Si ricompatta il fronte progressista latinoamericano
Con la vittoria in Brasile di Luis Inácio Lula de Silva lo scorso 30 ottobre, le forze di sinistra latinoamericana prolungano e rafforzano il proprio successo elettorale, tanto che diversi esperti hanno iniziato a parlare di un possibile ritorno della marea rosada degli anni 2000. Nei fatti, oltre al rieletto Lula, con Gabriel Boric in Cile, Gustavo Petro in Colombia, Andrés Manuel López Obrador in Messico e Alberto Fernandez in Argentina, tutte le principali economie dell’area sono guidate da forze progressiste.
La “vecchia” marea rosada
A partire dall’ascesa di Hugo Chávez in Venezuela nel 1998, si aprì un nuovo ciclo storico in America Latina, nel segno di una politica volta a sfidare il neoliberismo che lo aveva sostenuto sino ad allora. L’insoddisfazione e i costi sociali elevatissimi generati dai piani di aggiustamento strutturale, favorirono una “svolta a sinistra” portando alla vittoria di leader distanti dalle tradizionali istituzioni economiche internazionali. L’ascesa di leader come Chávez, Lula, i coniugi Kirchner, e successivamente personalità come Correa e Morales, è stata dunque letta come il frutto del diffuso disagio sviluppatosi nella regione latinoamericana. Ed è proprio in questo modo che si è dato il via alla “stagione della sinistra” in America Latina. Una sinistra rinnovata che, seppur non configurandosi come marxista in senso stretto, talvolta evidenziò un carattere fortemente antimperialista, teso ad avviare profonde trasformazioni sociali utili a favorire nuove forme di cittadinanza e partecipazione. Valorizzazione delle culture indigene, pieno riconoscimento egualitario per tutti i cittadini, riappropriazione delle risorse naturali e rispetto per l’ambiente diventeranno i “mantra” dei nuovi leader e dei movimenti politici, ed espressioni come Revolución Ciudadana e “Socialismo del XXI secolo” inizieranno a coinvolgere tutta l’area. La conformazione, tutt’altro che omogenea, di questi governi portò alla diffusione dell’espressione marea rosada simbolica, non di un’ascesa del comunismo, ma di forze socialiste più moderate e sfaccettate. Semplificando l’analisi è possibile distinguere al suo interno due macro-blocchi. Il primo, più radicale, detto “asse bolivariano” – in riferimento ai governi eletti in Venezuela, Ecuador e Bolivia – si connotò per il forte carattere antimperialista, in contrasto con l’ingerenza statunitense nella propria agenda politica. I rispettivi governi cercarono di portare avanti una democrazia maggiormente partecipativa, che puntava all’inclusione sociale delle donne e dei movimenti indigeni. Il secondo blocco, invece, di impronta più moderata e riformista, era formato da governi con alle spalle una lunga lotta centro le dittature civico-militari.
Gli esponenti politici di questi governi: si impegnarono nel favorire processi di trasformazione graduale; lavorarono per aumentare la spesa pubblica e rafforzare il ruolo dello Stato, senza però promuovere rotture drastiche, “tranquillizzando” i ceti medi, gli imprenditori e gli organismi internazionali. Rientrano in questo blocco: il Brasile di Lula e Dilma Rousseff, il Cile di Michelle Bachlet, l’Uruguay di José Pepe Mujica e l’Argentina di Nestror Kirchner e Cristina Fernández de Kirchner, che potremmo collocare a metà strada fra questi due blocchi ideali.
Nuove prospettive, nuovi scenari: la “nuova” marea rosada
Rientrano in questa compagine – oltre il neo rieletto Lula, che potremmo considerare come l’ultimo tassello di questo nuovo/vecchio fronte – Gustavo Petro in Colombia, Gabriel Boric in Cile, Xiomara Castro in Honduras, Pedro Castillo in Perù; e i già presenti Andrés Manuel López Obrador in Messico, Alberto Fernandez in Argentina, Luis Arce in Bolivia e Nicolas Maduro in Venezuela. Sebbene sia impossibile prevedere quale sarà la futura conformazione di questa “nuova” marea rosada e se questa sarà in grado di riproporre, ancora una volta, i medesimi meccanismi multilaterali del passato è evidente che ci siano degli obiettivi, delle priorità comuni tra tutti questi governi. Uno tra questi è il tema dell’estrattivismo. In proposito il presidente colombiano Petro ha stabilito che una delle priorità del governo sarà la transizione energetica proponendo «una trasformazione economica, ma anche culturale, in grado di consentire il rispetto degli impegni per la lotta al cambiamento climatico»[1]. A partire da questa prospettiva il presidente ha promosso: la non approvazione di nuovi contratti di esplorazione mineraria; il divieto di fracking[2]; lo stop allo sfruttamento offshore, particolarmente dannoso per gli ecosistemi marini; il riesame delle licenze per i megaprogetti industriali in territori esposti a rischi idrogeologici. Parallelamente anche il presidente Boric si è dimostrato deciso a promuovere l’attuazione di un nuovo modello economico, volto a tutelare la vita umana e a distribuire le risorse naturali in tutte le regioni del Cile. Sin dalla campagna elettorale Boric ha ricordato la necessità di abbandonare l’approccio estrattivista, foriero di mettere in pericolo la natura e il suo ecosistema. Attività come la pesca industriale e il disboscamento indiscriminato delle foreste hanno un impatto diretto sull’ambiente e sull’ecosistema, accelerando la crisi climatica, fa notare Boric. In questo senso il presidente ha dichiarato: «Il nostro governo porrà fine all’eccessivo estrattivismo che ha impedito l’erogazione di acqua in Cile»[3]. Dal canto suo Lula, sebbene sul tema non si sia espresso in maniera netta come i suoi omologhi, ha fatto delle salvaguardia della biodiversità amazzonica un pilastro – condiviso anche dagli altri presidenti – della sua campagna elettorale. In questo senso, durante il suo primo discorso da rieletto ha dichiarato: «Quando un bambino indigeno muore assassinato dall’avidità dei predatori dell’ambiente, una parte dell’umanità muore con lui. Pertanto, riprenderemo il monitoraggio e la sorveglianza dell’Amazzonia e combatteremo tutte le attività illegali. Il Brasile è pronto a riprendere il suo ruolo di primo piano nella lotta alla crisi climatica, proteggendo tutti i nostri biomi, in particolare la Foresta Amazzonica. Nel nostro governo siamo riusciti a ridurre dell’80% la deforestazione in Amazzonia. Ora, combattiamo per la deforestazione zero»[4]. Seguendo tale logica, a margine della COP 27 Lula ha dichiarato: «Non dobbiamo misurare gli sforzi per convincere le persone che un albero in piedi vale più di un albero abbattuto. Non discuteremo di incendi e deforestazione solo a Brasilia, parleremo con i sindaci, vedremo quali risorse sono necessarie»[5]. A partire da questa prospettiva il presiedente brasiliano ha proposto, riscontrando l’immediato sostegno di Petro, la realizzazione della 30a conferenza sul clima proprio nell’Amazzonia brasiliana. Altri due temi intrecciati e prioritari per i governi sono la salvaguardia delle popolazioni indigene e il multilateralismo. Riguardo a quest’ultimo aspetto, in occasione del vertice di Sharm el-Sheik, Maduro ha proposto: la realizzazione di un incontro sudamericano sull’Amazzonia che coinvolgesse Colombia e Brasile in primis, e la riformulazione dell’Organizzazione del trattato di cooperazione amazzonica. L’interesse a rilanciare il multilateralismo latinoamericano è stato, inoltre, rispeso dallo stesso Lula che ha dichiarato: «Nei miei viaggi internazionali, quello che sento di più è che al mondo manca il Brasile. Mi manca quel Brasile che parlava alla pari con i paesi più ricchi e potenti. E allo stesso tempo ha contribuito allo sviluppo dei paesi più poveri»[6].
Conclusioni
Ad oggi, se è in parte prematuro immaginare il consolidarsi di un blocco in linea con le medesime dinamiche del passato, è altrettanto plausibile immaginare che tutti questi governi possano fare fronte comune a livello regionale e extraregionale. Ciò anche grazie alla scomparsa del fantasma del bolsonarismo e il ritorno, sulla scena internazionale, del gigante economico brasiliano.
Note
[1] Citazione presente in “Transición energética en Colombia: ¿Fin del extractivismo?”, consultabile al link: https://www.dw.com/es/transici%C3%B3n-energ%C3%A9tica-en-colombia-fin-del-extractivismo/a-62212751.
[2] Frantumazione idraulica volta ad iniettare acqua, sostanze chimiche e sabbia silicea ad alta pressione nella roccia, allo scopo di forzarla a rilasciare idrocarburi. Il processo richiede l’utilizzo di enormi quantità di acqua che, una volta miscelatasi con le sostanza chimiche usate, spesso refluisce e si infiltra nelle falde acquifere.
[3] Per maggiori approfondimenti si veda: https://twitter.com/gabrielboric/status/1452004863336796161?s=20&t=w7mby9LOd-GXQoya5Ua5Rw.
[4] Per maggiori approfondimenti si veda: https://twitter.com/LulaOficial/status/1586873421266313216?s=20&t=TuxijEH5GV5AkMKSmyqw8Q e https://twitter.com/LulaOficial/status/1586873247127183366?s=20&t=N-rMRBkeJ15QtaGCT2mQRw.
[5] Per maggiori approfondimenti si veda: https://twitter.com/LulaOficial/status/1592827915489902594?s=20&t=TuxijEH5GV5AkMKSmyqw8Q.
[6] Per maggiori approfondimenti si veda: https://twitter.com/LulaOficial/status/1586872616161361921?s=20&t=3FVel7OpdEjcxInqz0-jKQ.
Foto copertina: Un possibile ritorno della “marea rosada”