Shell condannata per inazione climatica: verso un nuovo sistema di regolamentazione delle attività delle multinazionali?


Su iniziativa dell’organizzazione olandese per la difesa ambientale Milieudefensie, la Corte Distrettuale dell’Aia ha condannato il colosso petrolifero anglo-olandese Royal Dutch Shell per inazione climatica,  con una sentenza tanto significativa quanto memorabile.


 

Il 26 Maggio 2021 verrà ricordata come una delle date più significative per il movimento globale che si batte per la giustizia climatica: in seguito ad una causa intentata nel 2018 su iniziativa dell’organizzazione olandese per la difesa ambientale Milieudefensie,[1] la Corte Distrettuale dell’Aia ha condannato il colosso petrolifero anglo-olandese Royal Dutch Shell per inazione climatica,[2] con una sentenza tanto significativa quanto memorabile. Tuttavia, ci si interroga sulla possibilità che tale sanzione possa segnare l’epilogo dell’impunità delle multinazionali per il proprio contributo all’emergenza climatica.

Shell: una storia di negligenza ambientale

Sulla base dei dati pubblicati dal Carbon Majors Database concernenti le emissioni di gas serra delle principali imprese private operanti a livello transnazionale, Shell si è classificata al nono posto relativamente ai decenni 1988-2015.[3] Si stima inoltre che la multinazionale sia responsabile di circa l’1% del totale delle emissioni annue di CO2, dato che supera il totale delle emissioni dei Paesi Bassi, in cui l’impresa risiede.[4]

La negligenza di Shell e la scarsa attenzione verso la tutela ambientale nelle zone in cui operano le sue sussidiarie è diventata tristemente celebre in seguito ai casi giudiziari relativi alle vicende di Ogoniland, regione nigeriana sul delta del fiume Niger:[5] di fatto, a partire dagli anni 50 del secolo scorso la compagnia petrolifera si è macchiata di gravi danni ambientali in una delle aree più fragili dal punto di vista ecosistemico.

Inoltre, successivamente al diniego di giurisdizione delle corti Statunitensi ai sensi dell’Alien Tort Claims Act (ATCA), un gran numero di casi giudiziari intentati contro Shell si è concluso con ingenti risoluzioni extragiudiziarie.[6] Attualmente, una lunga saga giudiziaria persiste in Gran Bretagna e nei Paesi Bassi sulla base della presunta collaborazione di Shell con il governo Nigeriano nella repressione delle proteste del gruppo di attivisti  MOSOP – Movement For Survival of Ogoni People e della brutale uccisione del leader Ken-Saro-Wiwa nei primi anni 90.[7]

La sentenza

Il carattere inedito della sentenza del 26 Maggio è indubbio: di fatto, la decisione della Corte Distrettuale dell’Aja rappresenta il primo caso di condanna per inazione climatica nei confronti di un’entità privata.[8] A tal proposito, la Corte ha ritenuto insufficienti le attuali politiche ambientali di Shell che prevedono una riduzione della carbon intensity del 20% entro il 2030 e l’azzeramento delle emissioni entro il 2050, in quanto i livelli attuali delle emissioni rappresentano un’imminente minaccia al pieno godimento dei diritti umani per i querelanti e, più in generale, per i cittadini olandesi.

In particolare, in conformità con la recente sentenza nel caso Urgenda[9] e con l’interpretazione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) nei casi Guerra et.al. v. Italia[10] e Fadeyeva v. Russia,[11] la Corte ha ritenuto che la multinazionale sia titolare di un dovere di diligenza derivante dai principali strumenti di soft law, che include il rispetto degli art. 2 (diritto alla vita) e art. 8 (diritto alla vita privata e familiare) tutelati dalla Convenzione Europea sui diritti dell’Uomo. Per tale motivo, la Corte ha condannato Shell ad una riduzione delle proprie emissioni pari al 45% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2019,[12] in relazione agli obiettivi fissati dagli accordi di Parigi del 2015.[13]

Verso un nuovo sistema di accountability?

La presente sentenza ha innegabilmente evidenziato una forte necessità di ridisegnare le priorità per una transizione che non sia esclusivamente focalizzata sugli interessi di attori globali privati, dotati di elevatissimo potere politico ed economico, ma che tenga conto del diritto collettivo a vivere in un ambiente sano.

Nonostante ciò, il carattere consuetudinario di tale diritto è ancora oggetto di dispute a livello internazionale, e similmente non si sono sviluppati sistemi di accountability legalmente vincolanti applicabili direttamente alla condotta delle imprese transnazionali.

È tuttavia presente una forte tendenza alla responsabilizzazione delle multinazionali attraverso la dottrina della Corporate Social Responsibility, attraverso cui le imprese private si impegnano direttamente ad integrare considerazioni di tipo sociale ed ambientale all’interno delle proprie politiche aziendali.

Nonostante ciò, gli attuali strumenti di cui si dispone non hanno carattere vincolante, bensì si tratta di codici di condotta e sistemi di certificazione elaborati sia a livello regionale ed intergovernativo (OECD Guidelines, UN Global Compact, UN Guiding Principles on Businesses and Human Rights), sia a livello delle imprese stesse.

In tale scenario, la sentenza della Corte Distrettuale dell’Aia potrebbe eventualmente rappresentare la scintilla per l’elaborazione di un sistema di regolazione delle attività delle multinazionali in campo ambientale più stringente, e non necessariamente confinato all’interno del territorio olandese.


Note

[1]Milieudefensie – Friends of the Earth The Netherlands, The climate case against Shell. Disponibile al link: https://en.milieudefensie.nl/climate-case-shell.
[2]Milieudefensie et. al. v. Royal Dutch/Shell Plc. La sentenza completa è disponibile al link: http://climatecasechart.com/climate-change-litigation/non-us-case/milieudefensie-et-al-v-royal-dutch-shell-plc/.
[3]Climate Accountability Istitute, Carbon Majors Database. Disponibile al link:  https://climateaccountability.org/carbonmajors.html.
[4]F.P. Fantozzi, Shell condannata per inazione climatica, in: Giudizio Universale. Disponibile al link:  https://giudiziouniversale.eu/2021/05/27/shell-condannata-per-inazione-climatica/?fbclid=IwAR2FWGahXSU__NKLL7XX9dml54VD6pYOa2si4GEvnXH-S-FIhGYmHdFhWpE.
[5]Ogoni People v. Shell, disponibile al link: https://www.arcgis.com/apps/Cascade/index.html?appid=a43f979996aa4da3bac7cae270a995e0.
[6] American Society of International law, Wiwa v. Shell: the $15.5 Million settlement. Disponisible al link: https://www.asil.org/insights/volume/13/issue/14/wiwa-v-shell-155-million-settlement.
[7] Supra, 5.
[8] F.P. Fantozzi, op.cit.
[9] Urgenda Foundation v. State of The Netherlands. Disponibile al link: http://climatecasechart.com/climate-change-litigation/non-us-case/urgenda-foundation-v-kingdom-of-the-netherlands/.

[10]European Court of Human Rights, Guerra et. al. v. Italy. Disponibile al link:  https://www.informea.org/en/court-decision/case-guerra-and-others-v-italy.
[11] European Court of Human Rights, Fadeyeva v. Russia. Disponibile al link:  https://hudoc.echr.coe.int/eng#{%22itemid%22:[%22001-69315,%22]}.
[12]T. Khan, Shell’s historic loss in The Hague is a turning point in the fight against big oil, The Guardian, Giugno 2021. Disponibile al link: https://www.theguardian.com/commentisfree/2021/jun/01/shell-historic-loss-hague-fight-big-oil.
[13] Supra, 2.


Foto copertina: I querelanti Alali Efanga, Friday Alfrad Akpan, il capo Fidelis A. Oguru ed Eric Dooh, da sinistra a destra, aspettano l’inizio di un caso giudiziario di agricoltori nigeriani contro Shell, a L’Aia, Paesi Bassi. (Foto AP/Peter Dejong, File)

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