Polonaise, Polonia e Russia tra vecchi rancori e nuovi timori


L’analisi delle relazioni tra la Polonia e la Russia degli ultimi venti anni impone una presentazione del contesto storico, senza il quale sarebbe impossibile decifrare i sentimenti, che da l’una e l’altra parte, muovono le relazioni diplomatiche tra due paesi e popoli così diversi, ma con alcuni punti in comune. Come fossero due facce di una stessa medaglia.


 

Quella tra Polonia e Russia è la storia di una incompatibilità politica, culturale e religiosa che si protrae da secoli, dalla fine del XVIII secolo fino ad oggi, resistendo a cambiamenti sociali, rivoluzioni, guerre mondiali e globalizzazione. All’indomani della spartizione della Confederazione polacco-lituana (Rzeczpospolita) a partire dal 1795, ad opera dell’Impero Russo, Prussiano e Austriaco, il sentimento antirusso, che animava la resistenza nazionalista polacca, era sensibilmente più profondo e feroce rispetto a quello che colpì austriaci e prussiani. Il Regime autocratico degli zar di Russia, molto più che nelle altre due partizioni, sopprimeva qualsiasi opposizione ricorrendo alla brutale violenza della milizia imperiale, e deportando in Siberia coloro accusati di sedizione e ribellione, annientando con fermezza qualsiasi tentativo di rivolta.[1]

L’epoca degli Zar

Da Catarina la Grande (1763-96), a Nicola II (1894-1917), passando per Alessandro III (1881-94), la politica imperialista russa, semplificata nei tre principi cardine, Ortodossia, Autocrazia, Nazionalità, ha condotto un intenso e inarrestabile processo di “russificazione” della società polacca, imponendo la religione ortodossa moscovita, imponendo la diffusione e l’utilizzo del cirillico in tutti gli atti della vita pubblica, dalla scuola, alla letteratura fino alla politica. Il progetto di piegare e assimilare i polacchi al suddito russo, attraverso anche l’imposizione della lingua, scosse profondamente il nazionalismo polacco, che sopravvisse malgrado la coercizione zarista, ed esplose in un sentimento di rancore profondo e di imperitura rivalsa, verso la cultura russa e tutto ciò che l’impero russo rappresentava.
Un sentimento che si scatenò a ridosso della nascita della Seconda Repubblica, nel 1918, che portò alla Guerra polacco-bolscevica (1919-21), conclusasi con la pace di Riga, la quale sancì la spartizione di Bielorussia, Ucraina e l’occupazione polacca di Vilnius.
Le uccisioni e le torture, subite dai soldati russi nei campi di prigionia polacchi nel 1920, si presentarono a parti invertite durante il regime stalinista, con il tristemente famoso massacro di Katyń, dove migliaia di soldati e ufficiali polacchi furono giustiziati dalla polizia segreta di Stalin, nei pressi della cittadina russa di Smolensk, nel 1940.
Nel 1990, in seguito alla vittoria del Solidarność, il Presidente Jaruzelski, ricevette un documento ufficiale da Mosca, attraverso il quale Gorbačëv ammise che l’esecuzione di 25.000 polacchi fu commessa dalla polizia sovietica, confutando la precedente versione che imputava il massacro alle SS naziste.[2]

La fine dell’URSS

Negli anni che seguirono l’indipendenza della Polonia e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, le relazioni diplomatiche tra questi paesi furono tutt’altro che amichevoli. Difatti, si può dire che il ricordo della strage unito al persistente timore per una reazione militare di Mosca alla progressiva occidentalizzazione della Polonia, contribuirono a congelare qualsiasi tentativo di normalizzazione dei rapporti tra i due paesi. Il timore per la sicurezza dei confini rispetto ad una eventuale minaccia russa era (ed è) sempre presente nella opinione pubblica polacca.
Molti membri della elite politica di Mosca, in particolare ex membri del Partito Comunista, non vedevano di buon occhio la frenetica attività diplomatica di Varsavia, volta a promuovere la svolta europeista ed atlantista nei paesi confinanti con la Russia, la quale non poteva (e non può) permettere che la NATO estendesse la propria presenza militare oltre la vecchia linea della “Cortina di Ferro”. Ragion per cui, l’obiettivo di posizionare Varsavia all’interno della Alleanza atlantica, come ponte verso l’Est Europa, fu costantemente ostacolata dalla diplomazia russa, che con il mantenimento di divisioni corazzate in Polonia sino al ’93, intendeva esercitare pressione sul governo polacco.
Nel corso della visita del Presidente russo Boris Yeltsin, il Presidente Wałęsa comunicò l’avvio ufficiale degli accordi di ammissione con la NATO. La reazione del Presidente Yeltsin fu inspiegabilmente accomodante e moderata, dichiarando in un successivo comunicato stampa, che le intenzioni del governo polacco apparivano comprensibili. Queste dichiarazioni destarono lo stupore generale, sia della diplomazia polacca, ma anche e soprattutto dello staff dello stesso Presidente Yeltsin, il quale fu costretto a ritrattare quanto detto, una volta rientrato a Mosca, inviando una lettera al Presidente Clinton nella quale si opponeva ad una espansione della NATO ad est.

La breve parentesi del multilateralismo alla russa.

Nel 1992, la Russia aderì al North Atlantic Cooperation Council (NACC) della NATO, divenuto Euro-Atlantic Partnership Council (EAPC) dopo il 1997, un forum di cooperazione multilaterale tra 50 paesi, su temi relativi al mantenimento della sicurezza e della pace.[3] Di conseguenza, Mosca firmò il patto di adesione al Partnership for Peace (PfP) nel 1994, un programma che mira alla cooperazione multilaterale e bilaterale tra i paesi NATO e i partners regionali.[4]
In ambito europeo, invece, la Russia si mosse con maggior interesse nel campo della cooperazione economica, privilegiando l’UE come principale partner economico e avviando accordi di cooperazione come l’Accordo di partenariato e cooperazione UE-Russia nel 1994.[5] Inoltre, la Russia entrò a far parte del Consiglio d’Europa il 28 febbraio 1996, di cui la Polonia era membro già a partire dal 1991.
Con l’avvio delle negoziazioni per l’ammissione nelle organizzazioni occidentali, precisando dunque la posizione geopolitica della Polonia nel continente, seguì una lenta e comunque incerta fase di distensione nei rapporti bilaterali, pur tuttavia permanendo il classico sentimento di diffidenza reciproca.
La Polonia vedeva in un miglioramento dei rapporti con la Russia, un passo decisivo verso il rafforzamento della sua posizione in Europa Orientale, seguendo un percorso moderato verso l’attrazione degli altri paesi postsovietici verso la scelta europea, e in particolare l’Ucraina, con la quale, come si è visto, Varsavia ha stretto rapporti intensissimi, basati anche su un fortissimo legame storico.
La strategia orientale rispondeva alla necessità di evitare una deriva filorussa in questi paesi, che avrebbe permesso a Mosca di ridisegnare un nuovo Blocco sotto la propria influenza, il quale avrebbe minacciato la sicurezza nazionale polacca e la sua svolta euro-atlantica. Un rapprochement rappresentava un obiettivo tanto importante quanto difficile da realizzarsi, il quale richiese un intenso lavoro diplomatico, tuttavia evidenziando quanto il rapporto tra Russia e Polonia risenta di un susseguirsi di fasi di riavvicinamento e di conflitto.

La Russia di Vladimir Putin

Fortunatamente per la Polonia, l’obiettivo di garantire la sicurezza nazionale fu raggiunto con l’ammissione alla NATO nel 1999, precedendo l’ascesa politica di Vladimir Putin, il quale avrebbe dato vita in breve tempo a quello che gli osservatori politici hanno considerato come un nuovo slancio di “imperialismo” russo. Dunque, il successo euro-atlantico di Varsavia (1999-2004) diede il via ad una nuova fase di conflittualità tra Polonia e Russia, che si fronteggiavano sulla questione del vicinato comune, in particolare sulla europeizzazione di Bielorussia, Moldavia ed Ucraina.
Nel caso della Bielorussia, la diplomazia polacca ed europea è stata impegnata sin dal 1989, attraverso i già citati accordi di cooperazione bilaterale, vedendo i propri sforzi infrangersi contro il muro della deriva autarchica del paese avviata dal Presidente Lukashenko; e con il rafforzamento della Unione Russia-Bielorussia, nel 1999, segnale di un legame indissolubile con Mosca, nel settore economico e della difesa.[6]
La Moldavia non presentò notevoli garanzie per il progetto europeista polacco, mostrando una grande incertezza politica riguardo alla prospettiva europea, soprattutto durante la presidenza di Vladimir Voronin,[7] sintomo della forte influenza di Mosca, anche a causa della forte dipendenza del paese dal gas naturale russo.[8]
Il ruolo della diplomazia polacca a sostegno del progetto europeo in Ucraina, irritava non poco il Cremlino, dando il via ad una nuova fase di scontro diplomatico con Varsavia.


Potrebbe interessarti:

Scontro che raggiunse la fase più acuta nel corso dell’intervento militare russo in Georgia nel 2008, in seguito all’offensiva georgiana nella regione della Ossezia del sud e Abcasia per riottenere il controllo delle due regioni dichiaratesi indipendenti e ospitanti militari russi in posizione di interposizione.
In questa occasione il Presidente polacco Lech Kaczyński, eletto nel 2005 e membro del partito conservatore-cattolico PiS (fratello dell’attuale leader di partito Jarosław Kaczyński), condannò duramente l’intervento russo in Georgia, schierandosi apertamente in favore del governo di Tbilisi e delle posizioni euro-atlantiche e antirusse. Il coinvolgimento diretto del Presidente certificava una fase di forte scontro ideologico con Mosca, che andava al di là degli interessi geopolitici in gioco, come egli stesso confermò, dichiarando quasi profeticamente che la questione georgiana altro non fosse che la prima dimostrazione della politica aggressiva di Putin. Kaczyński dichiarò che la Georgia avrebbe rappresentato soltanto il primo step di un nuovo imperialismo russo, che avrebbe interessato l’Ucraina e successivamente la stessa Polonia.[9]
L’ideologia antirussa dei conservatori polacchi, di cui il PiS è stato (ed è) portavoce, avrebbe rischiato di rallentare il progetto di accesso della Georgia nella NATO, ovvero paralizzato la strategia geopolitica orientale, ricorrendo anche alla rievocazione di eventi storici, atti a risvegliare rancori mai superati tanto nella società russa quanto in quella polacca.[10]
Per superare la fase di conflitto che portò ad un nuovo congelamento delle relazioni diplomatiche tra Varsavia e Mosca, era dunque necessario superare lo scontro ideologico che dominava l’opinione pubblica polacca e russa, adottando un approccio pragmatico verso una nuova distensione, costruendo le basi di un rapporto di reciproco interesse. Questa linea pragmatica fu inaugurata con l’ascesa politica della coalizione liberale e moderata del partito Piattaforma Civica (PO) e con l’elezione di Donald Tusk come Primo Ministro.
Con il governo moderato di Tusk, la questione orientale fu adottata con pragmatismo, facendo ricorso alla cooperazione multilaterale, intensificando la sinergia con le istituzioni europee e l’impegno polacco nella Alleanza atlantica, ma anche attraverso un maggior dialogo con Mosca. In questo modo, iniziò una fase di Rapprochement, che vide la storica visita del Presidente russo Putin nella città di Danzica, nel settembre 2009, in occasione del 70° anniversario della occupazione nazista della Polonia, durante il quale il Presidente russo espresse la speranza che le “ombre del passato potessero non offuscare la cooperazione diplomatica”.
La posizione moderata e conciliante di Tusk (supportata anche dalla cancelliera Angela Merkel) verso la Russia non godeva delle simpatie del Presidente Lech Kaczyński e del fratello Jarosław Kaczyński capo del PiS, i quali accusavano il Primo Ministro di mettere a rischio la sicurezza nazionale. I leader del partito conservatore euroscettico polacco avanzavano la tesi che il “soft power” europeo non potesse contrastare la politica aggressiva di Putin, la quale, in mancanza di un sistema di sicurezza comunitario, trovava nella capacità difensiva della NATO, ed in particolare delle forze armate statunitensi in stanza in Europa, l’unica efficace fonte di deterrenza.

La religione di Smolensk

Bisogna ricordare, però, che questa fase di riconciliazione diplomatica fu scossa da un terribile incidente che vide coinvolto il Presidente Lech Kaczyński, durante il viaggio verso la cittadina russa di Smolensk, in occasione della commemorazione del massacro di Katyń. Il 10 aprile 2010, l’aereo di stato presidenziale polacco – un Tupolev Tu-154 di fabbricazione russa con a bordo il Presidente, sua moglie Maria e altre 94 persone, tutti alti funzionari dell’apparato statale e militare – si schiantò a pochi chilometri dall’aeroporto russo di Smolensk, causando la morte di tutti i passeggeri. Il Presidente, insieme con le alte cariche polacche, avrebbe dovuto presenziare alla commemorazione delle vittime polacche di Katyń, su invito dello stesso Presidente Putin.
All’indomani dell’incidente, si temeva (a ragione) che un evento così funesto e portatore di memorie storiche infauste potesse nuocere ai rapporti bilaterali, anche in considerazione delle teorie complottiste avanzate dell’opposizione PiS, guidata dal fratello gemello del Presidente, Jarosław Kaczyński, il quale dichiarò senza mezzi termini che si trattasse di un attentato e denunciò il coinvolgimento russo.
Nonostante la tragedia, i rapporti tra Mosca e Varsavia si intensificarono, la riconciliazione sembrò proseguire ancor più velocemente e senza intoppi.
Il Presidente Putin, infatti, in segno di vicinanza ai polacchi, proclamò il lutto nazionale e autorizzò la trasmissione in prima serata sulla tv russa del film «Katyn» del regista polacco Andrzej Wajda, censurato fino a quel momento.
Un altro segno di riconciliazione fu l’approvazione, da parte della Duma (26 novembre 2010) di una dichiarazione di condanna del massacro di Katyn, per il quale è stata ufficializzata, per la prima volta, la responsabilità di Stalin.
La dichiarazione della Duma, inoltre, sosteneva che il crimine fu commesso dal regime stalinista e dall’Unione Sovietica, definita come uno stato totalitario.  L’iniziativa russa fu accolta con entusiasmo in Polonia, come certifica «Gazeta Wyborcza» che affermava «Il disgelo nelle relazioni Russia-Polonia rende ormai la politica estera una questione di interesse nazionale e non solo di paura o risentimento».[11]
I risultati delle indagini sul disastro aereo, che videro coinvolte le autorità russe e polacche, confermarono che lo schianto fu causato da un errore degli ufficiali di volo polacchi. Come se non bastasse, le registrazioni in cabina di pilotaggio, estratte dalla scatola nera del velivolo, mostrarono che i piloti, allertati dalle pessime condizioni meteorologiche, furono esortati dagli alti ufficiali polacchi ad atterrare secondo il piano prestabilito.[12]
Tuttavia, l’episodio avrebbe rappresentato un momento di frattura della società polacca, costituendo l’elemento di attrazione di consenso da parte del partito PiS, dove Jarosław Kaczyński avrebbe creato una sorta di “religione di Smolensk” intorno al suo dramma personale e alla figura del compianto fratello, attirando le correnti sociali che accusavano Mosca e Tusk di aver architettato la morte del Presidente. La forza della Opposizione cresceva negli anni seguenti il disastro aereo, ponendo sotto assedio il Primo Ministro Tusk, e avviando la fase politica che avrebbe portato all’esplosione nazionalista in Polonia, la quale partì proprio dalla tragedia di Smolensk; migliaia di memoriali sorsero in tutto il paese per rendere omaggio al Presidente Lech Kaczyński, inteso come eroe nazionale.[13]
Jarosław Kaczyński accusò Donald Tusk di aver causato la morte del Presidente polacco; accusò il governo russo di essere implicato nel disastro e di aver inquinato le prove, richiedendo in più occasioni la restituzione dei rottami al fine di poter eseguire nuove indagini. Mosca, tuttavia, respinse sistematicamente le richieste polacche, alimentando di fatto le teorie complottiste.

Il Pragmatismo di Tusk e la crisi ucraina

La Polonia di Tusk, quindi, si muoveva verso una più profonda integrazione con l’UE, adottando un approccio pragmatico verso la Russia, cercando di abbandonare la tradizionale “russofobia” che aveva caratterizzato la politica estera polacca sino al 2007-2008. Il progetto di creare una coalizione antirussa ad est, sotto la bandiera della NATO e degli USA, non rappresentava più una priorità nella agenda diplomatica polacca, intenzionata a mostrarsi più moderata, meno coinvolta ideologicamente nel percorso euro-atlantico di Ucraina e Georgia.
Tuttavia, in tutta Europa risuonavano le sirene di un nuovo scontro tra Russia e Occidente, con Mosca che temeva l’aspirazione di certi circoli dirigenti ucraini di entrare a far parte della NATO, la quale si sarebbe affacciata alle frontiere russe.[14]
Sin dalla sua rielezione nel 2012, Putin aveva compreso che la sua immagine di leader forte, espressione della potenza russa, avrebbe potuto essere compromessa dalla mancata reazione all’avvicinamento dell’Ucraina all’Occidente, un paese attraverso il quale si mostrava l’egemonia russa nel vicinato orientale, soprattutto alla luce della riaffermazione del nazionalismo proiettato verso un nuovo sistema sovranazionale con Mosca al suo centro.[15]
Il tentativo di attrare Kyiv verso la dimensione euroasiatica si arenò in conseguenza degli eventi dell’Euromaidan, le proteste iniziarono tra il 21 e il 22 novembre 2013, portando alla rivoluzione ucraina del 2014 e, infine, alla deposizione e alla messa in stato di accusa del presidente ucraino Viktor Yanukovych. In seguito alle elezioni anticipate fu eletto Presidente Petro Poroshenko.
Le conseguenze della crisi in Crimea si riversarono direttamente sulla politica interna polacca e sulle relazioni tra Varsavia e Mosca. Di fatto, l’aggressione russa in Ucraina, storico alleato della Polonia, aveva scosso gli animi dei polacchi, i quali vedevano lo spettro di quella minaccia che il pragmatismo del governo Tusk aveva cercato di superare. La paura scaturita dalla aggressività russa, unita alla questione della drammatica scomparsa del Presidente Lech Kaczyński, certificarono l’esplosione del consenso del partito conservatore PiS, il quale aveva lanciato una imponente campagna politica contro il governo Tusk, colpevole insieme con l’Unione Europea e la Germania di aver ignorato la minaccia di Putin.
Le ripercussioni della crisi ucraina sulla politica estera e interna polacca furono considerevoli, se si tiene conto che la svolta nazionalista alle elezioni del 2015 segnò la fine del pragmatismo moderato e della riconciliazione e l’inizio di una nuova fase di forte tensione diplomatica con la Russia.
La paura di un imperialismo russo ha spinto l’opinione pubblica verso la necessità di assicurare la propria sicurezza nazionale, che si tradusse sul piano internazionale nella scelta di dare priorità alla cooperazione con organizzazioni internazionali capaci di garantire la sicurezza nazionale[16]. Ragion per cui, la Polonia, a partire dal 2014, ha interrotto la cooperazione politica e diplomatica con Mosca, limitando sensibilmente i contatti diplomatici con la Russia[17] e intensificando il proprio impegno nella NATO, perseguendo l’obiettivo di garantire la sicurezza della Eastern flank e, di riflesso, la propria sicurezza.


Note

[1] Come la celebre “Rivolta di Novembre” o “Rivoluzione Cadetta”, iniziata nel 1830 a Varsavia, conclusasi con la vittoria russa e l’annientamento dell’esercito di Piotr Wysocki. Cit. N. Davies, 2005, God’s Playground A History of Poland: Volume II: 1795 to the Present. Revised Edition. OUP Oxford.Pg.60-82
[2] Ibid. pg. 507
[3] Approfondimenti: https://www.nato.int/cps/en/natohq/topics_49276.htm
[4] Approfondimenti: https://www.nato.int/cps/en/natohq/topics_50349.htm
[5] In seguito alla crisi ucraina, i rapporti UE-Russia hanno subito una fase di deterioramento, portando al congelamento dell’APC UE-Russia, sito Europarlamento http://www.europarl.europa.eu
[6] Ministry of Foreign Affairs of the Republic of Belarus, http://mfa.gov.by/en/courtiers/russia/
[7] Malghin, A. (2011). Russia e Polonia nella “Ostpolitik” dell’Unione europea. Rivista Di Studi Politici Internazionali, 78(4 (312)), 529-540. http://www.jstor.org/stable/42741077
[8] Judy Dempsey, January 16, 2014, Why the EU Needs to Help Georgia and Moldova Now, Carnagie Europe. https://carnegieeurope.eu/strategiceurope/54211
[9] Stefan Bielanski, 07 novembre 2017, Polish-Russian Relations and the Burden of History: A Neighbour’s View, ISPI. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/polish-russian-relations-and-burden-history-neighbours-view-18646
[10] A. Malghin, 2011, Russia e Polonia nella “Ostpolitik” dell’Unione europea. Rivista Di Studi Politici Internazionali, 78(4 (312)), 529-540. http://www.jstor.org/stable/42741077 
[11] Serena Giusti – Atlante Geopolitico 2013 (2013), Dalla tensione alla riconciliazione: le relazioni fra Polonia e Russia, http://www.treccani.it/index.html
[12] Judy Dempsey, April 13, 2015, Grounded: Poland-Russia Relations, Carnagie Europe.https://carnegieeurope.eu/strategiceurope/59752
[13] Monika Sieradzka, 10.04.2018, Smolensk: The tragedy that defined Polish politics, Deutsche Welle.https://www.dw.com/en/smolensk-the-tragedy-that-defined-polish-politics/a-43328611
[14] Tatiana Zonova, 02 aprile 2015, Quale futuro per i rapporti tra la Russia e l’Occidente, ISPI.https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/quale-futuro-i-rapporti-tra-la-russia-e-loccidente-13030
[15] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/lunione-eurasiatica-da-progetto-pragmatico-ideologico-11264
[16] Zhanna Nemtsova, 10.10.2018, ‘Russia is the only conceivable threat to Poland’, Deutsche Welle.https://www.dw.com/en/russia-is-the-only-conceivable-threat-to-poland/a-45826423
[17] Fonte: Ministry of Foreign Affairs Reupublic of Poland. https://www.msz.gov.pl


Foto copertina: Manifesto di propaganda bolscevica della guerra polacco-sovietica (1920). Testi nell’immagine: Sopra:RSFSR Ecco cosa si concluderà l’impresa dei signori polacchi con Sulla bandiera: Viva la Polonia sovietica! Fonte Wikipedia