Il cammino della Serbia verso l’Unione Europea non è mai stato così travagliato come negli ultimi anni. In questa prospettiva, le nuove tensioni con il Kosovo, il rapporto strategico con la Russia e il rifiuto di allinearsi alle sanzioni occidentali contro Mosca per l’invasione dell’Ucraina hanno contribuito ad aumentare le tensioni diplomatiche con Bruxelles, che sembra ancora una volta utilizzare un doppio standard in numerosi contesti. Per avere un quadro completo della situazione, Opinio Juris ha discusso di questi temi con una rappresentanza diplomatica della Repubblica di Serbia in Europa.
Da alcuni anni, la Serbia ha assunto lo status di Paese candidato UE, e questo inevitabilmente influisce sia sulle relazioni diplomatiche con le capitali europee, sia sull’orientamento della nazione in politica estera.
In particolare, trovarsi nei cosiddetti “Balcani occidentali” – concetto ideato dall’Unione Europea alla fine degli anni ’90 – ha un forte significato geopolitico a livello regionale in virtù del retroterra storico della Serbia, che fu prima Repubblica socialista all’interno della Repubblica Federale di Jugoslavia e poi teatro di una delle guerre più sanguinose degli ultimi decenni. Al momento, l’accesso all’Unione Europea risulta essere una priorità per la Serbia nonostante le difficoltà poste dalla guerra in Ucraina.
Tuttavia, la questione non è stata posta in cima alle priorità nazionali per diversi anni fino al 2013, quando la Croazia è stata l’ultimo Paese ad accedere all’UE. Nonostante ciò, il contesto geopolitico internazionale sta indubbiamente giocando un ruolo importante nel modo in cui vengono condotti i colloqui bilaterali con le Istituzioni europee, soprattutto in termini di contesto e priorità da entrambe le parti.
Secondo la Serbia, l’integrazione all’interno dell’Unione Europea gioverebbe al Paese più del mantenimento dell’attuale status quo.
Ciò è particolarmente vero dal punto di vista economico, dal momento che la Serbia e l’UE sono già interconnesse e la maggior parte degli investimenti esteri diretti proviene da Stati membri europei. In questo senso, i cittadini serbi avrebbero inoltre il vantaggio della libertà di movimento, che è un aspetto molto attraente anche per gli studenti che aspirano alle università europee. D’altro canto, la Serbia – che ritiene che l’UE non possa considerarsi completata senza i Balcani occidentali – contribuirebbe indubbiamente al valore della diversità, particolarmente caro all’Unione Europea.
La Serbia verso l’UE: utopia o realtà?
Entrare a far parte della famiglia europea rappresenta chiaramente un obiettivo strategico per Belgrado, che sotto questo aspetto non nasconde speranze di una maggiore integrazione dell’intera regione dei Balcani occidentali.
A differenza di 20 anni fa, infatti, il dialogo politico è aumentato anche rispetto ai singoli Paesi europei ed è ora stabile, con l’obiettivo di costruire relazioni che siano utili per una possibile adesione all’UE nei prossimi anni.
In questo senso, sono molti i Paesi che attualmente sostengono l’adesione della Serbia, a partire dall’Italia, che anch’essa da tempo auspica una maggiore integrazione dei Balcani occidentali.
L’Italia, infatti, non solo è un vicino per la Serbia, ma è da sempre impegnata nella regione sia politicamente che in termini di investimenti economici. Analogamente, la stessa posizione è adottata dai cosiddetti “nuovi Stati membri”, intendendosi quei Paesi che hanno aderito all’Unione Europea dal 2004 (in particolare Grecia, Spagna e Portogallo). Ciò è principalmente attribuibile al fatto che hanno sperimentato in precedenza il processo di integrazione e i suoi benefici. Ciononostante, tra gli Stati membri dell’UE sono presenti anche Paesi meno entusiasti. Lo scetticismo è concentrato in particolare nella parte centrale e settentrionale dell’Europa, compresi Paesi Bassi, Belgio, Danimarca e Francia.
In quest’ultimo caso, la Francia è nota per la sua titubanza verso l’allargamento, e anche la Svezia – che al contrario adotta generalmente un atteggiamento di supporto nei confronti dei Paesi candidati – ha espresso qualche preoccupazione per la richiesta serba di adesione, preferendo puntare sulla coesione politica piuttosto che sull’espansione.
Allo stesso tempo, non ci sono dubbi sulle sfide che la Serbia dovrebbe affrontare nell’eventualità dell’integrazione del Paese nell’UE.
I criteri di adesione, ad esempio, stanno diventando sempre più un fattore determinante. Rispetto a due decenni fa, c’erano Paesi in procinto di aderire all’UE che avevano elenchi chiari di condizioni da soddisfare per ottenere l’adesione. Già in quel caso, era evidente che per alcuni (soprattutto Bulgaria e Romania) l’adeguamento alle richieste dell’UE richiedeva uno sforzo maggiore rispetto ad altri che hanno aderito nel 2004 e successivamente nel 2013. Il problema è che la Serbia non sa più dove sia il punto di arrivo. Oltre ai criteri richiesti, infatti, si sono presentate una serie di nuove problematiche, e la continua aggiunta di nuove condizioni è diventata particolarmente difficile da gestire.
La Serbia chiede quindi certezze sul punto di arrivo, pur essendo del tutto realistica e consapevole dei cambiamenti in atto nello scenario geopolitico globale.
La Russia oltre la dipendenza energetica
Dal punto di vista della Serbia, il rapporto con la Russia è una questione di interesse nazionale. A dispetto di quanto “emotivamente” è di credenza comune, Belgrado pone i suoi rapporti con Mosca in modo molto razionale, soprattutto per quanto riguarda la questione energetica. Infatti, le importazioni di gas dalla Russia ammontano a circa il 96% delle importazioni totali, il che chiaramente rende la Serbia interamente dipendente dalle risorse della Russia. Tuttavia, ciò non significa che non si stiano compiendo sforzi per diversificare gli approvvigionamenti energetici: uno dei principali progetti in tal senso è infatti l’implementazione dell’interconnessione del gas con la Bulgaria, che sarà completata entro ottobre 2023. Allo stesso modo, è stata realizzata una partnership ancora più forte con l’Azerbaijan vista la rilevanza del Paese per il mercato europeo dopo la guerra in Ucraina. Un ottimo rapporto con l’Azerbaigian a tutti i livelli era in essere anche prima del 24 febbraio 2022, ma dopo lo scoppio del conflitto la partnership con Baku è stata implementata anche sul fronte del gas e dell’elettricità. Resta vero, tuttavia, che pur tentando di diversificare le importazioni di energia, la Serbia rimane ancora fortemente dipendente dal gas russo. In questo contesto, la questione del Kosovo rappresenta un’ulteriore questione rilevante per comprendere le relazioni serbo-russe. In effetti, la Russia ha sostenuto la Serbia in modo netto quando si tratta del Kosovo, e allo stesso modo rimane uno dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che per Belgrado è il principale forum in cui difendere la propria posizione nazionale nel dossier Pristina. Alla luce di questi aspetti sono da comprendere le emozioni dei cittadini serbi che sostengono la posizione del Paese nei confronti della Russia. Per quanto riguarda l’Unione Europea, la delegazione serba incaricata dei negoziati di integrazione non ha mai nascosto tale posizione nei confronti della Russia, che chiaramente ha avuto un forte impatto sull’intera discussione sull’allargamento. Tuttavia, se da un lato la dipendenza energetica può apparire meno rilevante ai fini dell’integrazione europea, dall’altro va sicuramente presa in considerazione una maggiore comprensione della sensibilità serba verso la questione del Kosovo. In questo, le aspettative della Serbia nei confronti dell’UE riguardano principalmente un maggiore impegno come partner tradizionale della nazione e la speranza di trovare soluzioni concrete ai fini della pace e della stabilità nella regione. Paradossalmente, la Serbia sta ricevendo molto più sostegno dagli Stati Uniti, che ovviamente sono coinvolti nel processo, ma che comprendono la situazione in modo più ampio.
La guerra in Ucraina e l’enigma delle sanzioni
Fino allo scoppio della guerra in Ucraina, tra le condizioni per l’accesso all’Unione Europea c’era anche la necessità che la Serbia cominciasse a schierarsi sempre di più e ad allinearsi agli obiettivi di politica estera dell’Unione Europea. Tuttavia, attualmente questa tendenza è ancora più forte. L’Unione Europea ha chiesto apertamente alla Serbia di prendere una posizione, il che apre nuovi problemi nella comprensione del partner con cui Bruxelles ha a che fare. In effetti, per la Serbia non si tratta di scegliere da che parte stare, poiché il Paese ha espresso il desiderio di entrare a far parte dell’UE ed è perfettamente consapevole di ciò che comporta tale scelta. Un chiaro esempio è la guerra in Ucraina: la Serbia ha chiaramente condannato l’aggressione, la violazione del diritto internazionale e la violazione dell’integrità territoriale di Kiev; nessun referendum nei territori occupati è stato riconosciuto e sono stati inviati aiuti umanitari all’Ucraina. La Serbia ha però deciso di non allinearsi alle sanzioni non solo in virtù del rapporto con la Russia, ma anche perché il Paese ha ben chiaro cosa vuol dire essere sanzionato. L’UE e gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni alla Serbia per più di 10 anni, e l’impatto sulla popolazione è altrettanto ben noto, così come è noto il fatto che le sanzioni colpiscono difficilmente quelle personalità di alto livello che dovrebbero essere colpite. In generale, per la Serbia le sanzioni non sono intese come strumento efficace. Tuttavia, l’allineamento alle sanzioni europee è un’ulteriore condizione che è stata aggiunta da Bruxelles e che non era nel processo di negoziazione della Serbia. Pertanto, non rappresentava un elemento da discutere in questa fase di adesione. La realtà è che la Serbia non andrà avanti nell’integrazione fino a quando non cambierà la sua posizione riguardo alle sanzioni.
Nuove tensioni con il Kosovo
Un discorso simile si può essere esteso alla questione del Kosovo. In questa prospettiva, la Serbia ammira il fatto che il mondo intero stia proteggendo l’integrità territoriale dell’Ucraina, ma nel Paese si alimenta la frustrazione dei cittadini, poiché si è mostrato chiaramente come l’integrità territoriale di Belgrado non sia stata presa a cuore allo stesso modo di quella ucraina. Per la Serbia il Kosovo è la questione nazionale del rispetto del diritto internazionale e dell’integrità territoriale. La situazione resta dunque particolarmente complicata: a livello dell’UE, solo cinque Paesi non hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, e molto spesso la Serbia ha la sensazione che la posizione dell’Unione Europea non sia così neutrale come dovrebbe. Ciò influisce anche sui sentimenti della popolazione nei confronti dell’UE e sulla svolta emotiva verso la Russia, che d’altra parte è generalmente favorevole alla Serbia.
La politica estera serba in un mondo multipolare
Sebbene la Serbia sia consapevole che il mondo è notevolmente cambiato negli ultimi anni, è diffusa la convinzione che anche un piccolo Paese come la Serbia possa intrattenere buoni rapporti con le grandi potenze evitando di restare bloccato solo nel proprio continente.
In questo senso, non è un segreto che l’UE sia stata a lungo troppo eurocentrica secondo Belgrado: un chiaro esempio è l’aspettativa di Bruxelles che tutti i Paesi si sarebbero indiscutibilmente allineati alle sanzioni contro la Russia per l’invasione dell’Ucraina.
Ciò è stato percepito senza particolare stupore dalla Serbia, che sta cercando di evitare la costruzione di una mera presenza regionale in favore di relazioni più aperte con tutte le potenze che dominano il nascente contesto internazionale multipolare.
Per molti anni, la politica estera della Serbia è stata progettata in modo tale che l’obiettivo strategico primario rimanesse l’UE. Tuttavia, ciò non significa che il Paese non possa costruire buoni rapporti con i Paesi dell’America Latina, dell’Africa o dell’Asia, molti dei quali sono tradizionali alleati di Belgrado. Il mondo, infatti, non funziona solo nel modo in cui intendeva l’Europa: in questo, l’Ucraina è un enorme campanello d’allarme per l’Europa.
La crisi dei rifugiati e la rotta balcanica
Dal 2015, la crisi dei rifugiati rappresenta una grande sfida non solo per i Paesi europei, bensì anche per la Serbia. Il Paese fa infatti parte della cosiddetta rotta dei Balcani Occidentali, con milioni di persone in transito sul suo territorio di cui solo poche migliaia hanno deciso di restare. Durante la prima ondata della crisi nel 2015-2016, l’Unione Europea ha istituito un meccanismo di coordinamento con i Paesi della sponda dei Balcani occidentali, indipendentemente dal fatto che la Serbia non faccia parte dell’Unione Europea. Anche la Macedonia del Nord così come l’Albania e la Bosnia sono parte di tale meccanismo, anche se non avevano neanche lontanamente il numero di migranti in transito della Serbia. Ciò si è rivelato estremamente vantaggioso per la Serbia in quanto ha rafforzato la sua cooperazione con FRONTEX, che è dispiegata al confine con gli Stati membri dell’UE, e attualmente è stata negoziata un’estensione dell’accordo che consentirà a FRONTEX di essere schierata anche al confine con Stati non membri dell’UE – in particolare Bosnia e Macedonia del Nord. In questo contesto, uno dei principali inconvenienti per la Serbia è il rifiuto dell’accesso alla banca dati EURODAC nonostante le molteplici richieste. Nella prospettiva della Serbia, ciò avrebbe consentito una più ampia condivisione dei dati di registrazione delle migrazioni nel Paese con l’UE, nonché la possibile creazione di un database comune
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Una nuova luna di miele con gli Stati Uniti?
Le relazioni con gli Stati Uniti rappresentano un ulteriore elemento chiave per comprendere l’approccio della Serbia in politica estera. Washington e Belgrado hanno sempre avuto un ottimo dialogo, con l’eccezione del periodo 1990 – 2000. Concentrandosi sulle due guerre mondiali, ad esempio, un episodio in particolare è esemplificativo: dopo la prima guerra mondiale, il Presidente W. Wilson tenne un discorso al Congresso sugli alleati nel continente europeo sottolineando il ruolo essenziale della Serbia, e in onore dei loro legami fu fatta sventolare la bandiera serba. Ciò è particolarmente indicativo poiché solo in altre poche occasioni una bandiera straniera è stata fatta sventolare nel Congresso degli Stati Uniti. Anche dopo la seconda guerra mondiale, la Serbia e gli Stati Uniti riuscirono a mantenere buoni rapporti nonostante la Serbia fosse inclusa nella sfera comunista. Tuttavia, il conflitto nell’ex Jugoslavia durante gli anni ’90 e i successivi eventi in Kosovo hanno cambiato la situazione. È solo da alcuni anni che la Serbia sta assistendo al rinvigorimento delle relazioni bilaterali con gli Stati Uniti, che viene percepito in maniera molto positiva anche in virtù di un costruttivo re-impegno nella regione e in Kosovo. Ciò sembra rappresentare un trend positivo anche in onorare dei buoni rapporti che Belgrado ha avuto con Washington fino agli anni Novanta, e in questo senso la diplomazia ha giocato un ruolo chiave. L’attuale ambasciatore statunitense a Belgrado, infatti, è estremamente esperto della regione dei Balcani occidentali, il che (dopo alcune missioni diplomatiche più burocratiche) è stato particolarmente apprezzato dalla Serbia.
Foto copertina: Il conflitto in Ucraina e la questione Kosovo allontanano la Serbia dall’UE