L’Europa dopo il Pivot to Asia


La guerra in Ucraina ha temporaneamente distratto gli Stati Uniti dal più importante territorio di contesa con la Cina, l’Indo-Pacifico. Il Pivot to Asia è stato rallentato mentre Washington torna a concentrarsi sull’Europa e la Russia. Tuttavia, dal suo annuncio nel 2011 ha avuto e continuerà ad avere un forte impatto sull’Europa.


Dalla fine della Guerra Fredda tutti i presidenti americani hanno provato, almeno in teoria e con scarso successo, a migliorare le relazioni con la Russia per potersi concentrare sul nuovo principale rivale strategico, la Cina. Clinton fu grande amico di Eltsin, Bush disse di aver colto l’anima di Putin guardandolo negli occhi, Obama classificò la Russia come potenza regionale e lanciò il Pivot to Asia, Trump continua ad ammirare l’autocrate russo. Biden è un’eccezione, dato il suo rancore nei confronti del leader russo, che ha definito un assassino. Le guerre in Georgia, Siria e Ucraina hanno dimostrato il fallimento di questo tentato riavvicinamento tra i due nemici storici. Nonostante ciò, nel 2011 l’allora segretario di Stato Hillary Clinton lanciò il cosiddetto Pivot to Asia, e gli Usa iniziarono a ricalibrare la propria agenda strategica tramite un lento distacco dal Medio Oriente e dall’Europa per potersi concentrare sull’Indo-Pacifico. L’idea di fondo era che l’America non poteva più permettersi di essere presente ovunque e con la stessa intensità, doveva scegliere un’area di maggior importanza su cui concentrarsi, e questa è stata individuata nell’Indo-Pacifico. Questo riequilibrio strategico è stato compiuto tramite una serie di accordi commerciali, politici e soprattutto militari (US-Asean summit, Aukus, Quad, Ipef, per citarne alcuni) che hanno consentito a Washington di creare un framework di collaborazione tra alleati, al fine di contenere la Cina e rinforzare la presenza americana nell’area.
Questo non sarebbe stato possibile senza una diminuzione dell’impegno americano in altre aree in cui era fortemente presente. Anzitutto il Medio Oriente, da cui Washington cerca di distaccarsi, con la contrarietà dei partner regionali Israele e Arabia Saudita, tramite il caotico ritiro dall’Afghanistan e l’accordo sul nucleare con l’Iran. In secondo luogo, l’Europa, continente su cui gli Stati Uniti imposero la propria supremazia a fine Guerra Fredda e che ora sembra meno rilevante ai fini dello scontro con la Cina. Washington ha provato per anni a spingere gli alleati europei a prendere maggiori responsabilità per la sicurezza regionale, alzando innanzitutto il budget per la difesa, sempre senza dimenticare di difendersi da Mosca, ritenuta pericolosa per l’egemonia americana sul continente da parte di Washington, ma con meno preoccupazione da parte di alcuni alleati, in ordine Germania, Francia e Italia.

Il Pivot to Asia ha avuto un forte impatto sull’Europa

Anzitutto, come è stato detto, il Vecchio Continente non è considerato come terreno di scontro primario tra i due rivali, Usa e Cina. Questo non significa però che Washington intenda mollare la presa. Agli alleati europei è richiesto di rimanere fedeli, ma contemporaneamente farsi più indipendenti dall’ombrello protettivo d’oltreoceano. La Russia rimane una minaccia credibile e Washington ha appaltato ai Paesi baltici il contenimento. L’importanza di Paesi come la Polonia nella strategia americana ha causato vari problemi all’Unione Europea. Varsavia ha dimostrato di non condividere i valori dell’Unione e ha rifiutato di adattarsi agli standard culturali dei Paesi più occidentali, forte della sua alleanza d’oltreoceano e del suo ruolo nella Nato. L’invasione dell’Ucraina ha provato che la Russia è ancora una minaccia alla stabilità europea, ma ha anche fatto ottenere agli americani i loro obiettivi: la Nato si è rinforzata, gli europei hanno innalzato il budget per la difesa e si sono mossi contro Putin, a dispetto delle passate simpatie e legami commerciali. Secondo, l’Europa è ora vista da Washington come un potenziale alleato nello scontro con la Cina. Dunque, sono visti negativamente tutti gli accordi che possono avvicinarli. Il memorandum d’intesa tra Italia e Cina, firmato senza previa consultazione con gli alleati, scatenò l’ira di Washington, preoccupata dalla penetrazione commerciale del Dragone. Ancora, Trump si spese molto per impedire agli alleati di utilizzare la tecnologia Huawei per lo sviluppo della rete 5G, perché foriera di rischi di infiltrazione da parte del governo cinese.
All’Europa è richiesto un maggiore sforzo in Asia in èparticolare nell’Indo-Pacifico, sebbene Washington conosca bene la difficoltà europea a muoversi all’unisono quando si tratta di politica estera, specialmente su dossier delicati e lontani come l’Indo-Pacifico. L’accordo sui sottomarini a propulsione nucleare Aukus ha mostrato come l’amministrazione Biden consideri il Regno Unito il partner europeo più affidabile e ha infastidito Parigi, che ha parlato di pugnalata alle spalle. Se da un lato Washington non ha consultato l’alleato prima dell’accordo, è anche vero che la Francia si era mossa unilateralmente. La scarsa coordinazione sul dossier Indo-Pacifico è uno degli ostacoli principali che impedisce all’Europa di avere potere negoziale sul tema.
L’Europa può avere un ruolo nella partita per l’Indo-Pacifico, ma deve risolvere alcuni problemi di fondo. Anzitutto, la mancanza di coordinazione. Questa deriva da quella che viene definita “cacofonia strategica”, cioè l’incapacità di accordarsi sulla definizione di minaccia. Mentre i Paesi dell’Europa meridionale sono preoccupati da immigrazione, terrorismo e instabilità nel Mena, l’Est Europa vede nella Russia una minaccia esistenziale. La guerra in Ucraina ha spostato l’equilibrio a favore di questi ultimi, che sono anche i Paesi che divergono con Bruxelles su temi quali lo stato di diritto. La Francia e il Regno Unito sono quelli che si sono mossi maggiormente sull’Indo-Pacifico, ma serve una strategia comune dell’Unione.
In secondo luogo, l’Europa deve colmare un profondo deficit di capacità militari. Bruxelles dipende molto dagli Stati Uniti per la fornitura di armi e l’industria bellica europea è frammentata e scoordinata. La Bussola Strategica approvata recentemente è un buon passo verso una maggiore integrazione e sovranità strategica. Bruxelles si propone, tra le altre cose, di approfondire il dialogo politico e la cooperazione con Asean, e “rafforzare, entro il 2025, i meccanismi di sicurezza marittima, anche in regioni lontane come l’Indo-Pacifico”[1]. L’Unione è una potenza economica e questo dovrebbe aiutarla a stringere rapporti con i Paesi di un’area che costituisce più del 60% del Pil mondiale.
Una vera forza di difesa europea è ancora lontana, ma la Commissione si è attivata in tal senso proponendo acquisti di armi comuni e un esercito europeo.
In conclusione, l’Europa ha visto il suo ruolo nel mondo modificato dallo spostamento di asse degli Stati Uniti, ora concentrati sull’Indo-Pacifico. L’Unione è costretta a contare meno sulla protezione americana, rinforzare la propria sovranità e indipendenza strategica, sviluppando un framework di sicurezza alternativo alla Nato. Questo è visto con diffidenza dai Paesi dell’Est Europa, che considerano la Russia come minaccia primaria e contano più sull’alleanza atlantica che su Bruxelles. L’Indo-Pacifico resta un teatro lontano e di secondaria importanza per un’Unione che ha difficoltà ad avere una visione unica in politica estera, e che prova con fatica ad affrancarsi da decenni di letargo all’ombra della protezione della superpotenza a stelle e strisce.


Note e Bibliografia

 

  • Federico Giuliani, Prende forma il piano Ue per l’Indo-Pacifico, insideover.com
  • Liselotte Odgard, L’emergente presenza indo-pacifica dell’Europa durerà?, lindro.it
  • Federico Giuliani, Che cos’è il Pivot to Asia e perché è importante, com
  • Micheal J. Green, The Legacy of Obama’s “Pivot” to Asia, com
  • Roberto Menotti, La strategia indopacifica degli USA e le scelte necessarie per gli europei, it

[1] senato.it, Note sugli atti dell’Unione Europea, Nota N. 095, “La bussola strategica dell’Unione Europea: dopo quasi due anni di gestazione, arriva l’approvazione (in tempo di guerra) nel consiglio UE del 21 marzo”.


Foto copertina: L’ Europa dopo il pivot to Asia REUTERS | Jason Lee ©