Le elezioni del 9 novembre sono state vinte da Luis Arce Catacora, ex Ministro delle Finanze e “delfino” dell’ex Presidente Evo Morales.
Acclamato e festoso il ritorno di Evo Morales nella sua terra d’origine e di gloria, questo 9 novembre. L’esilio, che durava da un anno, è stato interrotto, inaspettatamente, dai risultati delle ultime elezioni presidenziali che sembrano presagire una nuova stabilità per la politica boliviana, ma le incertezze e le sfide di un ritorno al passato non mancano. Infatti, le elezioni sono state vinte da Luiz Arce Catacora, ex Ministro delle Finanze e collaboratore di Morales durante la quasi totalità dei 14 anni di governo socialista, e il suo vice, David Choquehuanca. Il 52,4% dei suffragi a favore dei leader del MAS (Movimiento al Socialismo) hanno riportato Morales dall’Argentina mentre, con il 31%, il centro-sinistra di Carlos Mesa, aveva già ammesso la sconfitta prima dell’ufficializzazione dei risultati.
I candidati alla presidenza boliviana erano otto, tra cui Luis Arce, Carlos Mesa, alla guida di Comunidad Ciudadana, e la Presidente ad interim (autoproclamatasi tale senza numero legale in Parlamento) Jeanine Áñez, esponente del partito conservatore Movimiento Demócrata Social. Tuttavia, ad un mese dalle elezioni, la leader, appoggiata dalla maggioranza dei paesi occidentali, ha rinunciato a correre alle elezioni per favorire il candidato centrista, che, stando ai sondaggi era dietro a Morales e necessitava di una spinta elettorale in più per riportare democrazia e stabilità in Bolivia. Infatti, Jeanine Añez, ha fatto spesso riferimento alla necessità di unirsi e coalizzarsi per riportare la democrazia nel paese e abbattere una volta per tutte l’ondata di autoritarismo percepita, preferendo uscire dal gioco elettorale[1]. Per comprendere le tensioni politiche, è utile risalire, inoltre, al 23 settembre, quando Añez aveva denunciato il comportamento dei leader argentini, presentato come connivente alla dittatoriale subalternità delle altre istituzioni politiche rispetto al leader indigeno nonché cospiratrice contro la democrazia boliviana, data la concessione dell’asilo politico al presidente socialista. Un dibattito si è aperto in seguito alla risposta di Buenos Aires, che ha denunciato lo sforzo di coinvolgere l’Argentina nella campagna elettorale in corso, ma ha avuto certamente poca risonanza in Occidente[2].
La correlazione fra il governo Morales e le caratteristiche di un governo dittatoriale sono preponderanti nelle descrizioni che circolano sui media occidentali. Nell’autunno 2019, quando il governo socialista fu caduto ed il suo primo ministro si ebbe dimesso, egli trovò asilo prima in Messico e poi in Argentina, il suo posto alla guida del paese fu occupato proprio dalla sfidante di opposizione pro-democrazia che aveva guidato la contestazione dei risultati elettorali. Ad inasprire la controversia, era stata anche la ambigua decisione del Tribunal Supremo Electoral di concedere de facto a Morales la possibilità di correre per un terzo mandato consecutivo. Tuttavia, in occidente si è potuto ricevere poca informazione precisa su come il governo Morales fosse caduto, ovvero grazie alla partecipazione delle maggiori potenze liberali, prima fra tutte gli Stati Uniti, che si sono associate al clima di contestazione, denunciando le ambizioni della sinistra boliviana di Morales, rappresentandola come autoritaria e pericolosa. E’ dubbio tuttavia, che si tratti di un vero e proprio colpo di stato. Il New York Times ha parlato di golpe unicamente quando si riportava il frutto della percezione dello stesso presidente esiliato, descrivendolo come un despota che aveva ormai perso la presa sulla guida dello stato[3]. Così, il NYT e canali quali Cnn o Cbs News hanno incentrato il report degli eventi sulle accuse di frode elettorale, nell’ultimo caso presentate quali ineluttabili componenti del personalismo del presidente indigeno, matrice di un comportamento politico autoritario[4], in opposizione alla libertà del popolo boliviano, di maggioranza indigena. Il leader, inoltre, era stato osteggiato persino dai leader delle sinistre europee, finanche Bernie Sanders.
In sostanza, la maggior parte dei mezzi di informazione hanno supportato la tesi dell’Organizzazione degli Stati Americani (finanziata dal governo degli Stati Uniti e con sede a Washington) circa l’invalidità delle elezioni presidenziali del 20 ottobre 2019 considerata la presunta e mai accertata manipolazione da parte del leader socialista nel tentativo di garantirsi un distacco di almeno 10 punti percentuali dal secondo arrivato.
Questa convinzione ha fatto scoppiare proteste e manifestazioni popolari antigovernative in tutto il paese. Esse risultavano inasprirsi sempre più: i manifestanti hanno persino rapito e torturato diversi deputati, dirigenti e amministratori del partito di Morales, incendiato le loro case (compresa quella dello stesso Morales) e si sono scontrati con la polizia. Dopo settimane, i militari, appoggiati dagli Stati Uniti, avevano suggerito alla più preminente figura dello stato di dimettersi (nonostante l’indizione di nuove elezioni), consiglio seguito anche da vicepresidenti e presidenti di Camera e Senato. Il bilancio è di tre manifestanti morti, decine di feriti, un governo caduto ed il suo storico leader esiliato e rimpiazzato: che forma danno, quindi, le ultime elezioni a questo ricordo?
Nessun golpe. Dunque, come spiegare la vittoria del MAS?
I meriti del governo Morales sono indubbi circa lo sviluppo socio-economico del paese, grazie ad una sensibile riduzione delle disuguaglianze ed una crescita economica in calo solo a partire dal 2014, quando il prezzo delle materie prime è sceso notevolmente ed il debito pubblico sul PIL è tornato ad aumentare. Nonostante ciò, al 2018 l’indice Gini sulle disuguaglianze era di un terzo inferiore rispetto al 2005[5], l’anno prima che si insediasse il governo dell’ex sindacalista indio. Questo risultato è da attribuire alle politiche di welfare e sostegno alla maternità, all’istruzione, alle pensioni ed al lavoro grazie all’operato delle agenzie pubbliche disegnato proprio da Arce. Infatti, notevoli successi sono stati raggiunti nell’ambito della riduzione della mortalità infantile, abbandono scolastico e povertà fra gli anziani. Un’altra priorità per il governo Morales fu anche quello delle infrastrutture comunicative e dei trasporti, sensibilmente cresciuti in qualità e che contribuiscono al prodotto interno lordo del 10,6% (2019)[6].
A determinare il trend positivo dell’economia nazionale sono stati i prezzi di beni esportati ed il valore dei flussi commerciali con il mondo (in primis prodotti metallurgici e risorse minerarie come argento, zinco e gas), che hanno contribuire a rendere la Bolivia uno dei paesi con i tassi di crescita più elevati della regione. Nel 2013 si registrava un aumento del 6,8%, sceso, tuttavia, di due punti percentuali nel 2016[7].
I successi economici sono stati oggetto di elogi anche da parte del Fondo Monetario Internazionale, ed il socialismo del XXI secolo sembra fare promesse a cui la società boliviana, nonostante la grande instabilità politica, manifestatasi con tentati golpe anche durante i 14 anni della presidenza Morales, non sembra voler rinunciare. D’altra parte, sarebbe fuorviante non considerare il passato del paese, caratterizzato, sin dalla rivoluzione del 1952, da un’alternanza sistematica fra governi di sinistra radicale, guidati o dal Movimientio Nacionalista Revolucionario, o dal Movimiento de Izquierda Revolucionaria, e conseguenti golpe della giunta militare. Pertanto, la storia riflette un equilibrio costantemente in bilico fra la cultura comunitaria e socialista attenta alle disuguaglianze ed alle minoranze ma ad oggi divisa fra molte istanze ed istituti partitici, ed un utilizzo della forza e del potere militare come arma di conquista della stabilità. La popolazione boliviana conosce e apprezza ancor di più il valore della rappresentanza politica, il che rende probabile un fiammante clima di scontentezza e frustrazione in ogni circostanza elettorale in cui il vantaggio del primo in lista sarà esiguo.
Le proteste ed il malcontento sono latenti. Lo scorso 6 novembre, davanti alla sede del partito socialista boliviano a La Paz, un gruppo di dissenzienti ha lanciato della dinamite nel tentativo di ferire i funzionari presenti e lo stesso neopresidente. Siamo lontani dal prevedere stabilità ed unità socio-politica anche se le intenzioni democratiche di Arce, in rottura parziale rispetto al precedente governo legittimamente costituito ( come dimostra il mancato invito alle celebrazioni per l’insediamento dell’ex leader socialista da parte del suo “delfino” ) raccolgono una grande carica propulsiva e costruttiva, nonché rigeneratrice, volta a rendere lo stato multietnico boliviano più unito e coeso nella duplice prospettiva di consolidare un benessere diffuso ed indiscriminato e perpetuare una necessaria credibilità internazionale.
La sfida ai più acclamati precetti economici liberisti sembra porsi in secondo piano rispetto a quella posta dalla frammentazione del sistema di connivenza tra società e politica. Tuttavia, la maggioranza boliviana sembra accettare, questa volta senza dubbio circa gli effetti della gestione degli strumenti di formalità democratica, che il secondo aspetto del sistema si risolva con il primo strumento, quello ideologico: sviluppo economico e promozione dell’uguaglianza, dunque, convinceranno davvero tutti?
Note
[1] https://www.geopolitica.info/bolivia-un-ritorno-al-passato/
[2] https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2020/09/24/onu-bolivia-attacca-argentina-per-asilo-di-morales_a2f39d8c-432a-404d-b24a-00344d14c55d.html
[3] https://www.nytimes.com/2019/11/10/world/americas/evo-morales-bolivia.html
[4]https://www.youtube.com/watch?v=_ShBju8Ubhc
[5] https://ilmanifesto.it/luis-arce-tutti-i-surplus-di-un-modello-economico-vincente/
[6]https://estadisticas.cepal.org/cepalstat/Perfil_Nacional_Economico.html?pais=BOL&idioma=english
[7]http://www.infomercatiesteri.it/bilancia_commerciale.php?id_paesi=37
Foto copertina: