Scenari climatici a confronto: cosa cambierà con Harris o Trump alla Casa Bianca?


Nonostante il cambiamento climatico sia una preoccupazione crescente per molti elettori statunitensi, i candidati alla Casa Bianca non hanno ancora un piano chiaro e dettagliato sul tema. Tuttavia, le loro posizioni non potrebbero essere più distanti: per Trump si tratta di una grande ‘bufala’, per Harris di una sfida urgente e concreta.


A cura di Virgilia de Cicco

«Se questo dibattito è un barometro di ciò che determinerà le elezioni, a farlo non sarà né il clima né l’energia» afferma David Victor[1], politologo dell’Università della California, riferendosi al dibattito che il 10 settembre scorso ha visto protagonisti la vice-presidente Kamala Harris e l’ex presidente Donald Trump. Durante il confronto televisivo tra i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti, infatti, le questioni climatiche sono passate in secondo piano rispetto ai temi economici, migratori e di sicurezza nazionale. Non è mancata, però, una domanda dedicata alle azioni che i due sfidanti intendono mettere in pratica per contrastare il climate change.[2]

Kamala Harris tra continuità e potenziamento delle politiche climatiche

Partendo dalle affermazioni della candidata dem, quest’ultima ha rivendicato con soddisfazione e orgoglio come negli ultimi quattro anni dell’amministrazione Biden – anni che l’hanno vista affiancare il Presidente come sua vice – siano stati investiti 1000 miliardi di dollari in energie rinnovabili e tecnologie pulite, creando 800.000 nuovi posti di lavoro nel settore manifatturiero. Oltre ad aver sottolineato il successo di una strategia industriale che ha favorito lo sviluppo occupazionale in un’economia più verde, Harris ha anche evidenziato l’atteggiamento negazionista di Trump, che sembra non riconoscere nemmeno le drammatiche conseguenze che gli eventi metereologici estremi hanno sulla vita delle persone.[3]

Eppure, a dispetto di quanto queste affermazioni avrebbero lasciato intendere, la candidata ha scelto di non fare riferimento ai successi ottenuti come procuratrice distrettuale della città di San Francisco, dove ha istituito la prima unità di giustizia ambientale del Paese volta a sanzionare le aziende che inquinano. E nemmeno ha fatto riferimento agli anni del suo mandato da procuratrice generale in California, quando ha invece indagato sulle compagnie petrolifere, ottenendo – tra le altre cose – un accordo multimiliardario con Volkswagen che accettò di pagare circa 14,7 miliardi di dollari per risolvere le accuse legate ai dispositivi installati sui suoi veicoli diesel per aggirare i limiti di emissione. Andando, quindi, in controtendenza rispetto a quanto ci si sarebbe potuti aspettare, Harris ha invece descritto come un successo l’aumento della produzione di petrolio e gas negli Stati Uniti durante la presidenza Biden, con lei come vicepresidente.[4]  

Inoltre, per tranquillizzare gli elettori degli Stati ricchi di gas come la Pennsylvania circa la posizione anti-fracking assunta durante la campagna presidenziale del 2019 e accaparrarsi i loro voti, ha sostenuto apertamente di non aver intenzione di proibire questa tecnica. “In realtà, il mio è stato il voto di spareggio per l’Inflation Reduction Act, che ha aperto nuove possibilità per il fracking”,[5] ha detto la candidata, sottolineando la necessità di investire in diverse fonti di energia, in modo da ridurre la dipendenza dal petrolio straniero.

Tuttavia, come più volte ribadito, una transizione energetica che possa dirsi realmente efficace si realizzerà solo attraverso la sostituzione – e non l’affiancamento – delle fonti di energia pulita a quelle sporche .[6] Se Harris, nello scenario in cui dovesse diventare 47esima presidente degli Stati Uniti, riuscirà o meno a compiere questo passo è ancora presto per poterlo dirlo (sebbene le circostanze non sembrino lasciare spazio all’ottimismo), ma ciò che è già certo è che un secondo mandato di Trump di passi indietro nella lotta al cambiamento climatico ne farebbe fare parecchi.

Donald Trump e il possibile ritorno al negazionismo e alle politiche pro-fossili

Il Tycoon, infatti, non ha mai fatto mistero delle sue convinzioni ascientifiche e complottiste sul climate change, più volte definito una bufala messa su dagli artisti della truffa (gli ambientalisti), quando non ordita dal Governo di Pechino allo scopo di compromettere la competitività statunitense.[7]

Il riflesso di queste convinzioni è stata la decisione di ritirare gli USA dall’Accordi di Parigi, uno dei più significativi traguardi raggiunti dalla comunità internazionale nel corso degli annuali summit climatici. A questa scelta, attuata dall’ex presidente durante il suo primo mandato, potrebbe farne seguito un’altra ancora più radicale. Secondo alcune indiscrezioni, infatti, esisterebbe una bozza per la rimozione degli Stati Uniti dall’intero quadro delle Nazioni Unite alla base dei negoziati globali sul clima.[8] Inutile dire che un simile agguato alla diplomazia climatica rischia di compromettere in modo permanente lo sforzo – compiuto e da compiersi – per tutelare il delicato sistema climatico terrestre.

A dichiarare che l’Accordo di Parigi rappresenta un cattivo affare per gli Stati Uniti è stata anche Mandy Gunasekara, capo di gabinetto dell’EPA durante l’amministrazione Trump e autrice delle disposizioni energetiche e ambientali del Project 2025[9], un manifesto politico di 922 pagine elaborato dal think thank conservatore Heritage Foundation per descrivere le azioni che si auspica saranno adottate dal prossimo presidente repubblicano. Sebbene, anche nel corso del dibattito televisivo, Trump abbia smentito di avere a che fare con la redazione del Progetto 2025 non è difficile ritenere le posizioni espresse al suo interno come affini a quelle manifestate da Trump, che da quando è iniziata la campagna presidenziale non fa che ripetere il suo nuovo mantra: “Drill, baby, drill” (trivella, tesoro, trivella).[10]

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Non a caso un’analisi condotta da Carbon Brief dimostra che se Trump riuscisse a ottenere un secondo mandato e facesse marcia indietro rispetto alle politiche adottate da Biden, le emissioni di gas serra degli Stati Uniti – entro il 2030 – scenderebbero del 28% rispetto ai livelli del 2005, mancando di molto gli impegni globali sul clima. Sempre entro la data cruciale del 2030, l’analisi contabilizza un ulteriore aumento della quantità di CO2 immessa in atmosfera. Più precisamente, stima un possibile aumento di 4 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, per un totale di oltre 900 miliardi di dollari da spendere nella riparazione di danni climatici globali. Per dirla in altri termini, questa cifra equivale alle emissioni annuali combinate di UE e Giappone, o al totale annuale combinato dei 140 Paesi a più basse emissioni del mondo.[11]

Uno scenario che potrebbe facilmente realizzarsi anche in assenza di un ritiro formale degli USA dai trattati internazionali sul clima. La vittoria di Trump, infatti, potrebbe ragionevolmente tradursi in una nuova ondata di deregolamentazione delle leggi a tutela di clima e ambiente e in una riduzione dei finanziamenti climatici, come già accaduto durante il primo mandato del Tycoon, che in quell’occasione azzerò i contributi al Green Climate Fund, fondo istituito nell’ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici per raccogliere i finanziamenti destinati ad assistere i Paesi in via di sviluppo nelle pratiche di mitigazione e adattamento  al cambiamento climatico.

E sebbene c’è chi tende a ridimensionare le preoccupazioni derivanti da un’eventuale rielezione di Trump, sostenendo che un simile scenario finirebbe col favorire un incremento di ambizione di altri attori internazionali, non si può non notare come – in realtà – un ritorno di Trump arriverebbe proprio quando l’ascesa dei partiti verdi in Europa ha subito un duro colpo d’arresto. Una circostanza che rischia di indebolire un altro attore chiave nella lotta al cambiamento climatico, creando così un potenziale vuoto di leadership sulla scena internazionale, a dimostrazione del fatto che l’elezione di Trump (o di Harris) non determinerà solo la direzione delle politiche climatiche statunitensi, ma influenzerà l’intero equilibrio geopolitico e ambientale globale, con conseguenze a lungo termine per il pianeta e per le generazioni future.


Note

[1]  J. TOLLEFSON, M. LENHARO & L. WOLF, «US election debate: what Harris and Trump said about science». Nature, 2024
[2] https://abcnews.go.com/Politics/harris-trump-presidential-debate-transcript/story?id=113560542
[3] Ibid
[4] Z. TEIRSTEIN, «At the presidential debate, fossil fuels and energy politics took center stage». Grist, 2024
[5] https://abcnews.go.com/Politics/harris-trump-presidential-debate-transcript/story?id=113560542
[6] V. DE CICCO, «Terre rare: la sfida da cui dipende il futuro della transizione energetica». Opinio Juris, n.5, 2023
[7] Thetrumparchive.com
[8] B. LEFEBVRE & Z. COLMAN, «Trump would withdraw US from Paris climate treaty again, campaign says». Politico, 2024
[9] AA. VV., «Mandate for Leadership. The Conservative Promise. Project 2025». 2023
[10] O. MILMAN, «Trump vows to ‘drill, baby, drill’ despite rally attendees wilting in extreme heat». The Guardian, 2024
[11] CARBON BRIEF, «Analysis: Trump election win could add 4bn tonnes to US emissions by 2030». 2024


Foto copertina: