Continuano i negoziati tra Arabia Saudita e Iran


Prosegue il processo di ripresa delle relazioni diplomatiche tra le due potenze del Golfo con il quinto round negoziale tenutosi a Baghdad il 21 aprile, con la mediazione del primo ministro iracheno Mustafa al-Khadimi. I nodi da sciogliere sono molteplici, ma i due paesi si mostrano positivi circa un allentamento della storica tensione che li divide.


Giovedì 21 aprile 2022 le delegazioni di Iran e Arabia Saudita si sono incontrate a Baghdad, dove si è tenuto il quinto round negoziale tra i due paesi, ultima tappa del processo di distensione dei rapporti tra le due potenze regionali iniziato più di un anno fa. A capo della delegazione saudita il capo dell’intelligence Khalid al-Humaidan, mentre in rappresentanza della Repubblica Islamica dell’Iran il vicesegretario del Supremo Consiglio Nazionale di Sicurezza Saeid Iravani. Mustafa al-Khadimi, primo ministro della Repubblica Irachena, ha mantenuto il consueto ruolo di host e mediatore, già assunto durante i precedenti round negoziali.
È l’ottobre 2021 quando arriva la notizia ufficiale del primo colloquio tra i rappresentatati dei due paesi, anche se i contatti mirati a una ripresa dei rapporti diplomatici erano iniziati ad aprile, quando per la prima volta Mohammad Bin Salman aveva definito l’Iran “un paese appartenente alla regione, con il quale è necessario dialogare”.[1]
A Teheran si è appena insediato il nuovo governo Raisi, ultraconservatore vicino alla Guida Suprema Khamenei, che già durante la sua campagna elettorale aveva reso chiara la sua volontà di ristrutturare l’architettura dei rapporti della Repubblica Islamica nella regione, inaugurando una sorta di politica “del buon vicinato”, funzionale ad affrontare la crisi economica e sociale interna al paese, messo in ginocchio dalle sanzioni e dagli effetti della pandemia.
I rapporti tra i due paesi, da inquadrare sempre nell’ottica di una relazione tra due potenze antagoniste, erano precipitati nel 2016, dopo l’esecuzione in Arabia Saudita del religioso sciita Nimr Al-Nimr, che aveva scatenato l’ira degli iraniani, che nella capitale della Repubblica Islamica avevano preso di mira l’ambasciata saudita, causando ingenti danni. Da qui la rottura diplomatica, aggravata costantemente dalle accuse saudite all’Iran circa il finanziamento dei ribelli Houthi in Yemen, teatro in cui l’azione saudita fatica ad essere risolutiva. Nel 2019 l’Arabia Saudita accusa l’Iran di essere responsabile degli attacchi a due importanti installazioni petrolifere, tra cui quella di Abqaiq, dove viene gestita la maggior parte del greggio esportato dal Regno. Responsabilità, quest’ultima, declinata dall’Iran, ma che un rapporto ONU del giugno 2020 rimette in discussione[2].
Il tentativo iraniano di abbassare i toni dello scontro decennale con i paesi arabo-sunniti della regione, primo fra tutti il Regno Saudita, trova una congiuntura positiva data dal raffreddamento dei rapporti tra sauditi e americani, questi ultimi impegnati a rivolgere il loro sguardo altrove, lontano – per il momento –, dalle dinamiche mediorientali. Lo conferma la volontà USA di riesumare l’accordo sul nucleare con l’Iran (JCPOA – Joint Comprehensive Plan of Action). Oltre alla conferma del disimpegno americano, anche la guerra in Yemen, uno dei teatri di scontro della guerra proxy tra Iran e Arabia Saudita, si è appena avviata a una fase di svolta; il 2 aprile di quest’anno è stato inaugurato il primo temporaneo (si parla di due mesi) cessate il fuoco dal 2016. Il conflitto ha assunto costi elevatissimi non solo per il Regno Saudita, ma anche per l’Iran, che sebbene si sia speso economicamente in maniera nettamente inferiore rispetto al suo antagonista, in caso di vittoria dei ribelli si troverebbe a gestire il paese più povero del mondo arabo, la cui crisi umanitaria è stata recentemente aggravata dalla crisi ucraina.
Queste evoluzioni hanno spinto i due paesi a continuare il lento processo di ripresa delle relazioni diplomatiche. Dopo la conferma dell’avvenuto incontro del 21 aprile, sono trapelate notizie circa un possibile incontro in Oman, a cui seguirà un altro round negoziale nelle settimane seguenti, confermato dal ministro degli esteri iracheno Fouad Hussein, che ha dichiarato che il suo paese ospiterà – come avvenuto finora – i prossimi colloqui. I nodi da sciogliere sono molteplici, la guerra in Yemen, l’assetto securitario della regione, ma anche la questione del giacimento di gas offshore Arash/al-Durra, compreso nei confini marittimi di Kuwait, Iran e Arabia Saudita, le cui quote sono tuttora oggetto di discussione.[3]


Note

[1] Perteghella A., Segnali di dialogo in Medio Oriente: aspettative e ostacoli, ISPI, 7 maggio 2021
[2] Nichols M., “Arms seized by U.S., missiles used to attack Saudi Arabia ‘of Iranian origin’: U.N.”, Reuters, 12 giugno 2020
[3] Nel marzo 2022 è stato firmato un accordo tra Arabia Saudita e Kuwait per lo sviluppo del giacimento Arash/al-Durra che esclude l’Iran, recentemente “invitato” dalle controparti a negoziare i limiti del giacimento offshore di cui i tre paesi detengono la proprietà.


Foto copertina: Iran e Arabia Saudita bandiere.