“Primavere Arabe”: A Dieci Anni dalle Rivoluzioni


Nel decennale delle Primavere Arabe, il bilancio delle conseguenze delle proteste in Medio Oriente è tutt’altro che positivo, e tante sono le speranze di libertà e rinnovamento ancora disattese.


 

Dicembre 2010 – Sidi Bouzid è una piccola città della Tunisia, posta nella parte più interna e profonda del Paese.
È una cittadina agraria e impoverita, con un tasso di disoccupazione, stando alle cifre ufficiali, che all’epoca superava il 30%, a fronte del 14% del resto del Paese.
Sidi Bouzid è trascurata dal governo centrale, martoriata da corruzione e nepotismo, affollata di ragazzi poveri e senza lavoro[1]. Uno di loro, un giovane venditore ambulante di nome Mohamed Bouazizi detto Basboosa, vende frutta con un carretto, senza licenza, per sostentare la famiglia numerosa. Il 17 dicembre Bouazizi rifiuta di pagare una mazzetta a un ispettore municipale, che gli confisca il carretto e lo umilia pubblicamente. Il ragazzo protesta, chiede udienza al governatore ma viene ignorato. Esasperato dalle proprie condizioni di vita e dal sequestro della sua merce, Bouazizi si dà fuoco davanti alla sede del governatorato.
Questo gesto estremo ha dato vita, nei giorni e nelle settimane successive, a un’ondata di manifestazioni e proteste senza precedenti, dilagate in tutto il Paese e giunte fino alla capitale, Tunisi. Nel giro di un mese il presidente Zine El-Abidine Ben Ali, al potere dal 1986, viene destituito.
La Rivoluzione dei Gelsomini ha così posto fine a un regime ultraventennale e ha acceso la miccia delle Primavere Arabe in Medio Oriente, nel Vicino Oriente e nel Nord Africa.
Dalla Tunisia, i movimenti di protesta e dissenso dilagano in Egitto, Libia, Siria, Yemen, Algeria, Iraq, Bahrein, Giordania e Gibuti, con moti minori in Mauritania, Arabia Saudita, Oman, Sudan, Somalia, Marocco e Kuwait.
I giovani si scagliano contro i regimi al governo, lottando contro povertà, disoccupazione, mancanza di sistemi educativi e di infrastrutture, violazioni spesso sistematiche dei più basilari diritti umani, sistemi clientelari farraginosi costruiti sulla corruzione. Le ragioni del malcontento sono economiche e politiche.
Le giovani generazioni, più istruite rispetto alle precedenti, si muovono spontaneamente per sradicare i sistemi autoritari che accentrano potere e ricchezze, alimentando disuguaglianze, ingiustizie e abusi attraverso apparati di sicurezza intimidatori.

“Effetto domino”

Le Primavere Arabe spazzano via alcuni dei regimi che hanno governato il Medio Oriente per oltre vent’anni, ma le speranze di rinnovamento e riforma rimangono ad oggi largamente disattese. Il caos delle guerre civili, l’avvento dell’ISIS e la mancanza di riforme economiche e istituzionali profonde hanno minato – e spesso vanificato – gli obiettivi delle rivoluzioni. Abusi, ingiustizie e mancanza di libertà individuali sono ancora all’ordine del giorno nell’area MENA[2].
In Libia le insurrezioni del 2011 si tramutano in una guerra civile tra le forze lealiste di Mu’ammar Gheddafi – politico e dittatore – e quelle dei rivoltosi. Gheddafi viene assassinato, ma il Paese sprofonda in una guerra civile, diventando campo di battaglia degli scontri fra le numerose milizie tribali che formavano la coalizione dei ribelli.
Anche in Siria le sommosse popolari del 2011 si sono tramutate in una tragica guerra civile tra ribelli, forze governative e varie entità politiche autoproclamate. Il conflitto, ancora in corso, ha causato oltre mezzo milione di morti negli ultimi dieci anni, nonché quasi 8 milioni di sfollati interni e 5 milioni di rifugiati[3].
Le proteste contro il presidente Assad si evolvono in breve tempo in una guerra per procura: Assad è appoggiato da forze sciite – come l’Iran, l’Iraq e l’organizzazione paramilitare islamista libanese Hezbollah[4] – mentre i ribelli sono appoggiati da forze sunnite – Turchia, Qatar e Arabia Saudita.
L’arrivo dell’ISIS nel 2014 e il coinvolgimento di Stati Uniti e Russia ha inoltre creato fratture nel mondo occidentale, non più spettatore ma partecipante attivo.
Le motivazioni profonde della guerra sono economiche e strategiche, ma mascherate da rivendicazioni religiose.
Nel 2011 il vento delle insurrezioni giunge anche nel Regno del Bahrein, formalmente una monarchia costituzionale, ma il re āmad bin ʿĪsā Āl Khalīfa le reprime duramente.
Il regime sunnita soppianta con la forza le opposizioni sciite, mostrando la sua vera natura di sistema assolutistico dove Parlamento e Magistratura sono solo strumenti di facciata[5]. Le richieste popolari di riforme economiche, sociali e politiche così come il rispetto delle libertà civili sono rimaste inascoltate.
In Yemen Ali Abdullah Saleh, a capo del paese da oltre trent’anni, lascia il potere alla fine del 2011. Il Paese comincia una complessa transizione politica, ma il nuovo Governo è solo un banale rimpasto delle vecchie élite e disattende le promesse di inclusione. Ad oggi, anche lo Yemen è martoriato da povertà e da una guerra civile complessa con moltissime parti in gioco[6]. Il Paese si trova in una posizione strategica tra il Mar Rosso e il Golfo di Aden, fondamentale rotta commerciale. È inoltre controllato parzialmente dal gruppo paramilitare terroristico Al Qaeda[7], cosa che lo rende un pericolo per la comunità internazionale.
Stessa sorte per il movimento popolare in Algeria, che non riesce a guadagnare il giusto slancio, e nel martoriato Iraq.
In Egitto il generale Hosni Mubarak, presidente dal 1981, è costretto alle dimissioni. La rivoluzione ha portato alle prime elezioni democratiche della storia del Paese, con Mohammed Morsi primo Presidente democraticamente eletto[8]. Purtroppo, dopo una prima fase positiva, nuovi moti popolari accusano il presidente Morsi di aver accentrato il potere nelle mani del partito dei Fratelli Musulmani, di aver peggiorato la situazione economica e di aver del tutto trascurato le richieste di giustizia sociale e tutela dei diritti umani. Alle nuove proteste segue un colpo di stato delle forze armate egiziane, che portano al potere il presidente al Abdul Fattah al-Sisi nel 2013. Le problematiche che alimentarono le proteste 10 dieci anni fa – pesante sottofinanziamento dei sistemi d’istruzione, disoccupazione, mancanza di assistenza sanitaria pubblica, intimidazioni, persecuzioni, e detenzioni arbitrarie[9] – continuano tuttora ad affliggere il Paese. Anzi, secondo fonti autorevoli la situazione per molti egiziani è peggiore di quanto non fosse prima della rivoluzione. Secondo la Banca Mondiale[10] il 32,5% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà (erano il 16% nel 2011). Le violazioni dei diritti umani e la progressiva erosione dello stato di diritto sono all’ordine del giorno nel paese nordafricano.
La Tunisia è l’unico paese ad aver compiuto una transizione pacifica dopo le proteste[11]. Nonostante un lungo e complesso processo di democratizzazione, il Paese riesce a dotarsi di una Costituzione nel gennaio del 2014 e a favorire una buona alternanza partitica. Ha una società civile piuttosto solida, sono state emanate leggi progressiste in favore delle donne e attuate riforme istituzionali rilevanti. Eppure, le questioni in gioco, anche qui, sono molte.
L’affluenza alle elezioni cala costantemente, soprattutto tra i giovani. Il Paese ha subito attentati terroristici importanti e ha un numero altissimo di Foreign Fighters – giovani tunisini partiti per unirsi all’ISIS in Siria, Iraq o Libia. I servizi pubblici sono inadeguati[12] e l’economia è ancora travagliata: in dieci anni il debito pubblico è più che raddoppiato, il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato quota 30%[13] e il tasso di povertà è pari al 15,2%. Numerosi gli investimenti diretti alle zone costiere e di interesse turistico, mentre le aree interne e rurali rimangono marginalizzate. Corruzione e clientelismo, violenza e abusi di potere fanno ancora parte della vita quotidiana del Paese e della sua politica. 

Quale Medio Oriente?

Quello a dieci anni dalle Primavere Arabe è un Medio Oriente sfinito, lacerato dalle guerre e conteso da più parti, per ragioni principalmente economiche e di sicurezza.
Il terrorismo islamico ha intensificato conflitti già acuti, la pandemia di COVID-19 ha messo a repentaglio sistemi economici già in ginocchio. Gli equilibri di potere e gli interessi nazionali continuano a soppiantare questioni come i diritti umani e il benessere dei popoli. Nel 2019 nuove proteste hanno avuto luogo in Algeria, Libano e Iraq, e in Tunisia a gennaio 2021. Dove possibile, la società civile e i giovani attivisti continuano a premere per il cambiamento e il progresso, ma la strada è di certo ancora lunga.


Note

[1] Fahim Kareem, “Slap to a Man’s Pride Set Off Tumult in Tunisia”, Jan. 21 2011, The New York Times
[2] Il termine MENA è un acronimo di “Medio Oriente e Nord Africa” (Middle East and North Africa)
[3] UNHCR, Government of Turkey
[4] https://www.opiniojuris.it/hezbollah/
[5] A. A, “Cosa succede quando una rivoluzione fallisce”, 29 gennaio 2017, Il Post
[6] https://www.opiniojuris.it/conflitto-yemenita/
[7] https://www.opiniojuris.it/al-qa%CA%BFida-origine-ed-evoluzione/
[8] A. A, “Egypt’s Mohammed Morsi: A turbulent presidency cut short”, 17 June 2019, BBC News
[9] De Luca Alessia, “Egitto 10 anni dopo: rivoluzione e sogni infranti”, 25 gennaio 2021, ISPI Online Publications
[10] The World Bank, Data
[11] https://www.opiniojuris.it/una-discussione-sulla-tunisia-dieci-anni-dopo-la-rivoluzione/
[12] Dr. Abouaoun Elie, “Tunisia Timeline: Since the Jasmine Revolution”, July 12 2019, United States Institute of Peace
[13] Gaiardoni Andrea, “A 10 anni dalla rivoluzione dei Gelsomini, la Tunisia torna a protestare in piazza”, 10 febbraio 2021, Il Bo Live – Università di Padova


Foto copertina: In questa foto del 25 gennaio 2012, la gente sventola bandiere in piazza Tahrir per celebrare il primo anniversario della rivolta popolare che ha portato alla rapida cacciata del presidente autocrate Hosni Mubarak, al Cairo, in Egitto. Un decennio dopo, si stima che migliaia di persone siano fuggite all’estero per sfuggire a uno stato, guidato dal presidente Abdel Fattah el-Sissi, che è ancora più opprimente. (Foto AP / Amr Nabil, File)

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