleati si preparavano a lasciare il Medio Oriente, dopo circa un decennio di presenza alleata nella regione, ricordando le missioni ISAF e Resolute Support, con l’amministrazione Obama che spingeva per un graduale ritiro delle truppe dallo scenario meridionale ed una maggior presenza US in Europa, proprio in chiave antirussa.[8]
Nel corso del Summit in Galles[9], si riaccese il dibattito sulla necessità di rivedere le priorità dell’Alleanza, durante il quale riemersero le preoccupazioni dei paesi dell’Est, a causa della questione ucraina, per una rinnovata assertività russa al confine orientale.
In quel momento si avviò il processo di polarizzazione delle correnti interne alla NATO.
Da una parte, Italia, Francia e Germania, premevano per una maggiore attività alleata nel Mediterraneo, per fronteggiare la questione migratoria e siriana, chiedendo un effettivo impegno militare in Siria.
D’altro avviso erano Polonia, Lituania e gli altri paesi del Baltico, i quali risposero all’invasione della Crimea con una maggiore pressione sugli Stati Uniti al fine di riconsiderare la minaccia russa come prioritaria a qualsiasi altra questione, a scapito delle posizioni dei paesi del fronte meridionale.[10]
Ignorando il malcontento dilagante tra gli alleati del versante Sud, alimentata anche dalla scarsa fiducia riposta verso Berlino e Roma, mostratesi fin troppo indulgenti con Mosca sulla questione delle sanzioni, l’amministrazione americana decise che l’attenzione della NATO dovesse focalizzarsi su una “Nuova Europa”, come affermato dall’ex Segretario alla Difesa americano Donald Rumsfeld, il quale ribadiva che il nuovo corso della Strategia di Sicurezza Nazionale USA, a partire dal secondo mandato Obama nel 2015, considerasse di importanza strategica una maggior attenzione alla Eastern Flank.[11]
L’esperienza politica polacca ha mostrato che alcuni partiti, come il PiS, hanno enfatizzato e attinto abbondantemente dalla tipica retorica della Guerra Fredda.
In alcuni dei membri orientali della NATO, ed in particolare in Polonia, l’esasperazione della retorica politica, da parte dell’élite, che spingeva sulle paure ravvivate dalla propensione russa all’uso della forza, era, ed è ancora, praticata tatticamente per fini di politica interna. Il Partito Conservatore PiS, in particolare, ha giocato molto, com’era prevedibile, sulla minaccia della Russia alla sicurezza della regione, facendone uno dei principali temi della sua campagna elettorale, soprattutto se si considera la naturale avversità alla politica di appeasement adottata dalla Unione Europea.[12]
In un certo senso, a dimostrazione della maggior attenzione rivolta alla definizione di una più incisiva strategia orientale, vi è la decisione di tenere il Summit del 2016 proprio a Varsavia, definita dal Segretario Generale Jens Stoltenberg, come un segno di svolta della NATO.[13] A ciò si aggiunse una imponente esercitazione militare che vide la partecipazione 31.000 soldati e migliaia di mezzi provenienti da 24 paesi, compresi Ucraina e Georgia. L’operazione “Anakonda”, sotto guida della Polonia, fu la più grande manovra militare dai tempi della Seconda Guerra Mondiale in territorio polacco.
Ciò che emerse dal Summit di Varsavia fu esattamente ciò gli attori della cosiddetta Nuova Europa auspicavano. Questi chiedevano a gran voce una presenza più consistente dell’Alleanza atlantica e degli Stati Uniti in chiave difensiva, al fine di contenere l’aggressiva politica estera di Mosca.
La NATO, per rassicurare gli alleati dell’Est Europa, ha deciso di incrementare il personale militare lungo il confine russo. Difatti, in uno degli ultimi atti della sua amministrazione, Barack Obama decretò l’invio di 3.500 soldati nell’ambito dell’operazione Atlantic Resolve, da dislocare principalmente in Polonia.[14]
Un bilanciamento impossibile
Nonostante ciò, a Bruxelles si cercava di mantenere un certo equilibrio tra le due strategie. Da un lato, per evitare che il disimpegno sul versante meridionale potesse accentuare la già evidente instabilità dell’area MENA. Dall’altro, ci si interrogava sul fatto che una eccessiva pressione sul confine orientale potesse aggravare ulteriormente il già difficile dialogo con Mosca.[15]
L’attenzione rivolta alle questioni che attengono al teatro Mediterraneo (terrorismo, migrazioni clandestine e traffici illegali) soprattutto dopo gli attentati di Parigi (2015) e Bruxelles (2016) hanno convinto comunque l’Europa e NATO a non abbandonare la cooperazione sul versante Sud, soprattutto con partner dell’Alleanza.
Negli ultimi anni la NATO ha avviato una serie di partenariati con numerosi paesi terzi della sponda africana e mediorientale: dal Mediterranean Dialogue istituito nel 1994 che riunisce Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Marocco, Mauritania e Tunisia, all’Istanbul Co-operation Initiative del 2004, alla quale partecipano Qatar, Bahrein, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti. Con queste iniziative l’Alleanza si propone di rendere la cooperazione più inclusiva e dotata di indirizzo strategico. A dimostrazione di ciò, la NATO ha consentito a Israele, Bahrain, Qatar, Oman e Giordania di aprire un proprio ufficio di rappresentanza permanente a Bruxelles.
Tuttavia, la realtà dei fatti dimostra che il Summit di Varsavia ha giocato un ruolo di spartiacque tra la Vecchia e Nuova Europa, tra la Southern ed Eastern Strategy, e che ha incontrato l’entusiasmo dei conservatori polacchi, i quali hanno continuato a creare le condizioni per accrescere il peso specifico della Polonia nella definizione degli obiettivi NATO nell’immediato futuro. Infatti, su pressione di Varsavia, la NATO approvò il dispiegamento su base rotativa di quattro battaglioni multinazionali in Lettonia, Lituania, Estonia e Polonia.
Come se non bastasse, l’elezione di Trump ha dato una ulteriore spinta verso una posizione di deterrenza sul fianco orientale, che ha comportato maggiore confusione tra gli alleati europei all’interno della stessa coalizione.
L’esordio del Presidente americano alla assemblea NATO, all’HQ di Bruxelles nel 2018, è stato caratterizzato dalla stoccata di Trump alla essenza stessa della Alleanza, definendola “obsoleta”, e attaccando principalmente gli alleati europei, come la Germania, che si erano mostrati meno attenti sulla questione della spesa per la difesa euro-atlantica. L’allora amministrazione statunitense oscillava tra il ridimensionamento della minaccia costituita dall’influenza russa nell’Europa centro-orientale e le accuse alla Germania, ed alla Cancelliera Angela Merkel, di essere succube di Mosca a causa della sua dipendenza energetica.
Se il nuovo clima da “Guerra Fredda” piaceva a baltici e polacchi, con l’appoggio degli anglo-americani, valutazioni ben diverse emergevano dai Paesi dell’Europa Occidentale, in particolare da Germania e Italia. Secondo la visione italo-tedesca, un’intensificazione della presenza militare NATO ai confini orientali non avrebbe potuto rappresentare lo strumento più appropriato per creare una atmosfera di pragmatica mediazione, che presupponeva il recupero di una più equilibrata cooperazione con Mosca.[16]
Dal canto suo la Polonia, forte della credibilità e affidabilità dimostrata con le spese militari e la visione sovranista condivisa con Trump, si dimostrava pronta ad accogliere una maggior presenza NATO (o USA) sul proprio territorio, anche finanziando le spese per il mantenimento dei contingenti militari, respingendo il rispetto degli accordi NATO-Russia
Secondo il Governo polacco, infatti, l’aggressione russa in Crimea e Donbass certificava la violazione degli accordi che limitavano la presenza di militari lungo i confini orientali, ragion per cui la NATO avrebbe avuto il diritto di rispondere alle violazioni russe con la mobilitazione di militari nei paesi di confine.[17]
A ciò si aggiunse il dispiegamento di basi missilistiche in Polonia e Romania. Dispiegamento che Mosca avrebbe considerato, poi, come atto di minaccia concreta alla sua sicurezza, dislocando una batteria missilistica nella vicina Kaliningrad, come misura di ritorsione, con l’istallazione dei famigerati Iskander, il sistema di missili balistici mobili SS-26 Stone, con una portata di 500 km e a configurazione nucleare.[18]
Secondo alcuni osservatori, che all’epoca richiamavano l’attenzione su tali questioni, avvenute nella quasi totale indifferenza soprattutto dei media italiani, questa corsa agli armamenti sul fianco orientale avrebbe rischiato di guidare l’Alleanza verso un nuovo scontro con la Russia (cosa che potrebbe suonare scontata oggi, sebbene allora non vi fossero chiari segnali in tal senso). [19] Un elemento che avrebbe potuto far temere per la sicurezza europea, si poteva percepire dalle parole pronunciate dal portavoce del Cremlino, Dmitrj Peskov, il quale annunciò che con l’abbandono dell’INF da parte di Washington, il mondo sarebbe potuto diventare “più pericoloso”.[20]
Varsavia, dunque, all’indomani dello scoppio del conflitto in Ucraina, si confermava quale perno del fronte orientale nello scacchiere strategico della NATO, comportando un sostanziale disimpegno dallo scenario mediterraneo. Inoltre, l’attività diplomatica polacca si è mossa, nel corso degli anni, autonomamente e su piani paralleli alla NATO e all’UE, nel tentativo di compattare il fronte orientale, per ovviare alla miopia dei partner dell’Europa occidentale, dando vita ad una sorta di alleanza nell’Alleanza.
Una attività costante e lineare che si è rivelata attraverso la promozione di iniziative di cooperazione militare e politica su base regionale, come Bucharest Nine (B9) e Three Seas Initiative (3SI) e Triangolo di Lublino, che mirano ad una maggiore integrazione dei paesi della Eastern Flank nella strategia atlantica. La volontà di Varsavia di creare un fronte unito di quei paesi dell’Est che, in vista di una tutt’altro che improbabile espansione russa, sono determinati a dimostrare a Mosca che un ritorno al passato, da quelle parti, non è un’opzione accettabile.
Note
[1] Questo è forum multilaterale per la cooperazione con paesi non NATO in materia di sicurezza. Nel 2002 viene istituito il NATO-Russia Council (NRC). Fonte NATO: https://www.nato.int
[2] Relations with Russia, NATO. https://www.nato.int/cps/en/natolive/topics_50090.htm
[3] Martina Napolitano, 31 ottobre 2018, Lo spettro ossessivo del passato, EastWest. https://eastwest.eu/it/lo-spettro-ossessivo-del-passato/
[4] Pubblicazione, 02 marzo 2017, La Nato che cambia: 7 punti critici, ISPI. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-nato-che-cambia-7-punti-critici-17107
[5] Fonte NATO: nel Maggio 2018, in seguito alle analisi di un Joint Investigation Team, si attribuisce la responsabilità dell’abbattimento ad un missile anti-aereo lanciato da unità militari russe. https://www.nato.int/cps/en/natolive/topics_50090.htm
[6] Davide Borsani, 19 ottobre 2016, NATO’s Quest for Strategic Identity on Eastern and Southern Flanks, ISPI.https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/natos-quest-strategic-identity-eastern-and-southern-flanks-15873
[7] Bernd Musch-Borowska, 28.03.2003, Polish Troops Fighting in Iraq in Legal Limbo, Deutsche Welle. https://www.dw.com/en/polish-troops-fighting-in-iraq-in-legal-limbo/a-819448
[8] Davide Borsani, 19 ottobre 2016, NATO’s Quest for Strategic Identity on Eastern and Southern Flanks, ISPI. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/natos-quest-strategic-identity-eastern-and-southern-flanks-15873
[9] Julian Lindley-French, 19 February 2018, Adapting NATO to an unpredictable and fast-changing world, NATO. https://www.nato.int
[10] Davide Borsani, 19 ottobre 2016, NATO’s Quest for Strategic Identity on Eastern and Southern Flanks, ISPI. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/natos-quest-strategic-identity-eastern-and-southern-flanks-15873
[11] Ibidem.
[12] Cit. Serena Giusti, 07 luglio 2016, Cooperazione e competizione: la doppia vita di Varsavia, ISPI.https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cooperazione-e-competizione-la-doppia-vita-di-varsavia-15402
[13] Redazione, 8 luglio 2016, Le sfide del Summit NATO di Varsavia, Analisi Difesa.https://www.analisidifesa.it/2016/07/le-sfide-del-summit-nato-di-varsavia/
[14] Cit. Pubblicazione, 02 marzo 2017, La Nato che cambia: 7 punti critici, ISPI.https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/la-nato-che-cambia-7-punti-critici-17107
[15] Redazione, 8 luglio 2016, Le sfide del Summit NATO di Varsavia, Analisi Difesa.https://www.analisidifesa.it/2016/07/le-sfide-del-summit-nato-di-varsavia/
[16] Cit. Serena Giusti, 07 luglio 2016, Cooperazione e competizione: la doppia vita di Varsavia, ISPI.https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/cooperazione-e-competizione-la-doppia-vita-di-varsavia-15402
[17] Zhanna Nemtsova, 10.10.2018, ‘Russia is the only conceivable threat to Poland’, Deutsche Welle. https://www.dw.com/en/russia-is-the-only-conceivable-threat-to-poland/a-45826423
[18] https://www.reuters.com/article/us-russia-nato-missiles-idUSKBN1FP21Y
[19] Cit. Il ministro degli Esteri tedesco, Frank-Walter Steinmeier. Redazione, 8 luglio 2016, Le sfide del Summit NATO di Varsavia, Analisi Difesa. https://www.analisidifesa.it/2016/07/le-sfide-del-summit-nato-di-varsavia/
[20]Alessandra Benignetti, 23/10/2018, Quei missili americani in Polonia. Per Mosca sarà un atto di guerra, Il Giornale.https://www.ilgiornale.it/news/mondo/inf-lesperto-russo-missili-polonia-sar-considerato-atto-1591557.html
Foto copertina: dell’Agenzia europea per la difesa