Polonaise: La parabola europea


Mentre il processo di integrazione nel Patto Atlantico procedeva abbastanza velocemente, accantonati i dubbi iniziali, portando la Polonia ad essere ricompresa nel gruppo dei paesi avanzati, (abbandonando il gruppo degli stati post-sovietici) già a partire dal 1991, il processo di integrazione europeo fu molto più lento e presentò maggiori problematiche, di tipo istituzionale, ma anche in campo politico e sociale.


Il processo di integrazione europeo si dimostrò molto più tortuoso e complesso di quanto gli stessi leader polacchi si aspettassero. Non risultava così semplice cancellare dalla memoria collettiva le scorie del passato, che ancora turbavano profondamente la società polacca, da sempre legata alle proprie radici storiche e profondamente condizionata dal suo passato burrascoso: la infamante spartizione territoriale ad opera degli imperi prussiano, asburgico e zarista nel corso dell’800 e primo 900[1]; la dolorosa occupazione nazista a partire dal 1° settembre 1939 ; e la successiva spartizione ad opera del regime sovietico, nella sostanziale indifferenza delle potenze alleate.

Una questione di fiducia…

In prima istanza, le varie correnti nazionaliste spingevano per una maggior cautela verso le potenze economiche del vecchio continente, che temevano le “mire espansionistiche” verso est, frutto di un istinto predatorio nei confronti di economie più deboli, alimentando il timore di una parte della società, preoccupata da una nuova e diversa forma di sottomissione a potenze straniere: quella economica.
In particolare, l’opinione pubblica polacca non era ancora del tutto disposta a fidarsi della vicina Germania, che tuttavia non era oggetto del sentimento di rivalità e ostilità che invece interessava la Russia. Nonostante ciò, il gigante al confine occidentale non godeva della massima fiducia da parte dei cittadini polacchi, e in particolare dell’establishment di Varsavia.
D’altra parte, all’interno della stessa Unione Europea, i paesi fondatori erano alle prese con una possibile riforma della vecchia agenda di Maastricht, divisi sulle alternative di rafforzare l’Unione, ovvero accelerare il processo di allargamento verso Est[2].
L’UE si trovava nella delicata fase di riforma della PAC (Politica Agricola Comune) e l’introduzione di una moneta unica per quei paesi che avrebbero dato poi vita alla cosiddetta Eurozona.
Ragion per cui, l’ammissione di una economia così fragile – nonostante gli ottimi risultati della ricetta economica liberista – prevalentemente agricola, con un fragile settore industriale e composta da 40 milioni di persone, in maggioranza di classe contadina, preoccupava non poco Bruxelles, che ritardava i negoziati di adesione, al fine di consentire ai paesi candidati, l’adeguamento ai requisiti richiesti dai cosiddetti “Criteri di Copenaghen”, adottati dal Consiglio di Copenaghen nel 1993.[3] Tali criteri, che furono modificati in occasione del Consiglio europeo di Madrid (1995) consistono in:

– la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela;

– l’esistenza di un’economia di mercato affidabile e la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all’interno dell’Unione;

– l’attitudine necessaria per accettare gli obblighi derivanti dall’adesione e, segnatamente, la capacità di attuare efficacemente le norme, le regole e le politiche che formano il corpo della legislazione dell’UE (l’«acquis»), nonché l’adesione agli obiettivi dell’unione politica, economica e monetaria.[4]


Il primo passo verso l’europeizzazione della politica estera polacca fu l’adesione al Consiglio d’Europa, nel 1991.[5] Per volere dell’allora Primo Ministro Tadeusz Mazowiecki e del suo governo, la Polonia fece richiesta già nel 1990, ottenendo lo status di paese osservatore, fino a che la transizione verso un modello democratico definitivo, a seguito di elezioni parlamentari, decretò di fatto l’ammissione al Consiglio il 26 novembre 1991. L’adesione al Consiglio d’Europa, organizzazione internazionale il cui scopo è la promozione della democrazia, dei diritti umani attraverso cooperazione e accordi diplomatici tra i paesi europei e paesi terzi (Russia dal 1994), sancì il riconoscimento della Polonia come democrazia europea, nonché garantì a Varsavia supporto politico nel contesto Euro-atlantico.
L’avvio della “shock therapy” economica, con il Piano Balcerowicz[6], che guidò la cooperazione con le istituzioni europee e l’avvicinamento alla Comunità Internazionale in campo economico e finanziario, spianò la strada alla successiva integrazione politica e alla svolta democratica.
Nel dicembre 1991, la Polonia, insieme con Cecoslovacchia ed Ungheria, firmò un accordo con l’Europa, “The Europe Agreement Establishing the Association of Poland with the European Communities and their Member States”, entrato in vigore soltanto a partire dal 1994, anno in cui Varsavia inviò formale richiesta di adesione all’Unione, la quale invitò ufficialmente la Polonia alle negoziazioni con notevole ritardo, ovvero nel 1997.
I negoziati con Bruxelles ebbero inizio nel 1998, comprendendo i sei candidati Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria, Slovenia, Estonia e Cipro.
Nell’aprile del 2003, ad Atene, fu firmato l’accordo di adesione all’Unione Europea, ufficialmente in vigore a partire dal 1° gennaio 2004, e a seguito di un referendum popolare, che vide il 77,45 % dei votanti polacchi, favorevoli all’ingresso in UE.[7] Sebbene i governi degli anni ’90, durante la presidenza Wałęsa e Kwaśniewski, seguissero la visione più genuinamente europeista dell’agenda di politica estera polacca, già all’inizio del nuovo millennio, molte correnti interne, soprattutto le ali più conservatrici e nazionaliste, finirono per frammentare il Partito Solidarność, e spingevano verso posizioni più euroscettiche. Queste correnti privilegiavano una stretta alleanza bilaterale con gli Stati Uniti, ben oltre la cornice NATO, considerando la partecipazione europea uno strumento utile al perseguimento di interessi economici, oltre che a ribadire il ruolo centrale e sacro della sovranità nazionale.
Portatore di questo sentimento fu il nuovo partito conservatore polacco Prawo i Sprawiedliwość, PiS (dal polacco Diritto e Giustizia), sorto dall’ala conservatrice di ispirazione cattolica interna al Solidarność nel 2001, sotto la guida dai fratelli Lech e Jarosław Kaczyński.
La corrente nazionalista spingeva per una maggiore attenzione alla sicurezza nazionale, perseguibile attraverso maggiori investimenti nel comparto della difesa, nello sviluppo tecnologico delle forze armate, un maggiore coinvolgimento della NATO nella difesa del confine orientale con la Russia. La posizione del PiS fu, sin dall’inizio, chiaramente scettica verso la capacità europea di svolgere questa funzione difensiva, riponendo maggior fiducia nella potenza militare USA.


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Ma soprattutto una questione sociologica…

Lo scetticismo verso l’Unione Europea, potrebbe meglio spiegarsi come scetticismo rispetto al ruolo della Germania, verso la quale, parte della società polacca nutriva ancora rancore per gli avvenimenti della Seconda Guerra Mondiale.
Tuttavia, nonostante le divisioni e gli scontri con Bruxelles, soprattutto da parte delle emergenti correnti nazionaliste ed euroscettiche, i leader polacchi all’indomani del 2004 sapevano che la Polonia poteva procedere sulla strada del progresso, ed in tal modo rafforzare l’immagine della Polonia nel contesto internazionale, soltanto facendo coincidere gli interessi nazionali con quelli dell’Unione, spingendo, cioè, verso una maggiore e più profonda integrazione. Questo processo fu accompagnato da un mutamento nella società stessa, che a fatica cercava di mettere da parte velleità nazionaliste e sentimenti di revanscismo patriottico volto alla mitizzazione della Polonia come grande potenza storica.
Dunque, si cercava (e si cerca tutt’ora) di avviare e accelerare un difficile processo di ridimensionamento della percezione della Polonia, del suo peso nel mondo globalizzato, molto diverso da quello della Confederazione Polacco-Lituana o del periodo della Sollevazione della Grande Polonia o della Guerra polacco-bolscevica, nel periodo 1918-21; un ridimensionamento del suo peso politico rispetto al rapporto con l’Europa, sin anche al proprio ruolo nella politica internazionale. Un processo sociologico, che vide le giovani generazioni abbandonare il classico, e onnipresente mito della grandezza dello stato polacco, intriso di rievocazioni storiche della Polonia del XVIII secolo, riformulando una identità nazionale consapevole del proprio ruolo nel contesto europeo.[8]
Fu questa la spinta culturale mossa dai giovani studenti, dalle elites culturali e politiche, che proposero un’idea di politica estera integrata a quella europea, definendo la già citata strategia della “nuova ostpolitik” polacca.[9] 

La Polonia: ambasciatrice UE nella Eastern Partnership

La chiave della politica estera di cui Varsavia si fece sostenitrice riguardava le relazioni con l’Est Europa e l’allargamento dell’UE verso il fianco orientale e verso i Balcani. L’esempio più lampante della vocazione orientale della Polona è stato il programma conosciuto come “Eastern Partnership”, frutto dalla collaborazione diplomatica polacco-svedese nel 2008, al General Affairs and External Relations Council (GAERC), perseguendo l’obiettivo di rafforzare la cooperazione politica con tre paesi orientali: Bielorussia, Ucraina, Moldavia; e tre paesi del Caucaso: Georgia, Armenia e Azerbaijan.[10] Nonostante il costante impegno polacco nel tentativo di accrescere il proprio prestigio all’interno dell’Unione, presentandosi a Bruxelles come interlocutore privilegiato di quei paesi del vicinato orientale, a causa della deriva autoritaria della Bielorussia a partire dal 1999-2009, e dell’instabilità degli stati caucasici, il suo raggio d’azione si restrinse alla sola Ucraina.[11]
La strategia diplomatica polacca – e di riflesso quella europea – restò dunque circoscritta alla sola Ucraina, vedendo la Polonia impegnata negli ultimi venticinque anni ad ancorare Kyiv alla NATO ed alla Unione Europea, auspicando la formazione di uno stato liberal-democratico ai suoi confini orientali. L’Ucraina ha dominato l’agenda di politica estera polacca sin dal suo ingresso in UE nel 2004, quando i disordini e le proteste successive alle elezioni presidenziali ucraine si trasformarono nella cosiddetta “Rivoluzione Arancione”[12]. La vittoria di Viktor Yanukovych animò le proteste della popolazione e delle opposizioni che accusavano le autorità di aver effettuato brogli a favore di quest’ultimo e chiesero ulteriori elezioni.
Le seconde votazioni certificarono l’ampia vittoria dello sfidante Viktor Yushchenko, portando alla fine della rivolta nel gennaio 2005. In questo contesto, l’attività diplomatica del Presidente polacco Kwaśniewski e del Ministro degli Esteri Radek Sikorski, fu di fondamentale importanza per la mediazione tra le autorità ucraine e l’opposizione, al fine di evitare l’intensificarsi delle violenze. La Polonia si pose come interlocutore di Berlino e Mosca, gli altri due attori principali nella questione ucraina, sostenendo il progetto di stabilizzazione e democratizzazione, voluto anche dalla Germania e dal Presidente ucraino Yushchenko, ostacolato però da Yanukovych, sostenitore delle posizioni filorusse e separatiste[13].
La fase di maggiore integrazione della Polonia nel tessuto europeo coincise con la leadership moderata e liberale dell’esponente della Piattaforma Civica PO, Donald Tusk, Primo Ministro dal 2007 al 2014, durante la quale si avviò una graduale apertura verso Mosca.
In Polonia, le élite diplomatiche e politiche, avevano ridimensionato l’iniziale strategia di intensi rapporti bilaterali con i paesi confinanti, che portò comunque ad una serie di successi, quali accordi bilaterali in materia economica e cooperazione politica; questo perché si era capito che lo sforzo diplomatico, istituzionale ed economico era insostenibile nel lungo periodo, a causa delle limitate risorse finanziare di cui disponeva Varsavia.
In questo senso, lavorando all’interno del frame europeo e atlantico, la Polonia avrebbe avuto la possibilità di fare affidamento sulle maggiori risorse dell’UE, di calibrare la propria Ostpolitik con quella disegnata dalla Eastern Dimension europea.[14]
Il successo della strategia Eastern Partnership, promossa dalla diplomazia polacca, rappresentava la prova della maggiore integrazione della Polonia nel tessuto UE, europeizzando la precedente Ostpolitik polacca, portando l’Unione a raggiungere importanti risultati nel tentativo di avvicinare i vicini paesi dell’Est.
Un ulteriore obiettivo perseguito dalla cooperazione Euro-polacca è stata quella di ridurre le divisioni in seno al Consiglio Europeo, tra l’Europa Occidentale e quella Orientale.
Il governo Tusk rappresentò l’apice del processo di europeizzazione della Polonia iniziato nel 2004, che portò ad un bilanciamento degli interessi nazionali e il contenimento della spinta nazionalista ed euroscettica, attraverso una politica estera pragmatica e il perseguimento di importanti interessi geopolitici. Il Governo intese l’importanza di un maggiore attivismo all’interno delle istituzioni europee al fine di promuovere e raggiungere obiettivi della agenda politica nazionale ed estera, guadagnando notevole credibilità all’interno del sistema UE.[15]
Un altro importante successo della cooperazione UE-Polonia riguardò la questione di Kaliningrad. Il “soft power” UE e la diplomazia polacca raggiunsero notevoli risultati nella cooperazione con la Federazione Russa, certificata dalla conclusione di un accordo riguardante l’Oblast’ di Kaliningrad.
Kaliningrad (un tempo conosciuta come Königsberg) è una exclave russa tra la Polonia e la Lituania, situata sul Mar Baltico; e grazie alla cooperazione tra Berlino, Varsavia e Mosca, permette ai suoi abitanti, a partire dal 2012, spostamenti visa free verso e all’interno degli stati confinanti. [16]
La ratifica degli Accordi di Associazione con Moldavia, Georgia e Ucraina, rappresentano una ulteriore prova di efficienza del “soft power” europeo e polacco e, in particolare, segno di efficacia della Eastern Partnership.[17]
Tuttavia, il sodalizio con Bruxelles avrebbe presto risentito della deriva nazionalista ed euroscettica che interessò la Polonia all’indomani della crisi in Crimea nel 2014, e sancita dalla vittoria del Partito conservatore PiS alle elezioni del 2015. Queste elezioni segnarono l’inizio della fine del processo di integrazione politica della Polonia con l’Unione Europea, aprendo la strada alla stagione della massima espansione della corrente euroscettica, che interessò trasversalmente molti altri paesi europei.
L’ascesa dei nazionalismi non si limitò, dunque, alla sola Polonia, bensì riguardò anche gli altri membri del Gruppo di Visegrad che, successivamente alla Brexit, avrebbero rappresentato lo zoccolo duro del fronte euroscettico europeo.


Note

[1] Vedi anche https://www.opiniojuris.it/geografie-dei-nazionalismi/
[2] https://www.opiniojuris.it/allargamento-ue-ad-est/
[3] ISPI online, Adesione di un nuovo Stato all’Unione, documenti, https://www.ispionline.it
[4] Portale Eur-Lex, glossario in sintesi, https://eur-lex.europa.eu 
[5] A.Malghin, 2011, Russia e Polonia nella “Ostpolitik” dell’Unione europea. Rivista Di Studi Politici Internazionali, 78(4 (312)), 529-540. http://www.jstor.org/stable/42741077
[6] https://www.opiniojuris.it/polonaise-gli-anni-della-transizione/
[7] Ibid.
[8] Letture consigliate: N. Davies, 2005, God’s Playground A History of Poland: Volume 1: The Origins to 1795 e N. Davies, 2005, e God’s Playground A History of Poland: Volume II: 1795 to the Present. Revised Edition. OUP Oxford
[9] Gosia Klatt, 2011, Europeanization and Poland: two-way flow? School of Social and Political Sciences, The University of Melbourne.https://www.findanexpert.unimelb.edu.au/display/person182689#tab-publications
[10] Cit: The Eastern Partnership (EaP) is a European Union foreign policy launched in 2009 in the framework of European Neighborhood Policy and addressed to six countries in Eastern Europe: Armenia, Azerbaijan, Belarus, Georgia, Moldova, and Ukraine. Ministry of Foreign Affairs Republic of Poland/https://www.msz.gov.pl/en/foreign_policy/eastern_partnership/
[11] A.Malghin, 2011, Russia e Polonia nella “Ostpolitik” dell’Unione europea. Rivista Di Studi Politici Internazionali, 78(4 (312)), 529-540. http://www.jstor.org/stable/42741077
[12] Vedi anche https://www.opiniojuris.it/i-movimenti-separatisti-in-ucraina-cronistoria-di-ingerenza-diplomatica-e-azione-bellica/
[13] Judy Dempsey, February 27, 2014, Poland’s Unfinished Revolution in Eastern Europe, Carnegie Europe.https://carnegieeurope.eu/strategiceurope/54673
[14] D. Tyshchenko, 2014, Poland as engine of EU Eastern Policy, (ПОЛЬЩА ЯК ДВИГУН СХІДНОЇ ПОЛІТИКИ ЄС), PhD in International Relations student, School of Social and Political Sciences, Lisbon University.
[15] Gosia Klatt, 2011, Europeanization and Poland: two-way flow? School of Social and Political Sciences, The University of Melbourne. https://www.findanexpert.unimelb.edu.au/display/person182689#tab-publications
[16] Judy Dempsey, August 25, 2014, Not Yet Buried: Polish-Russian Rapprochement, Carnagie Europe. https://carnegieeurope.eu/strategiceurope/56446
[17] Balazs Jarabik, May 02, 2019, Eastern Partnership at Ten: Rhetoric, Resources, and Russia, Carnagie Europe.https://carnegieendowment.org/2019/05/02/eastern-partnership-at-ten-rhetoric-resources-and-russia-pub-79448


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