Nello Yemen la gioventù, che costituisce il 70% della popolazione, è stata sistematicamente esclusa dai processi di peace-building. Garantire una maggiore rappresentazione dei giovani è l’unica soluzione possibile per garantire una pace sostenibile.
Ancor prima della rivoluzione del 2011 e dello scoppio della guerra civile nel 2015, lo Yemen era uno dei paesi più poveri del mondo arabo e le sue condizioni economiche, politiche e sociali destavano già molta preoccupazione. Sette anni dopo, il conflitto yemenita ha prodotto la peggiore crisi umanitaria del mondo, ha accelerato la frammentazione politica e territoriale del paese, mentre quest’ultimo è impantanato in emergenze che si sovrappongono.
Dall’inizio della guerra ad oggi, si sono susseguite molteplici iniziative internazionali volte a porre fine alle ostilità e ristabilire il dialogo politico tra le parti. Ma è ormai assodato che la strategia perseguita dalle Nazioni Unite di raggiungere una risoluzione che includa soltanto due parti in causa, i ribelli di Ansar Allah, o Huthi, e il governo di Hadi, sia fallimentare nel raggiungere una pace duratura. Altri attori, ugualmente influenti nel conflitto, sono stati esclusi, come i secessionisti del Consiglio del Transizione del Sud, e una grossa fetta della società civile, tra cui giovani e donne.
I colloqui di pace svoltisi in Kuwait nel 2016 e promossi dalle Nazioni Unite rappresentano il tentativo più “completo” di porre fine al conflitto e, seppur fallimentari, ancora rappresentano il riferimento da cui sono stati sviluppati i successivi tentativi di negoziazione di pace.
Nel 2018 è stata la volta dell’Accordo di Stoccolma, salutato dal segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, in maniera enfatica, dicendo che ciò rappresentava “l’inizio della fine della crisi in Yemen”. L’accordo prevedeva un immediato cessate il fuoco intorno alla città di Hodeida e il ritiro delle forze, ma fu redatto in maniera così ambigua che le parti in contrasto riuscirono a leggere ciò che era più congeniale ai loro interessi.
Ma il maggior problema risiede nel fatto che i tentativi di risoluzione partono tutti dallo stesso modello lacunoso: la risoluzione 2216 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Approvata nell’aprile del 2015, appena tre settimane dopo l’operazione “Decisive Storm” a guida saudita, la risoluzione esprimeva preoccupazione per l’avanzata verso Aden degli Houthi, prevedeva il loro disarmo, la fine delle violenze e il ritiro da tutte le aree conquistate, nonché la consegna delle armi e il ritorno di Hadi nella capitale Sana’a.
Oltre ad essere eccessivamente sbilanciata a favore dell’Arabia Saudita e del suo alleato in Yemen, la risoluzione è ormai inattuabile perché gli equilibri di potere sono mutati rispetto al 2015 così come le alleanze. Ripensare un nuovo approccio è fondamentale tanto più che l’escalation militare è aumentata nelle ultime settimane[1], facendo temere all’inviato speciale per lo Yemen, Hans Grundberg, la perdita di controllo sul conflitto. Nell’ultimo mese, gli Huthi hanno sferrato numerosi attacchi con missili e droni contro infrastrutture degli Emirati Arabi Uniti[2], incluso un attacco vicino l’aeroporto di Abu Dhabi in cui sono morte tre persone.
Oltre ai recenti episodi di escalation militare, al moltiplicarsi dei fronti di battaglia e all’aumento delle vittime civili, ad esacerbare la catastrofe umanitaria yemenita concorre la decisione da parte degli investitori internazionali di ridurre o interrompere i programmi di aiuto verso la popolazione. Per mancanza di fondi, il World Food Programme ha ridotto la fornitura di cibo a circa 8 milioni di persone[3], la cui sopravvivenza è legata agli aiuti alimentari erogati, in un paese in cui 16,2 milioni di persone, circa la metà dell’intera popolazione yemenita, soffre di insicurezza alimentare.
Dopo sette anni di conflitto e innumerevoli tentativi di risoluzione, tutti falliti, è chiaro che l’attuale framework per i negoziati è inadeguato ed occorre riformularlo in considerazione del mutato contesto. Dal 2015, ben quattro inviati speciali si sono susseguiti e una pacifica risoluzione sembra ancora lontana, sebbene l’attuale inviato speciale, Hans Grundberg abbia dichiarato di muoversi verso un accordo politico inclusivo, attraverso un approccio multilivello. [4]
In primo luogo, rendere il processo negoziale più inclusivo e rappresentativo dei molteplici attori coinvolti nel conflitto sarebbe un punto di partenza. Difatti, affinché un processo di pace sia effettivo e duraturo è necessario che sia inclusivo e partecipatorio, garantire che tutte le voci che compongono la società vengano ascoltate.[5] In stati dilaniati dai conflitti, la coesione sociale è assente, la popolazione è frammentata e guidata da grievances politiche, sociali o economiche e, di conseguenza, ricomporre il tessuto sociale costituisce una priorità per poter costruire una pace sostenibile.
Perché includere la società civile e la gioventù potrebbe funzionare? L’inclusione di organizzazioni della società civile, delle donne e dei giovani è cruciale nel processo di peacebuilding e di mediazione locale, oltre ad accrescere le prospettive di una pace più duratura.
La storica risoluzione 2250 del Consiglio di Sicurezza è il primo framework politico internazionale che riconosce il contributo positivo della gioventù nel mantenimento della pace e della sicurezza così come la Youth, Peace and Security Agenda[6] delle Nazioni Unite ribadisce la necessità di permettere ai giovani di diventare agenti di pace per permettere loro di esercitare un contributo significativo nel prevenire e risolvere i conflitti.
In Yemen la maggior parte della popolazione è giovane, basti pensare che il 70% è costituita da persone al di sotto dei 30 anni. Visto più come un problema che come opportunità, nel passato il governo yemenita ha cercato di ridurre il tasso di natalità, considerando la notevole crescita prevista come una minaccia per la stabilità del paese. L’approccio governativo al “problema” giovanile è stato inadeguato e poco lungimirante e non sono state affrontate alcune questioni, come l’alto tasso di disoccupazione, l’esclusione sociale e la mancanza di interesse nel rafforzare i giovani economicamente e politicamente.
È chiaro, pertanto, che per garantire una pace duratura è necessario includere questa grossa fetta della popolazione.
Lo Yemen peace forum in collaborazione con il Sana’a Center ha formulato un rapporto dal titolo Not our war: a vision for peace from Yemeni youth and civil society[7], in cui 177 uomini e 183 donne, tra i 20 e i 35 anni, attivisti e volontari della società civile hanno discusso le cause alla base del conflitto, la loro percezione e le possibili risoluzioni.
In base al rapporto del Sana’a Center, l’inclusione dei giovani e delle donne nel processo di pace costituisce un imperativo per i partecipanti. Tuttavia, questi percepiscono che l’inviato speciale delle Nazioni Unite sia molto distante dalle loro istanze e, in generale, hanno una scarsa conoscenza del suo ruolo e dei compiti che il suo incarico richiede. Prevale, inoltre, una diffusa sfiducia verso gli sforzi internazionali di risoluzione della guerra e la frustrazione che le istanze giovanile sono state raramente prese in considerazione nei negoziati di pace finora formulati.
Tra le raccomandazioni finali, si chiede di chiarire il ruolo dell’inviato speciale per far sì che si accresca l’influenza delle donne e dei giovani nei processi di pace; di garantire la trasparenza durante i negoziati; di stabilire un meccanismo di monitoraggio del processo di negoziazione, presieduto da donne e giovani, non affiliati alle parti in causa, in cooperazione con le organizzazioni della società civile e con la consultazione dell’inviato speciale.
Potrebbe interessarti:
- Sarà davvero l’inizio della fine del conflitto yemenita ?
- Yemen, il World Food Program interromperà gli aiuti alimentari
Note
[1] https://reliefweb.int/report/yemen/despite-military-escalation-increased-humanitarian-crisis-yemen-way-out-war-still
[2] https://www.aljazeera.com/news/2022/2/3/timeline-uae-drone-missile-attacks-houthis-yemen
[3] https://www.wfp.org/news/wfp-forced-cut-food-assistance-yemen-warns-impact-hunger-rises
[4] https://osesgy.unmissions.org/briefing-united-nations-security-council-special-envoy-yemen-hans-grundberg-1
[5] https://www.usip.org/publications/2017/05/inclusive-peace-processes-are-key-ending-violent-conflict
[6] https://www.youth4peace.info/About_YPS_Agenda
[7] https://sanaacenter.org/publications/main-publications/16073
Foto copertina: Yemen giovani studenti yemeniti tengono la bandiera del loro paese mentre protestano contro la guerra. (Fars Arabo)