Da un punto di vista geografico, il Kurdistan è un altopiano vasto 450.000 km2, situato nella parte nord-est della Mesopotamia e ricchissimo di materie prime, tra cui petrolio e risorse idriche; per quanto concerne il piano geopolitico, si tratta di una regione altamente strategica e divisa tra Turchia, Siria, Iraq e Iran. Tali caratteristiche hanno posto e pongono tutt’ora il Kurdistan e i curdi stessi al centro di conflitti domestici ed internazionali.


 Libri consigliati

 

 


Introduzione

Gli storici concordano quasi all’unanimità in merito all’appartenenza dei curdi ad un popolo a sé stante – diverso da quello arabo, turco e persiano – da circa due millenni, tuttavia l’acquisizione di un’identità e il richiamo alla stessa risalgono solo all’inizio del secolo scorso, quando è stato messo in discussione il concetto di cittadinanza ottomana[1].

Divisa nei quattro Stati di Turchia, Siria, Iraq e Iran, la popolazione curda conta ben 35.000 individui; essi rappresentano la quarta etnia del Medio Oriente, nonché il popolo più numeroso al mondo a non avere un proprio Stato-nazione. Nel corso della storia, i curdi sono stati oggetto di discriminazioni, persecuzioni ed alleanze tradite, il che ne ha decretato la condizione attuale[2].

Iniziando con un breve approfondimento sulle caratteristiche del popolo curdo, si è scelto di soffermarsi sull’evoluzione del popolo curdo in Turchia e in Siria per poi concludere con l’attacco ai curdi siriani lanciato da Recep Tayyip Erdoğan lo scorso ottobre. La scelta di focalizzarsi solo sui contesti turco e siriano è strumentale alla comprensione dell’attacco del governo di Ankara.

Per quanto concerne la situazione del popolo curdo negli altri due Stati, è sufficiente ricordare che in Iraq l’attore principale è rappresentato dal Governo Regionale del Kurdistan (KRG), istituito nel 1991 grazie al sostegno statunitense[3], laddove in Iran, nel 1946, nasce la Repubblica Democratica di Mahabad[4].

 

Il popolo curdo

I curdi sono un popolo indoeuropeo[5], cui significato etimologico è “coraggioso” o “guerriero”. La loro struttura organizzativa è sempre stata di tipo tribale e dunque articolata sulla base dell’appartenenza a clan o famiglie, il che rappresenta un ulteriore fattore che ostacola il processo di sviluppo nazionale[6].

Oltre a non avere mai avuto una patria comune, i curdi non hanno neanche un’unica lingua. In Turchia, in Siria e nelle province irachene di Zakho e Dohok i curdi parlano il kurmanji, laddove nel resto dell’Iraq e in Iran essi parlano il sorani. Diversa è anche la scrittura: solo in Turchia si utilizzano i caratteri latini, laddove nelle restanti aree sono utilizzati i caratteri arabi modificati[7].

Mappa del Kurdistan.

Sul piano confessionale, prima dell’occupazione araba, i curdi praticavano la religione zoroastriana, sebbene fossero presenti anche comunità ebraiche e cristiane. Attualmente la maggioranza dei curdi professa l’Islam sunnita, tuttavia nella parte sud-est della regione è l’Islam sciita la religione praticata; a tale divisione si aggiunge un 5% di fede cristiana caldea[8]

I curdi si sono identificati come popolo solo all’inizio del secolo scorso, quando è emersa un’identità a carattere etnico e transnazionale, fattore tipico del contesto mediorientale. Ciò non significa che l’aspetto confessionale debba essere del tutto tralasciato ed ignorato, bensì che è quello etnico a connotare maggiormente l’identità del popolo curdo, la quale appare trasversale rispetto alle affiliazioni religiose[9].

L’emersione della questione curda coincide con il crollo dell’Impero Ottomano e la nascita del moderno assetto statale del Medio Oriente, sebbene in un primo momento la regione fosse già divisa tra Impero Ottomano ed Impero Persiano[10].

Nel 1920, il Trattato di Sèvres[11] sancì la nascita dello Stato del Kurdistan, tuttavia, a causa della forte opposizione del nascente governo turco guidato da Mustafa Kemal Atatürk, l’accordo del 1920 venne sostituito dal Trattato di Losanna del 1923, il quale da un lato taceva in merito alle rivendicazioni curde, dall’altro sanciva la divisione dell’altopiano tra Turchia, Siria, Iraq e Iran[12]. Se dunque in un primo momento le aspirazioni nazionalistiche curde trovarono un riconoscimento formale, in un secondo momento esse furono tradite e del tutto abbandonate, il che comportò la nascita di diversi movimenti aventi come obiettivo l’affermazione del popolo curdo, la libertà di esistere, la nascita di una patria e la difesa dei diritti[13].

Turchia: tra politiche di assimilazione e processo di pace

Dal 1923 al 1990, la Turchia ha attuato una politica ben definita nei riguardi dei curdi presenti sul territorio nazionale, la quale si è incentrata su tre pilastri, ossia assimilazione, repressione e contenimento: scopo del governo turco era porre fine alla questione curda[14], arrivando persino a negare l’esistenza dei curdi in quanto gruppo etnico. Tali politiche sono state particolarmente forti nel sud-est del paese e si sono spinte fino allo spostamento coercitivo, al divieto di nomi, di usanze e dell’utilizzo del dialetto curdo in ambito pubblico[15].

La Turchia non si è interessata solo ai curdi presenti all’interno del suo territorio, bensì ha sempre cercato di tenere sotto controllo le minoranze curde in Siria ed Iraq, evitando contatti di tipo politico e culturale, in quanto riteneva che questi potessero essere pericolosi per la stabilità interna[16].

Un ruolo centrale nel rapporto tra Turchia e minoranza curda è rivestito dal Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), fondato nel 1978 con lo scopo di creare una repubblica curda indipendente. Il PKK è subito emerso nello scenario geopolitico, entrando in guerra con il governo turco già nel 1984; a causa di tale azione, il PKK è ritenuto un gruppo terroristico da Turchia, Stati Uniti e, a partire dal 2002, anche dall’Unione Europea[17].

Oltre alle politiche di assimilazione, volte ad eliminare gli aspetti culturali, linguistici e dunque anche etnici, i curdi hanno subito una vera e propria campagna di repressione da parte del governo di Ankara, il quale, resosi conto che le precedenti politiche non avevano perseguito lo scopo desiderato, ha intrapreso un’azione decisamente più violenta per porre fine alla questione curda. Tale campagna di repressione è terminata nel 1999, quando il leader del PKK Abdullah Öcalan è stato catturato in Kenya con l’aiuto della CIA e riportato in Turchia, dove sta ancora scontando l’ergastolo[18]. Dal 1984, anno in cui Öcalan ha dato inizio alla lotta armata, si stimano tra i 30.000 e i 40.000 morti[19].

Gli anni ‘90 rappresentano un periodo peculiare per quanto concerne la questione curda in Turchia, in quanto due eventi internazionali hanno avuto un forte impatto su essa. In primo luogo, la protezione offerta dagli Stati Uniti ai curdi iracheni nel 1991 ha suscitato notevoli preoccupazioni nel governo di Ankara. In secondo luogo, nel dicembre del 1999, alla Turchia è stato conferito formalmente lo status di candidato all’Unione Europea, il che ha comportato l’obbligo di introdurre delle riforme, soprattutto nei riguardi del popolo curdo[20].

La situazione ha subito un primo sensibile mutamento con l’arrivo al potere del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP), inteso ad ampliare la propria base elettorale, sia attraverso la promozione dello sviluppo delle città curde, sia ponendo l’accento sull’aspetto religioso del paese. Nel 2002, il discorso politico di Erdoğan ha affrontato la questione curda, affermando la volontà di concedere più diritti al popolo curdo e di creare un ambiente maggiormente inclusivo[21].

Un secondo e ben più visibile mutamento è avvenuto nel 2007, quando l’AKP ha iniziato a porre in essere le basi per una politica di negoziazione e di ricognizione, la quale ha dato luogo al processo di pace iniziato nel 2009 ed articolato in tre tappe: 2009, 2010-2011, 2013-2015. Tale processo ha avuto come protagonisti l’AKP, il PKK e i rispettivi leader, inoltre si è basato su due pilastri, ossia negoziazione e riforme; in un primo momento, il disarmo del PKK sembrava essere la condizione sine qua non per ottenere in cambio un maggior riconoscimento politico e culturale[22].

La terza fase del processo di pace è quella più complessa ed articolata, poiché da un lato ha fatto seguito allo scoppio della guerra civile in Siria, dall’altro si è intersecata con la nascita dello Stato Islamico (ISIS). Tale fase è iniziata con gli incontri segreti tra Öcalan ed ufficiali dell’intelligence turca tenutisi nella primavera del 2013[23]; nel marzo dello stesso anno, Öcalan ha unilateralmente annunciato il cessate il fuoco, il quale ha suscitato non poche speranze circa la buona riuscita del processo di pace[24].

Le richieste dei curdi sono state molto specifiche e si sono incentrate su tre aspetti: modifica della costituzione sulla base della multiculturalità della Turchia, decentramento amministrativo per l’intero paese, rimozione delle proibizioni culturali e linguistiche. Tuttavia, a fronte di pretese così chiare, il comportamento di Erdoğan e dell’AKP è apparso alquanto ambiguo[25].

La guerra civile in Siria ha inciso notevolmente sul processo di pace, rappresentando per esso una minaccia, in quanto il conflitto siriano ha mutato il balance of power nella regione mediorientale. Due sono i fattori principali che hanno suscitato preoccupazioni in Ankara. In primo luogo, il ramo siriano del PKK, ossia il Partito dell’Unione Democratica (PYD), è stato tra i primi a combattere e respingere l’avanzata dell’ISIS, godendo del sostegno militare, logistico e diplomatico degli Stati Uniti; in seguito anche il PKK si è unito alla lotta, mostrando una notevole capacità di intervento. In secondo luogo, il PYD ha realizzato non pochi obiettivi in termini di autogoverno, rappresentando per i curdi in Turchia un modello da seguire[26].

Nell’aprile del 2015, Erdoğan ha affermato che non vi era alcuna questione curda, il che ha posto fine al processo di pace. Nel contesto della guerra civile siriana, il PKK ha visibilmente aumentato il proprio potere, finendo per utilizzarlo in una ritrovata ostilità contro la Turchia[27].

 

Siria: l’esperimento Rojava

In Siria, la questione curda è emersa relativamente tardi e presenta inoltre forti legami sia con il PKK, sia con il leader Öcalan, di cui i curdi siriani abbracciano l’ideologia e la teoria del confederalismo democratico. Dal primo dopoguerra fino al nuovo millennio, la popolazione curda presente sul territorio siriano è stata vittima della repressione del governo centrale e non si è mai organizzata per fronteggiare tale oppressione; la situazione è cambiata nel 2003, quando è stato fondato il PYD nella parte settentrionale del paese da alcuni membri del PKK[28]: a causa dello stretto legame tra i due partiti curdi, anche il PYD e le milizie dell’YPG – braccio armato del PYD – sono considerati gruppi terroristici[29].

L’attivismo politico e militare del PYD è emerso sulla scena internazionale a partire dalle primavere arabe del 2011, in quanto il governo di Damasco non aveva le risorse necessarie per combattere contemporaneamente i ribelli e i curdi, i quali, sfruttando l’assenza e l’incapacità delle forze governative, hanno iniziato dal 2012 ad occupare l’area settentrionale delle Siria, in cui ancora oggi è presente la minoranza curda[30].

Il ruolo del PYD è divenuto peculiare nel 2014, poiché le milizie dell’YPG sono state le prime a respingere l’avanzata dell’ISIS, il che ha significato per il PYD l’appoggio statunitense e la solidarietà da parte dell’intera comunità internazionale[31]. Nel settembre dello stesso anno, le truppe dell’ISIS hanno attaccato Kobane, città altamente strategica in quanto si trova al confine con la Turchia; naturalmente, la riposta curda è stata molto rapida[32].

La battaglia di Kobane rappresenta un punto essenziale per quanto concerne la questione curda in Siria per due motivi principali. In primo luogo, oltre al PKK, hanno combattuto con le milizie dell’YPG anche i peshmerga del KRG, i quali hanno preferito mettere da parte le ostilità con il PKK concernenti una storica disputa di leadership per cacciare l’ISIS dalla città curda. Inoltre, la liberazione di Kobane nel febbraio del 2015 e la resistenza curda hanno designato il PYD come uno degli attori più importanti nella lotta all’ISIS[33].

Nel 2014, godendo di una maggiore autonomia, nonché di un ruolo di primaria importanza, il PYD ha unilateralmente dato vita ad un governo curdo autonomo nella parte settentrionale della Siria[34]; la regione, nota con il nome di Rojava, non è ufficialmente riconosciuta, e in essa si stima la presenza di più di 500.000 curdi.[35]

Data la copertura mediatica dei curdi siriani, ma soprattutto dato l’obiettivo che essi hanno realizzato, la Turchia teme fortemente il legame tra il PKK e il PYD, nonché l’eventualità che un secondo Rojava possa essere creato in Turchia; i timori di Ankara sono accentuati dalle divisioni interne al PKK, in cui da un lato Öcalan e i suoi fedeli non intendono ottenere l’indipendenza dal governo centrale, dall’altro l’aumento di potere del PKK ha riacceso il nazionalismo curdo[36].

L’attacco di Erdoğan ai curdi siriani

Il conflitto siriano, iniziato con le primavere arabe del 2011 e non ancora conclusosi, presenta dinamiche altamente complesse: all’opposizione tra governo centrale e ribelli si aggiungono le milizie jihadiste, nonché molteplici divisioni all’interno del fronte dei ribelli. In questo scenario si inseriscono anche i curdi del PYD con le milizie dell’YPG che, come già affermato, hanno per primi combattuto le truppe dell’ISIS, divenendo gli attori principali nella lotta allo Stato Islamico, il che ha concesso loro di contare – fino all’ottobre scorso – sul sostegno statunitense, ma soprattutto di poter sperimentare un autogoverno regionale nella parte settentrionale della Siria, ossia al confine con la Turchia.

La ritrovata solidarietà da parte della comunità internazionale, la copertura mediatica, l’appoggio statunitense da un lato, e l’autogoverno del Rojava dall’altro sono le due variabili necessarie ad inquadrare e comprendere l’attacco messo in atto da Erdoğan lo scorso ottobre. Come già ribadito più volte, i curdi siriani sono stati supportati dagli Stati Uniti nella lotta all’ISIS, tuttavia tale sostegno è venuto a mancare lo scorso ottobre, quando il Presidente Donald Trump ha annunciato il ritiro delle truppe statunitensi dall’area della Siria confinante con la Turchia[37].

La scelta di Trump può essere letta alla luce delle attuali direttrici della politica estera statunitense, le quali propendono per il disimpegno militare, soprattutto in una regione critica come quella del Medio Oriente, in cui l’enorme potere militare degli Stati Uniti non è mai stato sufficiente per ottenere la vittoria politica e militare. Secondo gli studiosi, l’uso della forza e del potere militare, nonché il loro continuo aumento, erano giustificati nel contesto bipolare, tuttavia, nell’era seguente alla Guerra Fredda, il costante ricorso ai mezzi militari ha avuto e ha tutt’ora conseguenze destabilizzanti che hanno portato a disordini ed ulteriori minacce[38].

Il ritiro dei militari statunitensi ha avuto due importanti conseguenze. In primo luogo, gli Stati Uniti non hanno ottemperato l’onere di assicurare stabilità e sicurezza nella regione, come era stato stabilito da un precedente accordo stipulato con la Turchia lo scorso agosto, il quale prevedeva sia un parziale ritiro delle milizie dell’YPG, sia la presenza di contingenti congiunti lungo il confine turco-siriano. In secondo luogo, la potenza statunitense ha esposto i curdi al pericolo turco[39].

L’attacco del governo di Ankara è giunto poco dopo il ritiro statunitense ed è stato annunciato direttamente da Erdoğan, nonostante il parere contrario di Vladimir Putin. Ai raid aerei ha fatto seguito l’offensiva di terra, alla quale ha preso parte anche l’Esercito siriano libero (FSA) cooptato da Ankara[40]. Dopo due settimane, grazie alla mediazione russa, è stata firmata una tregua, concedendo alla Turchia la possibilità di creare una safe zone in cui accogliere i rifugiati siriani[41].

Conclusioni

I curdi sono un popolo fortemente eterogeneo, sia dal punto di vista linguistico, sia dal punto di vista religioso, infatti la loro identità si incentra tutta sul fattore etnico. L’aspetto peculiare della popolazione curda concerne una storia caratterizzata da repressioni, discriminazioni e continue lotte, le quali non hanno tuttavia portato alla nascita del Kurdistan, ossia la tanto attesa e desiderata patria dei curdi.

Nei quattro stati in cui costituiscono una minoranza, i curdi non godono dei diritti richiesti né tantomeno sono considerati un’etnia a sé stante. Nello specifico, in Turchia e in Siria la popolazione curda ha subito una forte oppressione da parte del governo centrale; nel primo caso, il processo di pace intrapreso dall’AKP nel 2009 non ha realizzato gli obiettivi sperati, laddove i curdi siriani hanno conosciuto una maggiore autonomia solo nel contesto della guerra civile.

La condizione attuale della popolazione curda presente in Turchia e in Siria è altamente peculiare: da un lato, il PKK ha riaperto le ostilità con Ankara, dall’altro il PYD sembra aver mutato il quadro delle sue alleanze.

In seguito all’offensiva lanciata dal governo turco ed essendo stati abbandonati dagli Stati Uniti che li hanno sostenuti nella lotta contro l’ISIS, i curdi hanno potuto contare sulla mediazione della Russia, la quale è stata rilevante se non fondamentale per la tregua negoziata con Erdoğan dopo due settimane dall’inizio dell’attacco.

I curdi si trovano dunque ad essere supportati dalla Russia, la quale ha sempre sostenuto il governo centrale di Damasco durante la guerra civile, non rinunciando ad un dialogo pacifico con Ankara per il futuro e la stabilità della regione[42]. Se Mosca è pronta ad accrescere la sua influenza nella regione e a prendere il posto di Washington, la questione centrale concerne fino a che punto i curdi sono disposti ad accettare tale alleanza, dati i rischi che questa comporterebbe per l’autogoverno nella regione del Rojava[43].


Note

[1] Kamel L., Iraq: la scissione curda in una prospettiva storica, Affari Internazionali, 22 settembre 2017.

https://www.affarinternazionali.it/2017/09/iraq-scissione-curdi-prospettiva/

[2] Filios L., Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria, Osservatorio Diritti, 9 gennaio 2020.

https://www.osservatoriodiritti.it/2020/01/09/curdi-siria-in-turchia-news-isis-cosa-sta-succedendo-storia/

[3] Barkey H. J., On the KRG, the Turkish-Kurdish Peace Process, and the Future of the Kurds, Istituto Affari Internazionali, giugno 2015.

[4] Khoshnaw H., Curdi, la felice eccezione di un popolo in pace, Reset Dialogues, 5 dicembre 2017.

https://www.resetdoc.org/it/story/curdi-la-felice-eccezione-di-un-popolo-in-pace/

[5] Khoshnaw H., Curdi, la felice eccezione di un popolo in pace, Reset Dialogues, 5 dicembre 2017.

https://www.resetdoc.org/it/story/curdi-la-felice-eccezione-di-un-popolo-in-pace/

[6] Filios L., Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria, Osservatorio Diritti, 9 gennaio 2020.

https://www.osservatoriodiritti.it/2020/01/09/curdi-siria-in-turchia-news-isis-cosa-sta-succedendo-storia/

[7] Khoshnaw H., Curdi, la felice eccezione di un popolo in pace, Reset Dialogues, 5 dicembre 2017.

https://www.resetdoc.org/it/story/curdi-la-felice-eccezione-di-un-popolo-in-pace/

[8] ibidem

[9] Kamel L., Iraq: la scissione curda in una prospettiva storica, Affari Internazionali, 22 settembre 2017.

[10] Khoshnaw H., Curdi, la felice eccezione di un popolo in pace, Reset Dialogues, 5 dicembre 2017.

https://www.resetdoc.org/it/story/curdi-la-felice-eccezione-di-un-popolo-in-pace/

[11] Il 10 agosto del 1920, nella cittadina francese di Sèvres, l’Impero ottomano firmava il trattato di pace che definiva i termini dell’accordo tra questo e le potenze vincitrici della Prima Guerra mondiale – Francia, Italia e Regno Unito (alla firma prese parte anche il Giappone). Con il Trattato di Sèvres venivano dunque definiti quelli che sarebbero dovuti essere i nuovi confini della Turchia dopo la caduta dell’Impero ottomano. http://www.treccani.it/enciclopedia/la-turchia-e-la-sindrome-di-sevres_(Atlante-Geopolitico)/

[12] Filios L., Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria, Osservatorio Diritti, 9 gennaio 2020.

https://www.osservatoriodiritti.it/2020/01/09/curdi-siria-in-turchia-news-isis-cosa-sta-succedendo-storia/

[13] Khoshnaw H., Curdi, la felice eccezione di un popolo in pace, Reset Dialogues, 5 dicembre 2017.

https://www.resetdoc.org/it/story/curdi-la-felice-eccezione-di-un-popolo-in-pace/

[14] Yeğen M., “The Kurdish Peace Process in Turkey: Genesis, Evolution and Prospects”, in Global Turkey in Europe III: Democracy, Trade, and the Kurdish Question in Turkey-EU Relations, 157-184, Edizioni Nuova Cultura per Istituto Affari Internazionali, 2015.

[15] Filios L., Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria, Osservatorio Diritti, 9 gennaio 2020.

https://www.osservatoriodiritti.it/2020/01/09/curdi-siria-in-turchia-news-isis-cosa-sta-succedendo-storia/

[16] Yeğen M., “The Kurdish Peace Process in Turkey: Genesis, Evolution and Prospects”, in Global Turkey in Europe III: Democracy, Trade, and the Kurdish Question in Turkey-EU Relations, 157-184, Edizioni Nuova Cultura per Istituto Affari Internazionali, 2015.

[17] Filios L., Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria, Osservatorio Diritti, 9 gennaio 2020.

https://www.osservatoriodiritti.it/2020/01/09/curdi-siria-in-turchia-news-isis-cosa-sta-succedendo-storia/

[18] Yeğen M., “The Kurdish Peace Process in Turkey: Genesis, Evolution and Prospects”, in Global Turkey in Europe III: Democracy, Trade, and the Kurdish Question in Turkey-EU Relations, 157-184, Edizioni Nuova Cultura per Istituto Affari Internazionali, 2015.

[19] Resch E. M., Syria’s Impact on the Kurdish Peace Process in Turkey, Istituto Affari Internazionali, giugno 2017.

[20] ibidem

[21] ibidem

[22] Yeğen M., “The Kurdish Peace Process in Turkey: Genesis, Evolution and Prospects”, in Global Turkey in Europe III: Democracy, Trade, and the Kurdish Question in Turkey-EU Relations, 157-184, Edizioni Nuova Cultura per Istituto Affari Internazionali, 2015.

[23] Zalewski P., “Erdoğan, the Kurds, and Turkey’s Presidential Elections”, in Global Turkey in Europe III: Democracy, Trade, and the Kurdish Question in Turkey-EU Relations, 145-148, Edizioni Nuova Cultura per Istituto Affari Internazionali, 2015.

[24] Barkey H. J., On the KRG, the Turkish-Kurdish Peace Process, and the Future of the Kurds, Istituto Affari Internazionali, giugno 2015.

[25] ibidem

[26] Pope H., “Turkey, Syria and Saving the PKK Peace Process”, in Global Turkey in Europe III: Democracy, Trade, and the Kurdish Question in Turkey-EU Relations, 149-155, Edizioni Nuova Cultura per Istituto Affari Internazionali, 2015.

[27] Resch E. M., Syria’s Impact on the Kurdish Peace Process in Turkey, Istituto Affari Internazionali, giugno 2017.

[28] Resch E. M., Syria’s Impact on the Kurdish Peace Process in Turkey, Istituto Affari Internazionali, giugno 2017.

[29]Filios L., Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria, Osservatorio Diritti, 9 gennaio 2020.

https://www.osservatoriodiritti.it/2020/01/09/curdi-siria-in-turchia-news-isis-cosa-sta-succedendo-storia/

[30] Resch E. M., Syria’s Impact on the Kurdish Peace Process in Turkey, Istituto Affari Internazionali, giugno 2017.

[31] Filios L., Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria, Osservatorio Diritti, 9 gennaio 2020.

https://www.osservatoriodiritti.it/2020/01/09/curdi-siria-in-turchia-news-isis-cosa-sta-succedendo-storia/

[32] Resch E. M., Syria’s Impact on the Kurdish Peace Process in Turkey, Istituto Affari Internazionali, giugno 2017.

[33] ibidem

[34] ibidem

[35] Filios L., Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria, Osservatorio Diritti, 9 gennaio 2020.

https://www.osservatoriodiritti.it/2020/01/09/curdi-siria-in-turchia-news-isis-cosa-sta-succedendo-storia/

[36] Resch E. M., Syria’s Impact on the Kurdish Peace Process in Turkey, Istituto Affari Internazionali, giugno 2017.

[37] Borsari F., Losing the Kurds means losing face, ISPI, 19 ottobre 2019.

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/losing-kurds-means-losing-face-24139

[38] Grieco K. A., “The 2018 National Defense Strategy: Continuity and Competition”, in Strategic Studies Quarterly, Vol. 12, No. 2, 3-8, Air University Press, summer 2018.

[39] Borsari F., Losing the Kurds means losing face, ISPI, 19 ottobre 2019.

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/losing-kurds-means-losing-face-24139

[40] Siria, la Turchia passa il confine e lancia l’attacco ai curdi. Raid aerei, l’Ypg: “Uccisi dei civili”, Repubblica Esteri, 9 ottobre 2019.

https://www.repubblica.it/esteri/2019/10/09/news/turchia_siria_curdi_raid-238059474/

[41] Filios L., Curdi: storia di un popolo senza diritti e senza patria, Osservatorio Diritti, 9 gennaio 2020.

https://www.osservatoriodiritti.it/2020/01/09/curdi-siria-in-turchia-news-isis-cosa-sta-succedendo-storia/

[42] Colombo M., Siria: le conseguenze dell’uccisione dei soldati turchi, ISPI, 3 febbraio 2020.

https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/siria-le-conseguenze-delluccisione-dei-soldati-turchi-24998

[43] Borsari F., Losing the Kurds means losing face, ISPI, 19 ottobre 2019. https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/losing-kurds-means-losing-face-24139


Copertina: Ispi


[trx_button type=”square” style=”default” size=”medium” icon=”icon-file-pdf” align=”center” link=”https://www.opiniojuris.it/wp-content/uploads/2020/02/Kurdistan-storia-di-uno-stato-mai-nato-Giorgia-Papallo.docx.pdf” popup=”no” top=”inherit” bottom=”inherit” left=”inherit” right=”inherit” animation=”bounceIn”]Scarica Pdf[/trx_button]