L’influenza cinese nel mercato del greggio iracheno


Accordi multimiliardari per il rilancio dell’economia irachena


 

Il progetto della ZhenHua Co.

La Zhenhua Oli company[1] è un’azienda sussidiaria di produzione petrolifera di proprietà dell’appaltatore Norinco. L’azienda è stata costruita nel 2003 e il nome in mandarino significa “Rivitalizza la Cina”.
Secondo la società nel 2017 questa guidava le operazioni di esplorazione e produzione di petrolio e gas in 11 paesi tra cui Egitto, Myanmar, Kazakistan e Iraq. In Iraq però è particolarmente attiva. Baghdad riceve investimenti e stipula contratti con l’azienda al fine di organizzare la produzione irachena del market del petrolio.

Nel Dicembre 2020 l’Iraq tramite l’azienda SOMO firmò un contratto multimiliardario con la ZhenHua Oil Co. L’accordo prevedeva da parte di ZhenHua l’accettazione di un acquisto mensile di 4 milioni di barili di petrolio in cinque anni con un pagamento anticipato di 2 miliardi dollari a SOMO, sufficienti per il rilancio dell’economia irachena. Purtroppo ancora troppo dipendente dal petrolio l’economia irachena è in grave depressione. Si quindi trattava di un piano di salvataggio che Pechino garantiva a Baghdad per fornire al governo iracheno liquidità immediata. Il contratto prevedeva la ricezione in anticipo di denaro in cambio di forniture di petrolio a lungo termine.

L’azienda ha svolto un ruolo importante nella cosiddetta politica energetica di Pechino. Ha investito in concessioni petrolifere negli Emirati Arabi Uniti, Kazakistan e Myanmar e commercia greggio proveniente dal Kuwait, Brasile e Repubblica del Congo. Secondo il sito web dell’azienda questa produce 1,3 milioni di barili di petrolio e prodotti finiti al giorno. In Cina altri numerosi commercianti stanno sempre più acquisendo importanza, anche se molto spesso queste informazioni sono avvolte da segretezza. L’aumento del consumo di petrolio in Cina le sta infatti agevolando notevolmente e la Cina è destinata a diventare il più grande importatore di greggio al mondo e a superare gli USA.

Le attività e gli accordi dell’azienda in medio oriente

L’accordo con l’Iraq è uno degli ultimi esempi dell’attività cinese in ambito petrolifero in medio oriente. La Cina agisce tramite società commerciali e banche controllate dello stato centrale che concedono prestiti a produttori di petrolio in difficoltà. Il crollo del prezzo del petrolio di quest’anno ha indebolito il bilancio iracheno e il governo non è riuscito a pagare in tempo i dipendenti pubblici. Gli accordi sempre più frequenti tra Cina e Iraq stanno attraendo l’interesse dei principali commercianti di petrolio, soprattutto adesso che la pandemia da coronavirus ha colpito in modo particolare i paesi produttori di petrolio. L’Iraq è stato uno dei paesi maggiormente colpiti oltre ad avere una situazione economica già altamente precaria, destabilizzata da conflitti politici e settari.
In Iraq il greggio rappresenta quasi la totalità delle entrate del governo. La sua economia nel 2020 si è contratta del 12% , più di qualsiasi altro membro dell’OPEC. Migliaia e migliaia di iracheni sono scesi in piazza per protestare contro il peggioramento delle condizioni economiche e di vita. Il governo ha cercato di adempiere agli impegni presi nei confronti dell’OPEC con cui ha già concordato di dimezzare la produzione.

L’avvento della pandemia da covid-19 sul mercato del greggio

Le nazioni ricche di energia che quest’anno si sono trovate in difficoltà a causa della pandemia hanno fatto più volte affidamento sugli accordi di pagamento anticipato per raccogliere fondi, ma Baghdad finora ancora non l’ha fatto.
Il governo del Kurdistan per esempio ha utilizzato dei contratti simili in passato prendendo a modello il Ciad e la Repubblica Democratica del Congo. In questo tipo di accordi, l’acquirente di petrolio diventa effettivamente un prestatore del paese e i barili sono l’unica garanzia per la riuscita del prestito. Ma ciò che accade in Iraq non accade in altri paesi. Le tensioni settarie e politiche, il controllo di appezzamenti di terra considerevoli da parte di Daesh e la sua relativa influenza sulla popolazione rendono difficile al governo la raccolta di fondi nel modo convenzionale. Qui il mercato azionario è inesistente. I rendimenti in dollari del paese sono in media 7,5% uno dei livelli più alti rispetto a qualsiasi altro stato. Goldman Sachs Group ha dichiarato che l’Iraq nel 2021 è tra gli emittenti di obbligazioni più vulnerabili.

Nonostante i tentativi della Cina di rendere più verde la sua Belt and Road Initiative — compreso l’ambizioso piano 2060 per le zero emissioni — la Cina rimane comunque uno dei più grandi importatori di petrolio del mondo[2]. Importa circa 238,7 miliardi di dollari, il 22,6% delle importazioni complessive del mondo.

Per ciò che riguarda l’Iraq, il presidente Mustafa al-Khadimi eletto dopo un lungo periodo di instabilità politica inquadra e valuta positivamente la Cina. Questa viene considerata un partner solido e affidabile, fondamentale per la crescita dell’Iraq. Infatti anche nel passato tra i due paesi ci sono state intense e proficue collaborazioni. Nel 2018 per esempio l’Iraq mirava a fornire alla Cina una quantità maggiore di petrolio greggio. Ma l’accordo che venne stipulato a riguardo fu poi bloccato bruscamente. E’ per questo motivo che a dicembre del 2020 il governo iracheno ha accettato di rinnovare il vecchio contratto con l’azienda cinese inaugurando tre nuovi pozzi di petrolio in un giacimento ad est di Baghdad.

La Cina in medio oriente

Il 1956 fu l’anno in cui la Cina riallacciò le relazioni diplomatiche con i paesi dell’area medio orientale. Il primo paese fu l’Egitto e a seguire tutti gli altri[3]. Dal 2014 sono stati firmati numerosi accordi di partenariato strategico con Iran, Arabia Saudita ed Egitto mentre sono stati firmati cinque accordi di partnership strategica con numerosi paesi del medio oriente. Le azioni cinesi sono guidate dalla nozione di “niente pace, niente sviluppo; niente sviluppo, niente pace[4]”. Il progresso economico è percepito dalla Cina come elemento di vitale importanza per due ragioni. La prima è l’avanzata indisturbata nella regione e la seconda è la pacificazione di questa che è sempre più lacerata dai conflitti. A dimostrazione di questo tra il 2000 e il 2014 il commercio sino-mediorientale è aumentato di 17 volte e nel 2012 la Cina ha superato gli USA come il più grande partner commerciale della regione.

I legami economici bilaterali sono ancora definiti dalla Cina che pone in primo piano le enormi richieste di energia. Nel 2015 il 51% delle importazioni in Cina provenivo dal medio oriente. A fronte di ciò la Cina si è impegnata a firmare con i maggiori importatori dei Memorandum of Understandings (MoU)[5] sostenuti da numerosi accordi quadro che coinvolgono le aziende statali cinesi e le controporta medio orientali.

Questioni di sicurezza cinesi in medio oriente

La Cina ha interessi vitali in materia di sicurezza in medio oriente[6]. Un’improvvisa interruzione della fornitura di petrolio greggio o del commercio in generale, rappresenterebbe un rischio per la sicurezza nazionale cinese. Pechino già si è trovata costretta a rimpatriare migliaia di cittadini cinesi che vivevano in zone di conflitto in Libia, Iraq e Yemen. Per salvaguardare i propri interessi la Cina ha avviato la costruzione della sua prima base militare in medio oriente, a Gibuti. Contribuisce in questo modo alla lotta contro la pirateria delle Nazioni Unite nel Golfo di Aden. Oltre alla pirateria, Pechino si occupa anche di questioni legate al terrorismo. La decapitazione di un cittadino cinese alla fine del 2015 e l’arruolamento di 100-300 cittadini cinesi a movimenti jihadisti ha sollevato a Pechino timori di una radicalizzazione rapida.

Mentre però Pechino vede come una delle possibili soluzioni a tutti questi problemi il miglioramento delle condizioni di vita ed economiche, si è attivata prontamente per firmati trattati di estradizione con 36 paesi, ha aumentato la capacità del proprio esercito (PLA) e (PAP) la People’s Armed Police. Ha inoltre inviato ai paesi del medio oriente un documento importante per il rafforzamento degli scambi e della cooperazione in materia di anti terrorismo nel campo della condivisione dell’intelligence. La SCO (Shanghai Cooperation Organization) e la CICA (Conference on Interaction and Confidence Building Measures) sono i forum all’interno dei quali avvengono le trattative.

Le capacità diplomatiche della Cina hanno giocato un ruolo chiave anche per ciò che riguarda la stipula del JCPA, l’accordo sul nucleare iraniano. In questo momento la Cina sta cercando di mediare i conflitti in Siria e in Palestina. Questo nuovo impegno a livello internazionale potrebbe aprire nuove strade per la cooperazione in materia di sicurezza tra funzionari europei e cinesi in medio oriente[7].


Note

[1] https://thediplomat.com/2020/12/a-quantum-leap-forward-chinese-influence-grows-in-iraqs-oil-market/
[2] https://thediplomat.com/2020/12/china-and-the-middle-east-conflict-and-cooperation/
[3] https://iari.site/2020/11/01/il-libano-guarda-ad-est/
[4] https://link.springer.com/article/10.1007/s12140-020-09352-9
[5] https://ina.iq/eng/6119–.html
[6] M. S. Olitmat, “China and the Middle East From Silk Road to Arab Spring” Routledge, 2014.
[7] https://ecfr.eu/publication/china_great_game_middle_east/


Foto copertina: Il ministro iracheno del petrolio Jabbar Luaiby (C) parla durante una conferenza stampa dopo la cerimonia di firma del contratto a Baghdad, in Iraq, il 23 maggio 2018. Per la firma di contratto con una compagnia cinese per lo sviluppo del giacimento petrolifero di Baghdad orientale. (Xinhua / Khalil Dawood)

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