Il ruolo della Giordania per la pace e la sicurezza del Mediterraneo


La Giordania ha il potenziale di configurarsi come attore chiave per la stabilità del Mediterraneo, così come in riferimento alle crisi più urgenti che interessano l’area. Ne abbiamo discusso con l’On. Yahya Hussein Obeidat, membro del Comitato di Politica Estera del Parlamento giordano.


Dopo più di un decennio dalle primavere arabe che, a partire dalla Tunisia, hanno interessato la maggior parte dei Paesi arabi dell’area mediterranea, i giovani rappresentano ancora una variabile fondamentale nella costruzione di uno spazio di pace e sicurezza nella regione. In questo senso, grazie ad un’esperienza eccezionale durante le proteste del 2011, la Giordania ha il potenziale di configurarsi come attore chiave per la stabilità del Mediterraneo, così come in riferimento alle crisi più urgenti che interessano l’area. Ne abbiamo discusso con l’On. Yahya Hussein Obeidat, membro del Comitato di Politica Estera del Parlamento giordano.

Yahya Hussein Obeidat, membro del Comitato di Politica Estera del Parlamento giordano

Nel 2011, nell’area mediterranea i giovani si sono posti al centro di un movimento che è sceso in piazza contro i regimi politici locali, a partire dalla Tunisia. Quali furono le ragioni alla base delle manifestazioni?
“La popolazione nelle aree più povere del Mediterraneo deve affrontare fenomeni di oppressione e ingiustizie in molti ambiti, ad esempio la mancanza di pari opportunità e di giustizia tra i cittadini. Come sappiamo, la scintilla di tali movimenti è da ricondurre alla Tunisia, a causa delle pratiche dittatoriali portate avanti contro i tunisini dal regime di Bin Ali. Questa situazione ha spinto giovani ragazzi come Mohammad Bouazizi a protestare. Questi ragazzi non sentivano di avere diritti nel proprio Paese, dominato dalla corruzione. Mohammad Bouazizi si è trovato senza lavoro, nonostante fosse istruito. Era un venditore per le strade, ed improvvisamente le autorità locali hanno sequestrato il suo carretto in modo violento. Per lui, questo fu motivo di protesta per riavere il suo carretto – cosa che però le autorità rifiutarono di fare. Dunque, Mohammad si diede fuoco per strada, di fronte a centinaia di persone, e per questa azione orribile i tunisini scesero in piazza per rivendicare i propri diritti, dato che non avevano più l’impressione di averne all’interno del Paese. Allo stesso tempo, protestarono anche per mettere fine al regime dittatoriale in Tunisia, e riuscirono a scacciare Bin Ali. Queste azioni sono tra le motivazioni principali dei sollevamenti dei giovani contro i regimi politici di molti Paesi, tra cui Egitto, Yemen, Siria, Libia, Bahrain e molti altri.”.

Dopo più di un decennio dall’inizio delle primavere arabe, quali sono stati i risultati delle proteste nei Paesi che si affacciano sul Mediterraneo? È possibile fare un bilancio positivo o negativo di ciò che è seguito nelle aree interessate dal movimento?
“Mi sento di dire che questi movimenti di protesta nel Mediterraneo hanno avuto effetti sia positivi che negativi, tanto nella regione quanto a livello globale. Da un lato, se guardiamo a ciò che è accaduto in Siria e a ciò che sta succedendo attualmente in Yemen, è scoppiata una guerra civile nel 2011, che continua fino ai giorni nostri. I cittadini siriani e yemeniti hanno dovuto subire (e ancora subiscono) un dislocamento forzato verso i Paesi vicini, e talvolta persino verso l’Europa e l’Occidente. In questo senso, le posso assicurare che la Giordania ha ricevuto un milione e più rifugiati siriani e yemeniti, e ciò ha avuto un impatto economico molto pesante. Inoltre, nella regione sono apparsi movimenti armati e terroristici che si sono formati in Siria, Iraq, Yemen ma anche nel Sinai e in Egitto. Mi riferisco all’Isis (Lo stato islamico di Iraq e Siria). Tale minaccia terroristica ha costretto la comunità internazionale ad agire rapidamente, e fu formata un’alleanza internazionale per combattere l’ISIS guidata dagli Stati Uniti e da altri Paesi europei e mediterranei. Questa guerra costa miliardi di dollari alla comunità internazionale.
Ma dall’altro lato, questi sollevamenti democratici hanno influenzato la regione in maniera positiva. Un esempio è ciò che è accaduto in Tunisia, che ha tenuto le prime elezioni presidenziali democratiche nel 2014 dopo una rivoluzione contro il regime dittatoriale in carica per 23 anni. Ciò ha avuto un impatto anche sui cittadini tunisini, che per la prima volta poterono scegliere il proprio Presidente durante le elezioni generali. Allo stesso modo, se guardiamo all’Egitto e a ciò che hanno fatto gli egiziani, una rivoluzione contro Mubarak – considerato uno dei leader Arabi più potenti – ha fatto in modo di cacciarlo dopo 29 anni di governo dell’Egitto. In seguito, gli egiziani tennero le prime elezioni presidenziali legittime nel 2012, che portarono alla presidenza Mohamed Morsi.”

Che ruolo hanno avuto le nuove tecnologie nelle primavere arabe? Sarebbe stato lo stesso senza i social media – Twitter in particolare?
“Si. I social media come Twitter hanno permesso di riunire migliaia di persone e portarle alla rivoluzione in Egitto, quando una ragazza di nome Aliya Al-Houssine ha twittato con l’hashtag #25_gennaio: “più di 15.000 manifestanti prenderanno parte alle proteste del 25 gennaio. Vieni e unisciti a noi”. Centinaia di migliaia di egiziani reagirono poi con altri hashtag: #meritiamo_il_meglio e #verremo. Si, i social media hanno riunito le persone per le strade per chiedere a Mubarak di abbandonare il potere. Ma sono anche sicuro che anche se non ci fossero i social media nelle nostre vite, le persone sarebbero comunque scese per strada (anche se forse non in numeri così importanti). Non sono altrettanto sicuro se avrebbero avuto la capacità di rovesciare il regime politico. Siccome i manifestanti devono essere aggiornati di tutti gli avvenimenti, senza i social media non sarebbero stati in grado di sapere tutto ciò che stava accadendo per le strade.”.

Le primavere arabe in Giordania hanno avuto caratteristiche specifiche, che differenziano le proteste da quelle di ogni altro Paese anche in termini di risposta del regime politico locale e di risultati. In che modo le proteste in Giordania sono state un’eccezione?
“Sono convinto che il sistema politico giordano, rappresentato da sua altezza reale Abdullah II, stava lavorando per evitare che il Paese cadesse in una crisi che finisse in modo negativo e potesse costare più di quanto sarebbe costato concedere riforme politiche. Poiché conosco il nostro Re, sta lavorando molto per dare ascolto ai bisogni dei cittadini giordani, così come per dare una direzione al governo giordano nel supporto alla popolazione. Nel 2011, quando i cittadini sono scesi in strada chiedendo riforme al regime politico, il Re ha ordinato alle autorità locali di non usare la forza contro le persone. Chi è sceso in piazza è un nostro fratello, una nostra sorella, un nostro figlio. Il Re ha poi dato l’ordine al governo di dare sostegno ai manifestanti. Pertanto, credo che in Giordania la primavera araba è stata una rivoluzione “morbida” proprio grazie all’atteggiamento del Re nei confronti delle persone. Ha accolto le richieste di ogni cittadino, ad iniziare da nuovi emendamenti all’atto costituzionale giordano e nuove elezioni presidenziali anticipate nel 2012. Il Re Abdullah II ha garantito l’integrità delle elezioni parlamentari istituendo – in accordo con gli emendamenti costituzionali del 2012 – una commissione indipendente che supervisionasse il processo elettorale. Qui dunque la differenza è tra un regime che cerca coesione tra le persone, e altri che invece puntano a monopolizzare il potere e il dominio dittatoriale senza prestare attenzione alle richieste della popolazione.”.

A suo parere, qual è il ruolo della Giordania nel Mediterraneo? Crede che il Paese abbia la potenzialità di affermarsi come modello di democrazia e pace, e dunque contribuire ad una stabilizzazione a lungo termine del Mediterraneo? Eventualmente, quali sono le sfide per la Giordania?
“Mi permetta di dire che la Giordania si è già mostrata come modello per tutti gli altri Paesi della regione. Le politiche che sono state implementate prima e durante la crisi e fino ai giorni nostri in termini di sviluppo e modernizzazione del sistema politico non sono state replicate da alcun altro Stato nella regione. La Giordania è un Paese a cui mancano molte risorse, a differenza di altre nazioni ricche e benestanti che sono collassate durante le primavere arabe. Cosa vediamo dunque ora? Un Paese forte, fermo nelle proprie scelte, che non è stato interessato dalle crisi che proliferano nella regione, e infine che è divenuto modello in termini di pace e sicurezza sia nella regione, sia a livello globale. Tuttavia, in Giordania ci sono numerose sfide ancora da affrontare. La Giordania è considerata uno dei Paesi più piccoli per dimensioni, ma confina con numerosi Stati importanti per la regione – ad iniziare dall’Arabia Saudita, Iraq, Siria, Palestina e Israele. Può dunque immaginare le sfide immense e persino le responsabilità che abbiamo. E ciò richiede una coordinazione permanente e continua per preservare la sicurezza della Giordania stessa e della regione. Non possiamo dimenticare la crisi della guerra civile in Siria, che è iniziata nel 2011 e continua fino ai giorni nostri. Come ho già detto, la Giordania ha accolto rifugiati siriani che oggi ammontano a più di un milione, in un Paese così piccolo come il nostro. La crisi dei rifugiati è stata una sfida, perché non possiamo restare fermi a guardar morire i nostri vicini senza dire nulla. Ma la crisi ha avuto effetto sulla nostra situazione economica, che ha portato a livelli altissimi di inflazione.”

Il Mediterraneo è sempre stata un’area chiave sia per il commercio, sia per il movimento e l’incontro di persone. Pertanto, alla luce del suo ruolo strategico che perdura da secoli, assicurarne la stabilità è responsabilità e allo stesso tempo interesse di tutti i Paesi dell’area. Alla luce dell’attuale scenario geopolitico turbolento, quali soluzioni, a suo avviso, sono desiderabili per garantire la stabilità del Mediterraneo e far fronte alle sfide della povertà, dei rifugiati, dell’implosione degli Stati e della partecipazione democratica? I giovani potrebbero svolgere un ruolo peculiare in questo?
“Come ha sottolineato, il Mediterraneo è ricco di risorse naturali ed è un’area vitale per il commercio e il transito di beni. Credo dunque che la sicurezza non sia solo responsabilità dei Paesi della regione, ma che anche l’Occidente e l’Unione Europea debbano mirare alla sicurezza, dato che è un corridoio di transito anche per le loro merci. L’Occidente, inoltre, vanta una lunga storia di partnership con i Paesi dell’area mediterranea. Sono certo che il minimo che l’Europa e l’Occidente possano offrire sia assistenza morale e finanziaria, che rafforzerebbe la sicurezza regionale da futuri disturbi. Inoltre, questi Paesi dovrebbero istituire fondi di investimento nei Paesi in via di sviluppo per combattere la povertà, che può portare a guerre civili e nuove crisi dei rifugiati. Non credo che al presenza di basi militari straniere contribuisca a risolvere la questione della sicurezza fin quando ci sarà povertà tra le persone.
In riferimento al ruolo dei giovani, essi sono il fondamento sia della società che dello Stato. I giovani non possono essere esclusi dalla partecipazione ad ogni aspetto della vita, altrimenti dovremmo tornare nuovamente all’inizio – ed è qualcosa che la comunità internazionale non vuole. Dare opportunità  lavorative ai giovani dovrebbe essere l’obiettivo di ogni nuovo passo verso la prosperità e il progresso in ogni Paese.”.


Foto copertina:In this March 21, 2020 file photo, the streets of the Jordanian Capital are seen empty after the start of a nationwide curfew, amid concerns over the coronavirus pandemic, in Amman, Jordan. Nervous travelers, spotty air service, health risks _ the battered global tourism industry is facing unprecedented uncertainty in the wake of the new coronavirus. Millions of workers are laid off or furloughed, and it will likely take years for the industry to get back to the strong demand it was seeing just six months ago. (AP Photo/Raad Adayleh, File)