Berlino, il semaforo perde il giallo del FDP


La coalizione semaforo, dal nome dei colori tradizionalmente associati ai tre partner di governo, è arrivata al capolinea con la fuoriuscita dei liberali del FDP (Freie Demokratische Partei) dopo mesi di tensioni accumulate. Tensioni che hanno raggiunto l’apice martedì con il licenziamento del Ministro delle Finanze Lindner e le conseguenti dimissioni di tutti i ministri liberali. Scholz ha annunciato un voto di fiducia al Bundestag a gennaio 2025 e conseguenti elezioni anticipate.


Sembra essere arrivata al capolinea l’esperienza di Olaf Scholz alla Cancelleria federale della Germania, dopo tre anni e a poca distanza dalle prossime elezioni che avrebbero dovuto tenersi a settembre 2025. Lo sfarinamento della coalizione di governo, composta dai socialdemocratici dell’SPD (Sozialdemokratische Partei Deutschlands), dai verdi (Die Grünen) e dai liberali, è arrivato in un momento complesso per la Germania che continua a vedere la propria economia in forte difficoltà e, con l’elezione di Donald Trump, rischia di piombare in un vero e proprio incubo se le promesse di dazi e guerre commerciali dovessero essere mantenute dalla Casa Bianca. Nel frattempo, i partiti dell’ormai ex coalizione sono in forte difficoltà nei sondaggi e non hanno ottenuto risultati entusiasmanti durante le elezioni dei parlamenti regionali e, nemmeno, alle europee di giugno.
L’esecutivo, che è nato sulla base di un accordo di governo firmato il 7 dicembre 2021 dall’evocativo titolo “Mehr Fortschritt Wagen – Bündnis für Freiheit, Gerechtichkeit und Nachhaltigkeit” – “Osare più progresso – Alleanza per la libertà, la giustizia e la sostenibilità” ha mancato il suo obiettivo. Sebbene il deterioramento progressivo dell’economia tedesca non sia in toto imputabile all’esecutivo, ma in gran parte a fattori esterni, è fuor di dubbio che la differente visione a proposito delle ricette economiche da adottare tra liberali da un lato, e verdi e socialdemocratici dall’altro, abbia portato ad una paralisi che sicuramente non ha giovato né al sistema economico, né politicamente ai tre partner. Il governo Scholz, infatti, insediatosi nel dicembre 2021 ha dovuto ben presto fare i conti non soltanto con gli ultimi “colpi di coda” della pandemia da COVID-19, ma anche con le conseguenze dell’invasione dell’Ucraina a opera di Mosca. I problemi di approvvigionamento energetico hanno colpito duramente la Germania, forse uno dei Paesi più esposti alle forniture provenienti dall’est.

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Nel momento di affrontare le difficoltà economiche e di mettere a terra gli interventi sono venuti al pettine tutti i nodi che rendevano sin dal principio poco amalgamabili i tre partner di coalizione. Dal punto di vista strettamente ideologico, FDP, SPD e Verdi hanno diversi approcci all’economia: i liberali, infatti, si rifanno al liberalismo classico, rappresentano in particolare le imprese, e propugnano un limitato intervento dello stato, sono favorevoli alla concorrenza, nonché a una politica fiscale prudente; dall’altro lato, Verdi e socialdemocratici sono sostenitori di un maggiore interventismo dello stato in economia sia per quanto riguarda la regolamentazione, sia per ciò che concerne la spesa, ad esempio, in materia di Welfare e di transizione verde. In questo quadro, deficit e la possibilità di farvi ricorso sono diventati i veri e propri convitati di pietra nella gestione economica della Germania e hanno ben presto impantanato l’azione di governo, costringendo il Cancelliere a costanti negoziazioni.
Il colpo che forse ha dato il via alla serie di eventi che hanno portato alla crisi di questi giorni, e probabilmente il più duro è arrivato lo scorso autunno, nel novembre 2023, da parte della Corte costituzionale tedesca, la Bundesverfassungsgericht che ha dichiarato illegale una parte del budget del 2021. In quell’anno, infatti, il Governo Merkel alle sue battute finali, per poter far fronte alla persistente emergenza pandemica, aveva ottenuto l’autorizzazione ad un indebitamento ulteriore rispetto a quanto preventivato, pari a sessanta miliardi di euro, cifra poi inutilizzata. Concluse le elezioni, inaugurato il nuovo esecutivo, questi ha deciso di dirottare i sessanta miliardi su un altro capitolo di spesa, il fondo per il clima e l’ambiente, peccato però che secondo le stringenti norme costituzionali in materia di indebitamento si sia trattato di un’azione, per l’appunto, incostituzionale . Nel 2009, infatti, il governo Merkel ha deciso di inserire nella legge fondamentale, la Grundgesetz, quello che è noto come “freno del debito” (in tedesco Schuldenbremse) che impone, salvo correzioni cicliche, un limite alle possibilità di indebitamento del governo. Il ricorso alla Corte era stato portato avanti dall’opposizione cristianodemocratica e, voltandosi all’indietro, è fuor di dubbio che sia stata una mossa acuta che potrebbe riaprire le porte della Cancelleria alla CDU/CSU. A partire dalla pronuncia della Corte, i rapporti tra i membri della coalizione hanno iniziato a deteriorarsi sempre più velocemente andando ad evidenziare una tensione permanente, con membri dell’esecutivo che hanno iniziato a muoversi in ordine sparso. Nel clima di tensione, l’economia ha continuato ad arrancare, i prezzi dell’energia sono rimasti alti e i ministri hanno continuato a proporre soluzioni differenti e tra loro contradditorie per risolvere il problema di budget. A questo si aggiungano i risultati che potremmo eufemisticamente definire come deludenti, sia nei Länder che sono andati al voto, sia alle scorse europee. Sullo sfondo si ricorda la marea montante degli estremisti di Alternative für Deutschland (AfD) che lucrano sia sulla situazione economica, sia sulle paure solite dell’estrema destra: i migranti. Forse anche per fare fronte a questa sfida, il Cancelliere ha tentato di riprendere la scena in materia migratoria, proponendo delle norme più rigide tra cui nuovi controlli alle frontiere, misura fortemente criticata anche da altri governi europei. Dopo settimane di scontri a proposito del programma di rilancio economico dell’esecutivo, i tre partner sono arrivati allo scontro finale questa settimana. È legittimo immaginare che l’aumento della pressione sul Cancelliere portata avanti dal capodelegazione liberale Christian Lindner, Ministro delle finanze, non avesse tanto lo scopo di arrivare ad un punto di mediazione, ma fosse fatto pro domo sua indirizzato, cioè, a tentare di invertire la rotta di un partito, l’FDP, che stando a tutti i sondaggi è sceso vertiginosamente negli ultimi tre anni. L’aver irrigidito le proprie posizioni e aver così dato il via a una crisi che è sfuggita dalle mani, non ha giovato all’immagine di un partito che, solitamente attento alle richieste e necessità delle imprese, è sostanzialmente responsabile di aver lasciato la Germania senza guida politica per diversi mesi e in una situazione economica complessa. La situazione è collassata a inizio novembre con il licenziamento di Lindner, il ritiro dei ministri liberali e due conferenze stampa al vetriolo.
Quello che rimane è una Germania indebolita dal punto di vista economico e con una crisi politica forse inedita per la sua gravità, che ha portato ad un esecutivo di minoranza con una prospettiva limitatissima. Olaf Scholz ha infatti comunicato che richiederà un voto di fiducia, che è destinato a perdere al Bundestag, a dicembre e la conseguente convocazione di elezioni anticipate per febbraio. L’intenzione originaria del Cancelliere era di rimandare il voto di fiducia fino a gennaio per poi permettere la convocazione delle urne per la primavera; un periodo di tempo eccessivamente lungo per Friedrich Merz e la sua CDU/CSU che hanno da subito insistito affinché questo passaggio venisse anticipato. Considerata l’impossibilità per il Governo di approvare la finanziaria, la Germania dovrà andare a bilancio provvisorio, con lo spettro di un’economia che viaggia sul filo della recessione e con la prospettiva di una nuova presidenza Trump che promette tempi duri all’Europa. La prospettiva per l’anno prossimo, inoltre, non è rassicurante: in quello che sarà un Bundestag a tutti gli effetti frazionato e con nessuna forza in grado di governare da sola, saranno necessarie negoziazioni tra i partiti politici che costringeranno a rimandare il varo del nuovo governo a primavera inoltrata. Quello che è certo è che con tutta probabilità la CDU/CSU ritornerà alla Cancelleria, in un quadro politico fortemente diverso da quello di tre anni fa, quando Angela Merkel abbandonava la politica dopo sedici anni al potere. Anche l’SPD si interroga sul proprio futuro e, in particolare, sull’opportunità di cambiare il proprio Kanzlerkandidat, il candidato alla Cancelleria: Scholz non sembra intenzionato a rinunciare, ma il partito potrebbe pensarla diversamente al fine di tentare di recuperare terreno in un elettorato che vede gli estremisti dell’AfD in seconda posizione davanti ai socialdemocratici.
La coalizione non è riuscita a concretizzare quelle promesse di cambiamento, sviluppo e modernizzazione che sembrava portare con sé. Rimane un’esperienza di governo che, si può affermare, verrà ricordata più per il tonfo sordo che ha fatto nel suo collasso, piuttosto che per dei risultati concreti.
Forse una delle parole più interessanti della lingua tedesca che è estremamente versatile ma utilissima nella descrizione è Schadenfreude, la gioia per le disgrazie altrui. È un esercizio, infatti, molto comune nella politica italiana (soprattutto in un’area dell’Emiciclo) quello di guardare ai momenti di crisi dei nostri partner d’oltralpe con una malcelata soddisfazione. Soddisfazione, però, che in questo caso non può e non dovrebbe avere cittadinanza. Il rallentamento della prima economia continentale, l’incertezza politica e i venti protezionistici che spirano oltreatlantico rischiano di colpire in maniera estremamente dura anche a casa nostra. Il blocco cui siamo testimoni negli ultimi mesi del vero motore d’Europa, l’asse Parigi – Berlino (con buona pace dei sovranisti di casa nostra) lascia un Continente sguarnito a far fronte alle sfide che l’UE deve affrontare. Solo per citarne alcune: la nuova amministrazione Trump e le sue promesse, il cambiamento climatico, l’attacco all’ordine internazionale nel quale l’Europa si è sviluppata negli ultimi settant’anni a opera di Russia e Cina, e le richieste di un Sud globale che sembra essere sulla strada di riconoscere e rivendicare la sua forza, sono tutti pezzi di un puzzle che richiederebbe una capacità progettuale di lungo periodo e che veda gli europei lavorare in Europa, per l’Europa. L’aforisma attribuito a De Gasperi che divideva tra statisti e politici ben si adegua alla situazione attuale: è il momento degli statisti, il panorama, però, sembra essere desolante.

*aggiornato il 13/11/2024


Note

[1] Bundesverfassungsgericht, Second Supplementary Budget Act 2021 is void, Press Release No. 101/2023, 15th November 2023, https://www.bundesverfassungsgericht.de/


Foto copertina: Il leader del partito FDP Christian Lindner si è rivolto nuovamente alla stampa dopo il crollo della coalizione del semaforo. Nella sede del partito a Berlino ha criticato se stesso. Ha anche affermato che una “politica del minimo comune denominatore” non è più possibile.