Russia e UE a confronto sulle sanzioni: il ruolo della finanza internazionale. Intervista al Prof. Ugo Marani

A cura di Andrea Minervini e Valentina Chabert


A fronte dell’esclusione degli Stati Uniti, della NATO e degli Alleati Europei di un intervento militare, allo stato attuale lo strumento sanzionatorio risulta essere la prima risposta decisa da parte dell’Occidente. A che punto siamo? Ne abbiamo discusso con il professor Ugo Marani, docente di Economia e Finanza internazionale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”.


Nella giornata del 24 febbraio, la Russia ha iniziato un attacco militare su larga scala contro l’Ucraina, il suo vicino meridionale con cui è in guerra dal 2014, per ordine di Vladimir Putin, che ha ordinato la cosiddetta “denazificazione del paese” con un’operazione militare con dei risvolti ancora molto poco chiari. A fronte dell’esclusione degli Stati Uniti, della NATO e degli Alleati Europei di un intervento militare, allo stato attuale lo strumento sanzionatorio risulta essere la prima risposta decisa da parte dell’Occidente. A che punto siamo? Ne abbiamo discusso con il professor Ugo Marani, docente di Economia e Finanza internazionale presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”.

Che cosa sono le sanzioni economiche? Quali conseguenze comporta l’impiego di tale strumento in situazioni di crisi internazionale?
“In economia uno dei fenomeni più approfonditi è quello del protezionismo. Il protezionismo è una modalità di controllo dei rapporti economici con un altro paese per tentare di migliorare la propria economia. Specularmente, le sanzioni sono invece il tentativo di non migliorare tanto la propria economia, bensì di danneggiare quella altrui. Pertanto, protezionismo e sanzioni economiche sono in qualche modo speculari. Queste modalità di ritorsione nei rapporti con un altro paese riguardano fondamentalmente alcuni fenomeni: relazioni di carattere commerciale export- import; relazioni di servizi e di turismo (voli e tutto ciò che ne consegue); movimenti di capitali.  Storicamente, il problema principale ha riguardato export ed import di beni. Negli ultimi vent’anni, a causa della crescente integrazione finanziaria internazionale, il problema che in questo momento condiziona i rapporti con la Russia riguarda i movimenti di capitale e i sistemi di pagamenti finanziari a breve periodo: questo è in questo momento – oltre ad alcune materie prime (come vedremo) – il punto principale di rapporto con la Russia.”

Figura 1: sanzioni e restrizioni economiche.

Intorno alle 20 ora italiana della giornata del 24 febbraio ha avuto luogo la riunione straordinaria del Consiglio Europeo, in cui i Ventisette hanno fermamente condannato l’invasione russa e discusso di un nuovo pacchetto di sanzioni contro Mosca. Se la risposta dell’Europa all’invasione russa è apparsa in un primo momento coesa, la discussione a proposito delle sanzioni ha fatto sgretolare l’unità tra gli Stati dell’Unione a causa dell’indecisione di alcuni Paesi, tra cui l’Italia – fortemente dipendente dal gas russo – di quanto duramente colpire la Russia nel settore energetico. A cosa sono dovute tali divisioni?
“In questo momento l’andamento delle sanzioni vede divisi i Paesi europei al loro interno e in parte l’economia americana su due problemi apparentemente scollegati ma inestricabilmente connessi: in primo luogo, l’occupazione di un terreno di sanzioni rispetto a materie prime – fondamentalmente prodotti energetici.  Su questo in Europa ci sono due ulteriori linee, che tuttavia non escono fuori: una linea di maggiore tolleranza verso l’acquisizione delle materie prime e una linea di maggiore intransigenza. Il paese che ha guidato fino a tre giorni fa la linea di maggiore tolleranza era la Germania, che con la Realpolitik della grande Cancelliera aveva una situazione di apertura nei confronti russi; la Merkel era inoltre nata nella Repubblica Democratica Tedesca, quindi ha una cultura del significato del parlare con chi sta in un sistema comunista – di Scholz non ho conoscenza. Su questa linea, quindi, inizialmente era un attestato Italia e Germania, alle quali si opponeva l’Inghilterra, con una posizione intermedia del grande cancellariato estero che è quella di Macron,  il quale pensa in questo momento di fare il grande ambasciatore nei rapporti con Putin. A mio avviso, Putin ci parla ma non lo considera Ambasciatore. Collegato a ciò vi è il problema dei flussi finanziari: in un periodo di totale integrazione finanziaria internazionale, sono in grado di colpire un’altra nazione, limitando il suo accesso a questo mercato finanziario globale?  Probabilmente molto di più che 15 anni fa. Lo posso fare in due modi: congelando alcuni beni all’estero, che non sono i beni degli oligarchi: il problema non è Putin, il problema è Abramovich, che non a caso è colui che va a fare il mediatore perché la guerra finisca. Studiando la storia della finanza internazionale, la grande finanza mondiale ha sempre voluto episodi bellici locali, non ha mai voluto una guerra mondiale. Dal 1870 al 1914 nessun grande finanziere mondiale ha mai voluto guerre mondiali, bensì conflitti locali. Quando nel 1870 la Germania vince a Sedan ci sono due Rothschild, uno dietro i francesi e uno dietro il Kaiser. La cosa incredibile è che Bismarck chiese 40 miliardi di franchi dell’epoca per la fuoriuscita dell’esercito tedesco dai confini nazionali francesi. Interviene il Rothschild dei francesi che si propone di trattare con Bismark, chiude la trattativa a 5 miliardi e creditore nei confronti del governo francese. Dunque i Rothschild vincono perché stanno con Bismark, stanno con i francesi, finanziano i due eserciti, finanziano i titoli del debito pubblico di due paesi e finanziano anche la resa di uno rispetto all’altro. Quindi da questo guadagna la finanza. Quando scoppia la prima guerra mondiale ci sono cinque Rothschild, cinque cugini che stanno a Londra, a Parigi, a Berlino, a Vienna e in Russia. Sostanzialmente, per loro ciò che è molto importante è tensione, armamenti, finanziamenti, mannaie – ma mai guerre. In parte, è quello che succede oggi, ed è il meccanismo che sta contraddistinguendo le tensioni sul Swift. Il Swift  è un meccanismo inventato da una cooperativa belga. Per esemplificarne il funzionamento, immaginiamo che due individui abbiano un sistema di pagamenti, ma le proprie banche non sono in diretta connessione. Il singolo individuo farebbe allora un bonifico presso la propria banca che aderisce a Swift e che quindi in qualche modo garantisce il proprio effettuato pagamento. Se la banca dell’altro individuo sta in Swift, il pagamento avviene nell’immediato. Non che senza Swift il pagamento non si possa fare, ma ci sono due passaggi in più. Cambia un fatto che è fondamentale nella finanza internazionale, ovvero che debbano essere istantanei. Questo crea problemi alla Russia, ma non sono problemi insolubili. Quello che manca in questo momento è l’adesione al grande gioco della finanza internazionale, con capitali che entrano, escono, e un gioco al quale ci sono tutti, anche la Cina, per intero. La cosa indicativa in questo gioco è che i grandi banchieri dell’inizio del 900, i Warburg, continuarono a lavorare via Svizzera anche durante la prima guerra mondiale e in parte anche durante la seconda. I Warburg scapparono in parte perché nazisti, in ogni caso facevano affari con chiunque. Oggi, per la prima volta nella storia di 2000 anni di moneta segno, la Svizzera finisce la sua neutralità, che significativa di due cose: devono aver avuto pressioni molto forti da parte della lobby finanziaria internazionale perché escano fuori dal circuito di intermediazione. In secondo luogo, se la Svizzera fa una cosa del genere, significa che in questo momento la finanza globale ha deciso di dare un colpo molto forte all’economia russa.”

Che ruolo gioca l’Italia in tale contesto? Quale peso avrebbero le controsanzioni russe sul nostro Paese?
“Nel 2013, l’Italia aveva un ammontare di esportazioni totali verso la Russia pari a 10.500 miliardi. Al culmine delle ritorsioni reciproche con la Russia dal 2014 in poi, erano arrivati a 7, per poi attestarsi stabilmente intorno ai 14.”

Figura 2: Esportazioni totali italiane verso la Russia (in milioni di euro) da agosto 2012 a luglio 2018. Eurostat.

Vi sono poi alcuni prodotti che per gli esportatori italiani sono quelli che hanno sofferto di più: sono particolarmente sensibili o beni molto tradizionali, oppure macchine ed apparecchiature industriali, un grande classico della Russia e della precedente Unione Sovietica.

Figura 3: i 10 settori dell’export italiano in Russia con performance peggiori e migliori (i valori esprimono la differenza del valore degli scambi nei dodici mesi precedenti le sanzioni, agosto 2013- luglio 2014, rispetto al periodo agosto 2017- luglio 2018).

Calcolando la perdita annua di produzione nel caso in cui riducessimo del 10% l’approvvigionamento elettrico, chi avrebbe il maggior calo non sarebbe l’Italia, bensì l’Austria (1.2 punti del PIL), a fronte del nostro 0.8.
Sostanzialmente, in una ripresa di quattro punti, la ripresa parziale delle ritorsioni della Russia su di noi costerebbero al 10%, e ci costerebbe 0.8.

Figura 4: Perdita annua di produzione in caso di riduzione del 10% dell’uso di energia nell’industria.

Concentrandoci sulla vulnerabilità dei paesi a seconda dell’export che hanno in PIL con la Russia, tutto lo spazio ex-sovietico si trova maggiormente sacrificato. L’Italia sta in una posizione più elevata rispetto agli altri paesi, ma non è la più indebitata di tutti. Diciamo che Confindustria -specie Confindustria lombarda e veneta – sono quelle che in questo momento sono le più preoccupate di tutti.
La mia conclusione è che man mano che la situazione finanziaria tende ad essere globale in tutti i paesi, questa situazione di danni e di ritorsioni reciproche è sempre meno spiegata dai prodotti commerciali, ed è sempre più spiegata dalla finanza. Se gli Stati Uniti saranno in grado di troncare l’ingresso della Russia sui mercati finanziari avranno raggiunto un obiettivo, ma l’obiettivo speculare sarà che quanto più continuerà la de-globalizzazione, tantomeno la Russia accetterà pagamenti alternativi per le proprie valute. Questo è un gioco cosiddetto “chicken game”, dal film “Gioventù bruciata”: vi è una scena in cui vi è un ragazzo alla guida di una macchina che corre con un altro ragazzo; secondo il gioco, vince chi si fermerà più tardi ma prima di cadere nel burrone. È un gioco a “chi tira di più, ma non va giù”.

Precedentemente all’invasione dell’Ucraina, il Presidente Putin ha annunciato l’imposizione di sanzioni “mai viste prima nella storia” nei confronti di chiunque avesse intenzione di intervenire. Quali sono i punti di forza di Mosca?
“L’economia russa ha un bravo ministro degli Esteri e una brava governatrice della Banca centrale: quest’ultima, in particolare,  si è laureata a Mosca, è stata scelta da Yale per andare a specializzarsi lì, e in questo momento sta cercando di gestire la situazione con la Banca centrale russa: secondo le sue stime, e le retaliation dovrebbero costare due o tre punti di PIL alla Russia nel 2022.”

L’origine delle sanzioni economiche viene fatta risalire da alcuni studi addirittura al 432 a.C. A fronte di un utilizzo massiccio durante il periodo della guerra fredda e, successivamente, anche nel 2014 come risposta europea all’occupazione della Crimea da parte della Russia, è possibile affermare che si tratti di uno strumento efficace? La Russia ne è uscita indebolita?
“In generale, le sanzioni economiche non hanno mai avuto un peso determinante nella decisione di una fase bellica; non l’hanno avuto nemmeno con Saddam Hussein. Con Saddam Hussein ha funzionato un modo molto indiretto, ovvero l’embargo, il quale ha riguardato anche i prodotti sanitari, poiché dagli Stati Uniti era stato portato al livello più alto. Questo ha impedito alla popolazione di ricevere alcuni medicinali importanti, il che  ha determinato un forte risentimento popolare nei confronti della politica estera di Saddam Hussein. Ma dal punto di vista delle scelte strategiche ed economiche il problema delle sanzioni non è stato mai di per sé rilevante nell’indirizzare l’esito di una guerra.”

Nel contesto che lei ha delineato, che ruolo può giocare la Cina per la Russia?
“Ritengo che la Cina, dal punto di vista commerciale, abbia raggiunto un proprio equilibrio, non senza scontri con Trump e i trumpisti sul protezionismo. Tuttavia, vi sono alcuni dati di fatto a livello internazionale, ovvero la finanza e la detenzione dei titoli del debito pubblico americano. Se in questo momento esiste un meccanismo di sconvolgimento delle relazioni est-ovest, non può che venire in qualche modo turbata anche la centralità cinese. Siamo passati da una situazione di unione Cina – Russia versus ovest ad una situazione in cui la Cina ha cominciato ad avere tensioni e a concorrere con la Russia per ciò che riguarda l’asse centrale; ad un certo punto,  la Cina ha deciso di concorrere da sola. Nessuno dei due paesi può fare a meno delle proprie relazioni commerciali con l’Ovest: penso che la Cina prima o poi si porrà il problema di dire a Putin o a chi per lui che sia necessario fermarsi, perché non è in discussione solo il rapporto con la Russia, bensì anche una situazione di integrazione finanziaria internazionale di cui la Cina non è un “follower”.”


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Foto copertina: Il rublo russo