La guerra difensiva


L’orrore non può diventare normalità


A cura di Beatrice Alba

L’Italia ripudia la guerra

La risposta dell’Assemblea Costituente alle esperienze belliche della prima e della seconda guerra mondiale fu l’opposizione ai conflitti armati e, così, “l’Italia ripudia la guerra” sono le parole di apertura dell’articolo 11 della Costituzione.
La condanna morale, la rottura netta con il passato risiedono in quel verbo, “ripudia”.
Rinuncia, rifiuta, ricusa avrebbero potuto usare. E invece scelsero scientemente un termine che descrivesse icasticamente le loro intenzioni.
Come ricordò il Presidente della Commissione del 1975, Ruini, con tale espressione si vollero sintetizzare due aspetti della scelta costituente: sia quello della rinunzia alla guerra che quello della condanna ad essa. Il testo che ispirò il linguaggio utilizzato fu quello del patto Briand-Kellogg del 1928, meglio noto come patto di Parigi, che mirava a bandire il conflitto bellico per risolvere le dispute tra stati. “Tacciano le armi” è il grido che venne impresso sulla carta nel 1948, lo stesso grido possente di Papa Francesco negli ultimi giorni. La pace è un valore costituzionale, elemento di riferimento per la politica nazionale.
Il termine “guerra” – infelicemente consueto da un mese a questa parte – indispone, irrita ed evoca le immagini orribili, a tratti insopportabili, che scorrono senza posa dinanzi ai nostri occhi e i racconti indigeribili dei giornalisti che, con il giubbotto antiproiettile, il caschetto nero con la scritta “PRESS” e il microfono in mano ci descrivono la vita nei rifugi anti-bomba, ci narrano le notti delle persone che hanno iniziato ad assumere psicofarmaci per riuscire a dormire nonostante il rumore delle bombe in sottofondo, ci parlano degli aerei che volano sempre più in basso, dei palazzi che crollano come fossero fatti di cartapesta, delle persone che bruciano i mobili di casa per non morire di freddo e rompono le valvole dei termosifoni per non morire di sete, delle strade intasate di gente che tenta disperatamente di uscire dai confini per fuggire dal Paese che sta vivendo la situazione che, dopo la seconda guerra mondiale, nessuno pensava si sarebbe più ripetuta. Perché si dice che la storia insegna, ma, forse, non è vero.
La guerra è negazione del diritto, sostengono alcuni[1].
La guerra è incontrollata e incontrollabile dal diritto come un terremoto o come una tempesta, è l’antitesi del diritto, dicono altri[2]. Perché il diritto, come ha sempre affermato Hans Kelsen, non è altro che uno strumento per il mantenimento della pace[3].
Martedì 22 marzo 2022, giornata storica per l’intervento del Presidente ucraino Volodymyr Zelenskyy al Parlamento italiano, la Presidente del Senato ha parlato della diplomazia come “unica via di uscita dal conflitto”. Ed è proprio questo ciò che l’articolo 11 della Costituzione, ripudiando la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, impone. Prescrive la ricerca, che a volte può rivelarsi disperata, di una via alternativa al conflitto armato. Rottura di relazioni diplomatiche, sanzioni economiche, tutto fuorché le bombe.
Ma, al contempo, ammette come mezzo di difesa ciò che rifiuta come strumento di offesa. Il testo non può essere associato al ripudio assoluto della guerra, ma merita un’analisi più accurata, minuziosa.
Da uno studio complessivo del testo costituzionale e, in particolare, delle previsioni contenute negli articoli 78 e 89 si comprende che la guerra ripudiata non è la guerra tout court bensì quella intesa come “strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. Gli articoli sopra citati prevedono le procedure costituzionali relative alla delibera e alla dichiarazione dello stato di guerra. Consentono la legittima difesa, richiamando l’esigenza di tutelare i diritti umani da gravi violazioni come giusta causa di un conflitto armato.
Secondo parte della dottrina, l’articolo 11 non dispone in merito alla cd. guerra difensiva la cui necessità, pertanto, dovrebbe essere valutata di volta in volta in base alle norme dettate dal diritto internazionale e dalle Nazioni Unite[4].
Se la Costituzione sancisse il rifiuto totale della guerra, l’Italia non avrebbe potuto aderire ad alcuna alleanza che contemplasse la difesa collettiva, come la NATO e l’Unione europea. E, invece, il 4 aprile del 1949 il nostro Paese aderì alla NATO e il 25 marzo del 1957 fece ingresso nell’UE.
In questo periodo ci si interroga spesso su un possibile intervento attivo delle forze della NATO e dell’UE che potrebbe coinvolgere anche l’Italia. Ci si chiede se l’articolo 11 della Costituzione lo consentirebbe, che cosa accadrebbe nel caso in cui quest’ipotesi si tramutasse in realtà.
L’Italia non può dichiarare una guerra, non può risolvere le controversie internazionali tramite la guerra. Però l’Italia può entrare in guerra.  D’altronde, è già successo in passato che il nostro Paese prestasse assistenza agli alleati in Medio Oriente e nei Balcani.
È facoltà dell’Italia partecipare a guerre proclamate e già avviate da altri Stati, così come è in suo potere indire una guerra difensiva.
Essendo parte della NATO e dell’UE, essa ha il dovere di intervenire per difendere i propri alleati.
La difesa della patria è stata disciplinata nell’articolo 52 della Costituzione come dovere giuridico e “sacro”. Tale ultimo termine deve intendersi come rafforzativo dell’importanza del dovere, privo di alcuna connotazione religiosa. Di conseguenza, la guerra di difesa è in linea con quanto affermato nella norma appena citata e con quanto sancito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, che garantisce il diritto di autotutela individuale e collettiva “nel caso in cui abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite”.
Assentire alla guerra di difesa consente all’Italia di difendersi dall’aggressione di un nemico e di difendere un proprio alleato con la guerra.

Il principio di giustizia universale e i cd. controlimiti

L’articolo 11 della Costituzione italiana sancisce il principio di giustizia universale, in ottemperanza al quale il nostro ordinamento condiziona le proprie azioni ad obblighi assunti a livello internazionale, purché ciò sia fatto anche dagli altri Stati.
L’obiettivo di tale scelta è assicurare “la pace e la giustizia fra le Nazioni”[5].
Le restrizioni possono riguardare l’attività normativa, quella giurisdizionale e quella amministrativa e, così, ove vi siano specifici trattati in merito, i cittadini potrebbero venire sottoposti, oltre che all’Autorità nazionale, anche a quella straniera. Quando si discorre dell’articolo 11 entra in gioco l’ammissione dell’Italia all’Unione europea, perché è proprio questa norma che consente tale adesione.
Per evitare accuratamente i rischi che si celano dietro tale principio, la Corte Costituzionale, dopo un lungo e tortuoso cammino, ha elaborato i cd. controlimiti, volti a salvaguardare i principi fondamentali dell’assetto costituzionale dinnanzi a possibili aggressioni da parte di norme europee direttamente applicabili.  Alla luce dell’articolo 117 della Costituzione, così come riformato nel 2001, infatti, è pacifico il primato delle fonti europee sugli atti aventi forza di legge. Qualora le prime si ponessero in conflitto con il “nucleo duro” della Costituzione, nel quale sono racchiuse le basi dell’ordinamento giuridico, le Autorità dovrebbero disapplicare la norma straniera al fine di assicurare l’intangibilità dei principi supremi e dei diritti fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano.
C’è una differenza sottile, una sfumatura essenziale tra l’assicurare la giustizia tra le Nazioni e il garantire la sicurezza internazionale. Perché quest’ultima sia davvero assicurata, a volte si rende necessaria l’attività preventiva. Ed è per questo che alcuni sostengono che la limitazione di sovranità da parte dell’Italia in favore di alcuni organismi internazionali non corrisponda perfettamente al dettato costituzionale.

La guerra difensiva

Tacendo qualsiasi riferimento alla guerra di difesa, l’articolo 11 la ammette, la tollera. Consente a colui che è aggredito da un altro che ha la chiara intenzione di uccidere, di difendersi uccidendo a sua volta. Permette di difendere il diritto alla libertà con la guerra, rifiuta l’ipotesi neutralista.
Nei primi secoli del Cristianesimo, la professione di giudice era considerata illecita da vari padri della Chiesa e molteplici scrittori ecclesiastici. L’intrinseca illegittimità risiedeva nell’eventualità che un giudice si sarebbe potuto trovare in dovere di pronunciare una sentenza di morte.
Tale discorso mi rammenta le parole di Indira Gandhi durante l’intervista condotta da Oriana Fallaci: “E, comunque, sulla non-violenza le racconterò una piccola storia. Non appena l’India divenne indipendente, nel 1947, il Pakistan invase il Kashmir che a quel tempo era retto da un maraja. Il maraja scappò, e il popolo del Kashmir, guidato dallo sceicco Abdullah, chiese l’aiuto indiano. Lord Mountbatten, ancora governatore generale, rispose che non avrebbe potuto fornire aiuto al Kashmir se il Pakistan non gli avesse dichiarato la guerra, e non sembrò preoccuparsi del fatto che i pakistani macellassero la popolazione. Così i nostri capi decisero di firmare un documento con cui si impegnavano a entrare in guerra col Pakistan. E il Mahatma Gandhi, apostolo della non-violenza, firmò con loro. Sì, scelse la guerra. Disse che non v’era altro da fare. La guerra è inevitabile quando c’è da difendere o da difendersi”.
La guerra, talvolta, è davvero una necessità ineluttabile? Può travolgere un popolo come fosse un inesorabile destino?
Il popolo ucraino ha diritto a quella libertà che gli è stata tolta. Il mondo deve opporsi alla Russia, non può subire in silenzio l’oppressione dell’Ucraina. L’inerzia e la condiscendenza facilitano il moltiplicarsi del terrore.
L’orrore non può diventare normalità.


Potrebbe interessarti:


Note

[1] {L. Gianformaggio, 1992}
[2] {F. Mégret 2002, p. 363}
[3] {Peace Through Law, Kelsen, 1944}
[4] {N. Ronzitti, Diritto internazionale dei conflitti armati, quarta edizione, G. Giappichelli, Torino, p. 103}
[5] {Art. 11 Cost.}


Foto copertina: Marc Riboud, Jan Rose Kasmir, Washington, 21 ottobre 1967.