Gambia vs Myanmar


Un’analisi dell’iniziativa del Gambia che cita dinnanzi la Corte internazionale di giustizia il Myanmar accusandolo della perpetrazione di genocidio nei confronti del gruppo dei Rohingya.


Il caso Gambia c. Myanmar: misure provvisorie

L’11 novembre 2019 il Gambia presenta alla Corte internazionale di giustizia una richiesta di misure provvisorie contro il Myanmar. In particolare il Gambia chiede alla Corte di accertare la violazione degli artt. I, III, IV, V, VI [1] della Convenzione, e conseguentemente di condannare il Myanmar alla cessazione dell’illecito, alla punizione dei colpevoli, a provvedere ad una riparazione per le vittime, ed alla prestazione di adeguate garanzie di non ripetizione [2].
Secondo quanto riportato da organi delle Nazioni Unite, da media e da ONG, a partire dal 9 ottobre 2016 l’esercito e vari altri gruppi militari hanno commesso gravi violazioni dei diritti umani nei confronti dei Rohingya, provocando più di 10.000 morti. Inoltre, dal rapporto del 18 settembre 2018 della United Nations Independent International Fact-Finding Mission on Myanmar (IIMM), emerge che gli altri 600.000 membri del gruppo etnico sono in grave pericolo, data anche la perpetrazione dell’hate speech da parte statale e la sistematicità degli stupri nei confronti delle donne[3].
Alla richiesta del Gambia la Corte risponde con un’ordinanza del 23 gennaio 2020 a seguito della quale, dopo aver rilevato la sua giurisdizione prima facie, emana alcune misure provvisorie nei confronti del Myanmar.
Il ricorrente ritiene che la Corte possa fondare la sua giurisdizione sugli artt. 36, par. 1 del suo Statuto[4] e sull’art. IX della Convenzione, contenente la clausola compromissoria del trattato. In particolare, secondo l’art. IX le controversie tra le Parti contraenti relative all’interpretazione, all’applicazione o all’esecuzione della Convenzione saranno sottoposte alla Corte internazionale di giustizia su richiesta di ognuna delle parti alla controversia. Dal momento che né il Gambia né tantomeno il Myanmar avevano apposto alcuna riserva all’articolo, non sembra si possa dubitare dell’applicabilità della clausola giurisdizionale. In effetti, la Corte ha rigettato l’eccezione del Myanmar per la quale l’aver apposto una riserva all’art. VIII – ai sensi del quale ciascuno Stato contraente può invitare gli organi competenti delle Nazioni Unite a prendere ogni misura che essi giudichino appropriata ai fini della prevenzione e della repressione degli atti di genocidio – implicherebbe l’impossibilità di adire la Corte. In realtà, nonostante la Corte sia un organo delle Nazioni Unite, la riserva all’art. VIII non pregiudica la possibilità di ricorrere alla clausola compromissoria, avente una funzione ed un ambito di applicazione ben distinti[5].
Seppur la Corte non valuti, nel giudizio sulle misure provvisorie, l’esistenza dei due elementi costituenti genocidio, actus reus (o elemento materiale) e dolus specialis (o intento specifico) poiché ne rimanda l’analisi al giudizio sul merito, dopo aver valutato la presenza dei presupposti per l’adozione di misure cautelari[6], conclude che lo Stato convenuto debba adottare tutte le misure in suo potere per prevenire la commissione delle condotte genocidarie di cui all’art. II, in particolare: l’uccisione di membri del gruppo, il causare lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo, la sottoposizione deliberata del gruppo a condizioni di vita intese a provocarne la distruzione fisica, l’adozione di misure miranti a impedire le nascite all’interno del gruppo; che si assicuri che nel suo territorio l’esercito, così come anche le unità armate irregolari e tutte le altre organizzazioni sotto controllo dello Stato, non commettano atti di genocidio e nessuna delle altre condotte punibili ai sensi dell’art. III; che adotti misure effettive per prevenire la distruzione di qualsiasi prova, contestualmente garantendone la conservazione; ed infine che provveda alla redazione di report entro il termine di quattro mesi, e successivamente ogni sei mesi, per valutare l’adempimento alle misure provvisorie indicate dalla Corte.

Il caso Gambia c. Myanmar: obiezioni preliminari e giurisdizione della Corte

Con un giudizio più recente datato luglio 2022, la Corte si trova a valutare l’ammissibilità delle obiezioni preliminari avanzate dallo Stato convenuto. Riprendendo in parte le valutazioni fatte nel precedente giudizio, la Corte rifiuta le quattro obiezioni preliminari del Myanmar e riconosce la sua giurisdizione sulla base dell’art. IX della Convenzione sul genocidio, di conseguenza ammettendo la sua competenza a pronunciarsi nel merito[7]Nonostante per il Gambia sarà difficile presentare prove che attestino il dolo del Myanmar, l’azione assume rilievo e costituisce un esempio per ciascuno Stato parte alla Convenzione. Infatti, dal momento che, ai sensi dell’art. IX, ciascuna Parte è legittimata a sottoporre alla Corte qualsiasi controversia sorta con un’altra parte contraente, purché nessuna delle due abbia apposto riserva all’art. IX, ciascuno Stato parte ha la facoltà di avviare un procedimento di fronte alla Corte volto all’accertamento del genocidio.
Relativamente al presunto genocidio dei Rohingya, all’azione del Gambia si deve il merito di aver sottoposto all’attenzione dei giudici dell’Aia un caso di presunto genocidio e, pur qualora tale crimine non verrà qualificato come genocidio nei giudizi finali, l’iniziativa dello Stato ricorrente ha comunque avuto come primo esito l’adozione di misure provvisorie vincolanti nei confronti del Myanmar.

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Conclusioni

In relazione a fatti ben più recenti, si vuole citare in questa sede anche l’iniziativa del Sudafrica il quale nel dicembre 2023 ha citato in giudizio lo Stato di Israele dinnanzi la Corte internazionale di giustizia per presunte violazioni degli obblighi sanciti nella Convenzione sul genocidio nei territori occupati della striscia di Gaza. Con una pronuncia del 26 gennaio 2024, la Corte emette un’ordinanza di misure provvisorie ai sensi delle quali Israele è tenuto ad adottare tutte le misure in suo potere per prevenire gli atti di genocidio; punire l’incitamento diretto e pubblico a commetterlo; consentire il passaggio di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza e, ovviamente, impedire al suo esercito la commissione degli atti costituenti genocidio. La Corte tuttavia non ordina ad Israele di interrompere i combattimenti, né tantomeno impone un cessate il fuoco come richiesto dal Sudafrica. 

Dal momento che la facoltà di sottoporre una controversia alla Corte è aperta a tutti gli Stati parte, le iniziative qui esposte assumono notevole importanza perché sottolineano l’esistenza di uno strumento per combattere la violazione di un obbligo erga omnes – il divieto di commettere genocidio – che, in quanto tale, lascia spazio all’iniziativa di ogni Stato, anche di quelli non direttamente coinvolti nella controversia [8].


Note

[1] Il Gambia chiede alla Corte di accertare che il Myanmar abbia violato gli obblighi di prevenzione e repressione del genocidio (art. I), che abbia commesso genocidio o uno degli altri atti punibili (art. III), che non abbia provveduto alla punizione dei perpetratori del crimine, sia che essi rivestano la qualità di funzionari pubblici, sia che siano individui privati (art. IV), che non abbia adeguatamente legiferato per dare attuazione alle disposizioni della Convenzione (art. V), che non abbia provveduto a far processare dai propri tribunali interni le persone accusate di genocidio o di uno degli altri atti punibili ai sensi dell’art. III (art. VI).
[2] Cfr. L. Acconciamessa e F. Sironi De Gregorio, Genocidio dei Rohingya? Sulle misure cautelari della Corte internazionale di giustizia nel caso Gambia c. Myanmar, in SIDIBlog, 2020. http://www.sidiblog.org/2020/02/13/genocidio-dei-rohingya-sulle-misure-cautelari-della-corte-internazionale-di-giustizia-nel-caso-gambia-c-myanmar/
[3] Stando alla giurisprudenza della Corte e dei tribunali militari dell’ex-Jugoslavia e del Ruanda, i due elementi, la perpetrazione dell’hate speech e la sistematicità degli stupri, possono contribuire alla prova dell’intento specifico del genocidio, necessario per l’accertamento del crimine.
[4] L’art. 36, par. 1 sancisce che “la competenza della Corte si estende a tutti gli affari che le parti le sottoporranno, come pure a tutti i casi specialmente previsti nella Carta delle Nazioni Unite e nei trattati e nelle convenzioni in vigore”.
[5] Cfr. ICJ, Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide, Gambia v. Myanmar, Order of 23 January 2020, Provisional measures, par. 35.
[6] Cfr. L. Acconciamessa e F. Sironi De Gregorio, Genocidio dei Rohingya? Sulle misure cautelari della Corte internazionale di giustizia nel caso Gambia c. Myanmar, in SIDIBlog. I presupposti per l’adozione di misure cautelari sono la plausibilità dell’esistenza del diritto di cui si chiede la protezione; la sussistenza di un nesso tra tale diritto e le misure richieste; il rischio di un pregiudizio irreparabile e l’urgenza di adottare misure provvisorie di protezione.
[7] Cfr. ICJ, Application of the Convention on the Prevention and Punishment of the Crime of Genocide, Gambia v. Myanmar, Preliminary Objections, 22 July 2022.
[8] Cfr. A. Pietrobon, State Negationism and the Rule of Law cit., p. 176.


Foto copertina: La consigliera di Stato del Myanmar Aung San Suu Kyi osserva il ministro della Giustizia gambiano Abubacarr Tambadou comparire davanti alla Corte internazionale di giustizia il 10 dicembre 2019, L’Aia (Foto: foto di Koen Van Weel/AFP/Getty)