L’altro 11 settembre: il golpe in Cile


L’11 settembre 1973 il golpe del generale Augusto Pinochet pose fine alla quarantennale democrazia in Cile e, contestualmente, alla vita del presidente socialista Salvador Allende. Come e in che misura, la storia del Paese latinoamericano è stata stravolta.


Pur seguendo un approccio tradizionale sia nella sua preparazione che nella sua esecuzione, il colpo di Stato in Cile dell’11 settembre 1973 vide il ricorso a bombardamenti aerei e si distinse per l’estrema spettacolarità con cui lo ricordiamo tutt’oggi. In modi diversi, l’11 settembre è stato un terremoto che ha devastato vite, antiche concezioni di comunità e coscienze.
Le quattro Forze Armate nazionali, approfittando della frammentazione generale degli ultimi mesi del governo Allende, pianificarono nei dettagli una massiccia azione militare volta a rovesciare il governo democraticamente eletto nel settembre 1970. L’ammiraglio José Toribio Merino, il generale delle Forze Aeree Gustavo Leigh e il generale dei Carabinieri César Mendoza, da tempo erano pronti ad agire e attendevano soltanto l’assenso del Comandante in capo dell’Esercito, Augusto Pinochet. La scelta della data per intervenire militarmente ricadde su martedì 11 settembre 1973, giornata in cui il Presidente della Repubblica avrebbe dovuto annunciare degli interventi di natura economica.  All’alba di quel giorno le navi della Marina fecero ritorno al porto di Valparaíso e iniziarono ad occupare la città costiera. Rapidamente, e come pianificato minuziosamente, la Marina si coordinò con le Forze Militari in quel momento operative a Santiago e già pronte ad intervenire.
Totalmente assenti erano le reali informazioni su quali fossero le forze leali al governo e quali fossero le parti coinvolte nella rivolta, tanto che i militari in servizio durante il golpe utilizzarono un distintivo – una sorta di sciarpa arancione legata al collo – per distinguersi dai soldati che si opposero alla rivolta. Tuttavia, ad eccezione di una manciata di cecchini appostati negli edifici contigui a La Moneda e per l’azione del GAP[1], la resistenza militare si rivelò quasi del tutto nulla. Contemporaneamente anche i cittadini cileni si resero rapidamente conto della portata degli eventi in atto. I primi segnali di un possibile colpo di Stato si diffusero attraverso le trasmissioni radiofoniche, l’unico mezzo di comunicazione per conoscere i fatti. Le radio controllate dall’opposizione, in particolare, diffusero con tono trionfale diverse indicazioni in cui si esortava la popolazione a obbedire agli ordini di chi stava tornando al potere. Al contempo, i dirigenti legati al partito di Allende – Unidad Popular – vennero segnalati dai militari, richiamati durante le trasmissioni e chiamati a presentarsi innanzi al giudizio del Ministero della Difesa. Dopo alcune comunicazioni telefoniche ai generali a capo del golpe, Allende decise di restare nel palazzo presidenziale e non fuggire in esilio – come più volte suggerito da Pinochet – affermando «Un Presidente del Cile non si arrende»[2]. Passate le nove della mattina, Salvador Allende pronunciò attraverso Radio Magallanes il suo ultimo famosissimo discorso di commiato, congedandosi dalla popolazione cilena.

Se Unidad Popular rappresentò per il mondo che osservava un’utopia moderna, ciò che seguì divenne un’anti-utopia. Inoltre, la successione del modello e dell’anti-modello costituì il segno più indelebile del passaggio del Cile nella storia mondiale del XX secolo[3]. In seguito al golpe militare vennero alla luce le radici dell’autoritarismo cileno. Una volta decaduta la stabilità sociale, il nazionalismo delle Forze Armate, sicure di essere le principali artefici della coesione nazionale, riemerse con grande forza. Esse intervennero in qualità di custodi della democrazia, autoproclamandosi garanti dell’ordine e della Costituzione.

Immediatamente la Giunta militare assunse “il Comando Supremo della Nazione” e procedette alla pubblicazione del Bando n.1 mediante al quale fu legittimata la destituzione di un “governo caduto nella trappola dell’illegittimità”. Il governo guidato da Allende fu accusato di: aver distrutto l’unità nazionale; non aver rispettato la Costituzione; non aver rispettato le volontà del Parlamento, e di aver cercato di concentrare nelle mani dell’Esecutivo il potere politico ed economico. In un primo momento, le Forze Armate non proposero alcun rinnovamento dell’ordine politico ed economico vigente, sostenendo di aver assunto il potere “solo per il lasso di tempo imposto dalle circostanze” e con “il patriottico obiettivo di restaurare la cilenità, la giustizia e il regolare funzionamento delle istituzioni”[4]. Alla pacatezza verbale dei primi giorni si accompagnò una lunga sequela di omicidi, esecuzioni sommarie e sparizioni. Si calcola che circa 20.000 – 30.000 cileni dovettero abbandonare il paese durante i primi due anni di dittatura. Mentre stime non confermate ci parlano di 80.000 prigionieri politici, di cui 30.000 confinati nell’Estadio Nacional; il numero di morti oscillò tra le 3.000 e oltre 30.000 persone[5].

Prigioniero inginocchiato davanti a un soldato nello Stadio Nazionale, 1973. Fonte: Memoria cilena.
Un soldato all’interno dell’ Estadio Nacional, fonte: NYT.

Tra i vari luoghi teatro delle crudeli operazioni militari ci fu l’ Estadio Nacional che, dopo 35 anni di servizio, divenne un vero e proprio campo di concentramento e tortura a cielo aperto per prigionieri politici. Il giorno stesso del golpe tutti gli aderenti ad Unidad Popular e tutti i sostenitori di Allende vennero rinchiusi al suo interno. In migliaia furono incarcerati, ammassati in spogliatoi, gallerie, bagni e qui sottoposti a scosse elettriche, percosse, abusi psicologici e sessuali e abbandonati alla denutrizione. I tempi di prigionia furono abbastanza variabili: alcuni “sospetti” vennero rilasciati dopo alcune settimane, altri furono trasferiti negli altri campi di concentramento al di fuori di Ñuñoa[7].
Subito dopo la proclamazione della Giunta, il Parlamento fu chiuso e i partiti politici proscritti e messi al bando. La pubblica amministrazione fu epurata e tutte le attività, le manifestazioni pubbliche o le organizzazioni politiche di base bandite. La Giunta, inoltre, si riservò il diritto di nominarne i direttori sindacali e le riunioni furono soggette alla preventiva autorizzazione dei Carabinieri. Fu censurata la stampa, le radio e le televisioni, mentre furono autorizzati soltanto i media vicini al regime. Parallelamente, le Forze Militari prolungarono lo stato di terrore iniziale in nome di uno scenario di “guerra interna”. Esempio, che chiarisce la condizione di terrore vigente, è il Bando n.30 del 17 settembre 1973 che ordinava alla popolazione di non ostacolare i «lavori di vigilanza e controllo dell’ordine pubblico» con parole o azioni, pena l’applicazione «delle più drastiche sanzioni». Il bando terminava poi minacciando che «per ogni innocente caduto, sarebbero stati giustiziati 10 marxisti indesiderati in conformità con le disposizioni stabilite dal Codice di giustizia militare in tempo di guerra»[9]. Nel novembre 1973 fu creata la Dirección de Inteligencia Nacional (DINA), una polizia segreta guidata dal generale Manuel Contreras. Essa trovò autorizzazione legale nella Dottrina della Sicurezza Nazionale, adottata come riferimento per giustificare il colpo di Stato. In questo contesto, la DINA divenne la principale agenzia di repressione contro il comunismo[10]. La DINA, con i suoi 1000 uomini addestrati ad uccidere, seminò il terrore in Cile ed estese il suo potere oltre ai confini nazionali grazie alla collaborazione con l’intelligence argentina e brasiliana. Per finanziare il progetto Contreras ricevette finanziamenti statali ma anche fondi esteri nel quadro della cosiddetta Operación Condor, un piano sovranazionale coadiuvato della CIA e dell’FBI statunitense con sede a Panama. L’obiettivo principale fu combattere il comunismo e il marxismo nella regione latinoamericana. Per svolgere la sua attività repressiva la polizia segreta utilizzò diversi luoghi di detenzione di cui si ebbe notizia soltanto grazie ai racconti dei sopravvissuti.  Tra i tanti luoghi tristemente noti ci furono: il già citato Estadio Nacional, Villa Grimaldi, la nave scuola Esmeralda, l’Academia de Guerra Aérea, Londres 38, la base di José Domingo Cañas situata a Ñuñoa e la tenuta Venanda Sexy, così chiamata per gli abusi sessuali subiti dai detenuti.


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Ad eccezione dell’Estadio Nacional, in cui gli eccidi e le parate furono volutamente documentati dalle Forze Armate a scopi intimidatori, Pinochet tentò fino alla fine di insabbiare l’ondata di violenza in atto. Preferì parlare sempre di morti causate dalla guerriglia anziché di vittime di sequestri, omicidi o dei “voli della morte”.
Molti cileni, a golpe avvenuto, accolsero con entusiasmo l’avvenimento intendendolo come una liberazione dal “cancro” marxista. Ad oggi, però, è ben visibile tutto ciò che non fu evitato: un tremendo genocidio con migliaia di desaparecidos torturati ed esiliati; una legalità spuria che limita tutt’ora la prevista piena democrazia e una dominazione assoluta della dottrina ultraliberalista alle spese della classe lavoratrice[11]. Tutti elementi questi, che ci raccontano di una società, quella cilena, profondamente divisa e frammentata, inevitabilmente spezzata fin dalla radice a causa del suo sanguinoso passato.
Alla fine della lunga dittatura militare di Augusto Pinochet si è arrivati, formalmente, solo nel 1989. Tuttavia, Pinochet, pur avendo abbandonato il potere, rimase a capo delle Forze Armate fino al 10 marzo 1998, per poi diventare Senatore a vita, incarico che gli permetterà di godere dell’immunità parlamentare fino al 2002.


Note

[1] {Il Grupo de Amigos Personales (GAP) fu composto, inizialmente da giovani provenienti dal Moviemiento Izquierda Revolucionaria e in seguito da membri della Juventudes Socialistas; accompagnarono Allende fino all’ultimo giorno di governo}.
[2] {S. Correa, C. Figueroa, A. Jocelyn-Holt, C. Rolle, M. Vicuña, Historia del Siglo XX- Chileno, Santiago, Editorial Sudamericana Chilena, 2001, p.275}.
[3]{J. Fermandois, Mundo y fin de Mundo: Chile en la politica mundial 1900-2004, Santiago, Eds. Universidad Católica de Chile, 2005, p.393}.
[4] {T. Bertaccini, Le Americhe Latine nel ventesimo secolo, Milano, Feltrinelli, 2014, p.165}.
[5]{S. Correa, C. Figueroa, A. Jocelyn-Holt, C. Rolle, M. Vicuña, op. cit., p.287}.
[6]{Prigioniero inginocchiato davanti a un soldato, fonte: http://www.memoriachilena.gob.cl/602/w3-article-62150.html}.
[7] {Per maggiori approfondimenti si veda: http://www.memoriachilena.gob.cl/602/w3-article-92649.html}.
[8] {Un soldato all’interno dell’ Estadio Nacional, fonte: https://www.nytimes.com/2015/06/19/sports/soccer/in-chiles-national-stadium-dark-past-shadows-copa-america-matches.html}.
[9] { S. Correa, C. Figueroa, A. Jocelyn-Holt, C. Rolle, M. Vicuña, op. cit., pp.280-281}.
[10] {Facendo ricorso a torture e sequestri, nell’arco di quattro anni fu responsabile dell’uccisione di 2.279 persone e della sparizione forzata di altre 957. Per maggiori approfondimenti si veda: https://www.memoriaviva.com/criminales/organizaciones/DINA.htm}
[11] {J.Hourton, Memorias de un obispo sobreviviente: Episcopado y Dictadura, Santiago, LOM Ediciones, 2009, p.162}.


Foto copertina: Santiago del Cile, 11 settembre 1973. Le forze armate guidate dal generale Pinochet rovesciano il governo del presidente Salvador Allende – eletto democraticamente nel 1970 – con un golpe. Il parlamento fu bombardato.