L’Azerbaijan e il futuro della geopolitica eurasiatica: l’intervista al Presidente Aliyev


In occasione della quarta edizione della conferenza “Shaping the Geopolitics of the Greater Eurasia: From Past to Present to Future” organizzata dall’ADA University di Baku, in Azerbaijan, per celebrare il centenario del leader nazionale Heydar Aliyev il Presidente della Repubblica Ilham Aliyev ha incontrato un gruppo di diplomatici, studiosi e ricercatori internazionali sul Caucaso nella città di Shusha, liberata in seguito alla seconda guerra del Karabakh del 2020.
Opinio Juris ha partecipato all’incontro con il Presidente, di cui si riporta qui di seguito la discussione sui temi di maggior interesse per il futuro della geopolitica eurasiatica.


Signor Presidente, nell’aprile dello scorso anno proprio qui a Shusha ha affermato che i negoziati tra Armenia e Azerbaijan non sono risultati in un trattato poiché l’Armenia non ha riconosciuto l’integrità territoriale dell’Azerbaijan. L’Azerbaijan, specularmente, non ha riconosciuto l’integrità territoriale dell’Armenia. Oggi si continua a sperare in un trattato di pace, proprio mentre i rispettivi rappresentanti nazionali ne stanno discutendo a Washington. Ciononostante, sono già passati due anni dalla fine della seconda guerra del Karabakh, e non sembra esserci soluzione definitiva a questo conflitto. Se l’Armenia continua a rifiutarsi di raggiungere un accordo con l’Azerbaijan, quali sono le opzioni sul tavolo? Quali opzioni invece non sono contemplate?
Se l’Armenia non vuole la pace, non ci sarà pace. Vi sono esempi nella storia di Paesi che non hanno firmato alcun accordo di pace, ma questa opzione non porterà benefici per l’Armenia, per l’Azerbaijan e nemmeno per l’intera regione. Continuiamo a sperare che la controparte armena sia ragionevole e non usi le stesse tattiche impiegate durante l’occupazione quando era presente il gruppo di Minsk, che per 28 anni non è stato capace di raggiungere alcun risultato.
Il gruppo di Minsk non era molto popolare in Azerbaijan, e la ragione principale risiede nel fatto che l’Armenia non aveva intenzione di liberare i territori occupati. Tuttavia, il motivo per cui ancora non siamo riusciti a trovare una soluzione pacifica del conflitto è la mancata volontà dell’Armenia, che ha impiegato precise tattiche per ritardare gli accordi e fare cinque passi indietro ogni qualvolta si riusciva a farne uno in avanti. L’obiettivo era sigillare la situazione per congelarla, legittimando così l’occupazione.
L’Armenia pensava che l’Azerbaijan accettasse un compromesso in merito alla sua integrità territoriale, che gli sponsor internazionali sarebbero sempre rimasti al suo fianco, fino a combattere per loro. Ma si è trattato di un errore di calcolo: si sbagliavano. Quindi, ora, cosa può succedere? L’Armenia può ripetere questa tattica e ritardare le negoziazioni al fine di non giungere mai ad un accordo e rendere il processo di pace infinito, aspettando eventuali cambiamenti. Perderanno tuttavia l’occasione, poiché quasi trent’anni di occupazione non hanno dato loro alcun vantaggio. Al contrario: sono rimasti isolati dallo sviluppo della regione, hanno perso la possibilità di diventare un Paese veramente indipendente e non a livello formale, ma de facto.
Nelle mie comunicazioni con la controparte armena, ho cercato di spiegare che un trattato di pace è nel loro interesse, così come l’apertura delle vie di comunicazione.
E, naturalmente, sarà vantaggioso per noi perché vogliamo chiudere questo capitolo. Seguendo la cronologia delle dichiarazioni e degli eventi,  l’Azerbaigian si è offerto per primo di iniziare a parlare di un accordo di pace.
Tengo a ricordare che alla fine della seconda guerra del Karabakh non molti attori avevano chiaro ciò che sarebbe successo in seguito. La dichiarazione trilaterale firmata sotto l’egida del Cremlino non è un accordo di cessate il fuoco, e nemmeno un accordo di pace. Siamo stati noi a prendere l’iniziativa e presentare una visione per il futuro dell’integrazione del Caucaso Meridionale, per la cooperazione regionale e la normalizzazione delle relazioni con l’Armenia.
Abbiamo presentato, dopo un lungo periodo di silenzio, i famosi cinque principi in linea con le norme e i principi del diritto internazionale che costituiscono per noi la base delle negoziazioni.
L’Armenia tuttavia si è mostrata riluttante ad impegnarsi seriamente in un processo negoziale. Riguardo ai colloqui di Washington che si stanno svolgendo proprio in questi giorni, abbiamo consegnato quattro varianti di una bozza dell’accordo di pace, e abbiamo aspettato oltre 40 giorni per ricevere gli ultimi commenti, consegnati solo una settimana prima dell’incontro negli Stati Uniti. In tali commenti sono nuovamente emerse rivendicazioni territoriali contro l’Azerbaijan.
Era chiaro all’Armenia e agli attori internazionali durante le mie numerose comunicazioni con i funzionari degli Stati Uniti e dell’UE che doveva esserci un approccio di two track diplomacy: da un lato la normalizzazione Armenia-Azerbaigian, dall’altro comunicazioni tra le autorità dell’Azerbaigian e la comunità armena in Karabakh. Pertanto, qualsiasi tentativo di inserire la cosiddetta “Repubblica del Nagorno-Karabakh”, che non esiste, nel testo del trattato di pace è controproducente.
Continuiamo a sperare che l’Armenia adotti un approccio costruttivo: in caso contrario, non intendiamo intraprendere alcuna altra misura che non sia la diplomazia. Pertanto, se non si intende negoziare non ci sarà pace, non ci sarà comunicazione e dovranno trovare un proprio posto in questa nuova configurazione geopolitica che è profondamente cambiata non solo a livello regionale, bensì anche a livello globale. Noi abbiamo il nostro posto, che sta diventando sempre più solido; ma per loro sarà una grande sfida.

Con i ministri degli esteri dell’Armenia e dell’Azerbaigian a Washington, si sperava che si potesse vedere una svolta verso un accordo di pace. Ma deduco da quello che ha affermato che non è molto ottimista al riguardo. Gli attori esterni giocano un ruolo positivo nel forgiare un accordo di pace? O questi ultimi potrebbero  effettivamente cercare di impedire un accordo definitivo? In che modo le tensioni tra Stati Uniti, Iran e Russia  si ripercuotono nel Caucaso meridionale e influenzano le possibilità di raggiungere un accordo di pace con l’Armenia?
Sono meno ottimista a causa dei commenti che abbiamo ricevuto prima dell’incontro di Washington. Come ho detto diversi giorni fa, dopo aver atteso più di 40 giorni, abbiamo visto che quasi il 95% dei commenti erano in linea con i negoziati precedenti, in cui si è tentato di mettere in discussione l’integrità territoriale dell’Azerbaijan e incorporare, in qualche modo, il cosiddetto Nagorno-Karabakh in un accordo di pace tra Armenia e Azerbaigian.
Ciò ha ridotto il nostro ottimismo, ma ancora una volta speriamo che  questa sessione di negoziati sia diversa dalle precedenti, arrivando a qualche risultato. In caso contrario, sarà una grande delusione. Allo stesso tempo, penso che il modo migliore per raggiungere un accordo siano negoziati diretti tra l’Azerbaigian e l’Armenia senza alcun mediatore, facilitatore o spoiler. Prima della guerra russo-ucraina, abbiamo assistito ai tentativi degli ex copresidenti del gruppo di Minsk di impegnarsi nuovamente. Eravamo attivamente contrari, perché secondo la nostra posizione il gruppo di Minsk è fallito e dal 1992 al 2020 non ha prodotto alcun risultato.
Abbiamo capito chiaramente alla fine dei cosiddetti “negoziati” durante i tempi dell’occupazione, che i copresidenti del gruppo di Minsk volevano semplicemente mantenere invariata la situazione. In altre parole, mantenere lo status quo, che era molto comodo per loro e per l’Armenia, ma non per noi. Dopo che la Francia ha preso una posizione unilaterale filo-armena, si è effettivamente privata di ogni tipo di mediazione.
È assolutamente chiaro e non solo per i riconoscimenti dei separatisti in Karabakh, ma anche per altre dichiarazioni e azioni anti-Azerbaijan molto aperte nelle Nazioni Unite e in altri contesti che i politici francesi hanno allontanato la Francia dalla possibilità di essere un mediatore. Un mediatore deve almeno fingere di essere neutrale. Se non sei neutrale nella tua anima, devi almeno fingere di esserlo. Non hanno nemmeno provato a farlo. Al contempo, vediamo sforzi da parte degli Stati Uniti e della Russia.
Il prossimo ciclo di negoziati dovrebbe svolgersi questo mese in Russia tra i Ministri di Armenia e Azerbaijan. Esiste inoltre un formato europeo con a capo il  Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, che più volte convoca riunioni a livello di leader nazionali. Sono esempi positivi, ma ancora una volta penso che i negoziati diretti tra i due Paesi saranno più utili ed efficaci. Dobbiamo andare in quella direzione, se anche l’Armenia è pronta a farlo.

Il diritto internazionale è  molto chiaro sullo status di Shusha e del Karabakh. Ma l’Azerbaigian ha dovuto attuare da solo le risoluzioni delle Nazioni Unite. In merito, vediamo inequivocabilmente il principio dell’integrità territoriale applicato all’Ucraina e alla Georgia, ad esempio nella più recente Strategia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti.  Per quale motivo questo principio viene applicato a certi Paesi e non ad altri?
Non so quante volte ho rivolto questa domanda ai nostri partner americani senza ricevere risposta. È ovvio che c’è una grande ingiustizia nei confronti dell’Azerbaijan e una sorta di tentativo, ancora una volta, di mettere una linea di demarcazione nell’approccio metodologico alle questioni relative all’integrità territoriale dei Paesi dell’ex Unione Sovietica. Abbiamo sempre sentito nelle dichiarazioni ufficiali, nelle lettere dei presidenti degli Stati Uniti ai leader di Georgia, Moldavia e Ucraina, formulazioni molto dirette sul sostegno all’integrità territoriale. E quando si tratta dell’Azerbaijan, viene sempre sollevata la soluzione pacifica.
Durante i tempi dell’occupazione, era ancora più ingiusto, e naturalmente eravamo molto più sensibili a questo tema. Ora, siamo meno sensibili perché abbiamo fatto ciò che la comunità internazionale e i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza avrebbero dovuto fare: attuare le risoluzioni del Consiglio di sicurezza. L’abbiamo fatto da soli. Indubbiamente pensiamo che questa ingiustizia debba essere eliminata e che un unico approccio standard debba essere applicato non solo ai paesi dell’ex Unione Sovietica, ma a tutti gli altri Paesi. E non può esserci alcuna giustificazione per le preferenze politiche.
Le faccio un esempio: le due camere del parlamento francese hanno riconosciuto il cosiddetto Nagorno-Karabakh, che nessun Paese al mondo, compresa l’Armenia, ha riconosciuto. Qualsiasi tipo di giustificazione della lobby armena è esagerata. Eppure, la domanda è ancora nell’aria.
Perché succede? Ma ancora una volta, vorrei dire che ora questa risposta non è così importante come lo era prima. Ti ricordi molto bene come noi in Azerbaijan siamo stati sensibili al famigerato emendamento 907 al Freedom Support Act. Quando non ero Presidente ma nella mia precedente veste, visitavo Washington almeno due volte l’anno.
L’ambasciatore Pashayev, a quel tempo, ricorda molto bene anche a quante porte abbiamo bussato alla Casa Bianca, al Consiglio di Sicurezza Nazionale, al Senato, al Congresso, chiedendo di revocare questo emendamento. Non è successo. Nessuno ora ricorda l’emendamento 907 in Azerbaigian perché non abbiamo più bisogno di questa assistenza. Quindi, per quanto riguarda l’articolazione formale del sostegno diretto all’integrità territoriale dell’Azerbaigian da parte dei Paesi occidentali, penso che verrà il momento. Ed è importante che l’Armenia stessa lo dica, poiché di fatto lo riconoscono avendo firmato la dichiarazione di Praga lo scorso ottobre e  la dichiarazione di Sochi lo scorso ottobre, dove hanno concordato che la Dichiarazione di Almaty del 1991 dovrebbe essere presa come base per la normalizzazione.
La Dichiarazione di Almaty traccia i confini amministrativi delle ex repubbliche e le considera i loro confini ufficiali: ciò significa che hanno già concordato che il Karabakh è dell’Azerbaigian. Lo sto aspettando. Spero che verrà il momento.

L’Azerbaigian ha stabilito un’alleanza bilaterale al di fuori del quadro della NATO con la Turchia, Paese membro della NATO e importante potenza regionale. Per l’Azerbaijan si tratta di un risultato unico nell’intero contesto post-sovietico, e questa stretta relazione equivale ad un’alleanza per la sicurezza militare in prospettiva strategica. Molti di noi vorrebbero essere fiduciosi che questa alleanza continuerà indipendentemente dai risultati delle elezioni turche, diventando permanente.
Condivido pienamente le sue opinioni su questo tema. La Dichiarazione di Shusha, che ha reso la Turchia e l’Azerbaijan ufficialmente alleati, è stata firmata a pochi metri da questo edificio. E si è trattato di un evento storico: le relazioni de facto tra Azerbaigian e Turchia sono sempre state relazioni tra alleati, e lo abbiamo dimostrato soprattutto negli ultimi 20 anni. Con la presidenza Erdogan, i nostri rapporti si sono rafforzati grazie agli sforzi congiunti come Paesi fratelli e alleati.
Si tratta di un fattore essenziale per lo sviluppo regionale.
L’Azerbaigian, diventando un alleato militare della Turchia, diventa indirettamente un alleato militare della NATO. Per diversi anni c’è stata una sorta di percezione errata della strada verso l’integrazione e la cooperazione euro-atlantica da parte di diversi paesi dell’ex Unione Sovietica, sia che si tratti della NATO, sia che si tratti dell’UE.
L’Azerbaigian non si è impegnato formalmente in alcuna forma di accordo, non abbiamo nemmeno firmato un accordo di associazione con l’UE – a differenza di alcuni membri del programma di partenariato orientale. Ma non perché non volessimo essere più vicini: non vogliamo avere una cooperazione unilaterale.
A mio avviso, l’accordo di associazione non è un accordo nel senso comune del termine.
È solo un elenco di istruzioni presentate ai Paesi che hanno aderito a questo formato. È una loro scelta e la rispetteremo, ma non è una nostra scelta. Abbiamo firmato accordi e dichiarazioni di partenariato strategico con nove membri dell’UE, che ammontano ad un terzo degli Stati membri. E le dichiarazioni di partenariato strategico firmate o adottate hanno un valore molto più alto degli accordi di associazione. Lo stesso vale per la NATO: i Paesi del partenariato orientale hanno annunciato l’obiettivo di diventare membri della NATO per più di 15 anni.
A proposito: la NATO ha promesso all’Ucraina e alla Georgia 15 anni fa di diventare Stati membri. Ricordo di essere stato presente al Summit NATO di Bucarest quando Ucraina e Georgia furono respinte da alcuni leader di  importanti Paesi europei dal piano d’azione per l’adesione. Tuttavia, è stato annunciato che sarebbero diventati membri.
Quando? Nessuno l’ha detto. Sono passati quindici anni.
Quindi, siamo lì dove sono loro. Ma abbiamo firmato un accordo con lo stato membro della NATO con il secondo maggiore potenziale militare, il che è rilevante. Pertanto, abbiamo sempre scelto la strada dei passi concreti piuttosto che delle dichiarazioni, che non si trasformavano in risultati tangibili. Per quanto riguarda le relazioni tra l’Azerbaigian e la Turchia in futuro, sono sicuro che entrambi i paesi manterranno e rafforzeranno il formato di questa alleanza, poiché in queste nuove realtà geopolitiche è già diventato un importante fattore di stabilità e sicurezza regionale- sia che si guardi alla componente militare, energetica, delle comunicazioni, del commercio.

Il potenziale collasso o disintegrazione della Russia potrebbe avere gravi implicazioni per la sicurezza dell’Azerbaigian e del Caucaso. Mosca cercherebbe di creare problemi tra l’Azerbaigian ei suoi vicini – Daghestan e Cecenia – per distogliere l’attenzione dalla sua implosione? Come può l’Azerbaigian prepararsi a uno scenario del genere? E chi sarebbero i partner di Baku in tal caso?
Prima di tutto, penso che non vedremo il momento in cui la Russia sarà disintegrata. Sosteniamo l’integrità territoriale della Russia e di tutti i Paesi, e qualsiasi disintegrazione di qualsiasi Paese, specialmente del tuo vicino, può rappresentare una potenziale minaccia per te.
Per quanto riguarda i nostri vicini Daghestan e Cecenia, intratteniamo relazioni basate sulla nostra storia condivisa e fratellanza.
E l’Azerbaigian nel Caucaso meridionale è sempre stato – in tutti i tempi, sia durante l’Unione Sovietica, sia prima sotto la  Russia zarista – è sempre stato il più vicino ai popoli del Caucaso settentrionale.
Abbiamo sempre voluto che i nostri fratelli in Daghestan e in Cecenia realizzassero appieno il loro grande potenziale, e oggi è attivo un format di interazione su diversi livelli. Abbiamo firmato accordi di cooperazione e, proprio di recente, un programma pluriennale con il Daghestan.
Il Caucaso è un’area complicata, purtroppo, come i Balcani. Naturalmente, nelle relazioni tra l’Azerbaigian e la Russia, le comunicazioni tra l’Azerbaigian e le repubbliche del Caucaso settentrionale sono sempre state un fattore importante.
Ed è ben compreso a Mosca e Baku. Durante numerosi impegni ad alto livello, abbiamo sempre riflettuto sull’importanza della stabilità e della pace nel Caucaso settentrionale e meridionale, in particolare in Azerbaijan. Sebbene ci siano linee di divisione, confini amministrativi e confini di stato nel Caucaso, il Caucaso è un organismo e non puoi dividere il corpo in due.
E penso che il livello odierno di comprensione reciproca delle minacce e del potenziale sia più visibile a causa del cambiamento nella situazione geopolitica e della crescente importanza dell’Azerbaijan per la stabilità nel Caucaso settentrionale.

Quanto seriamente devono essere interpretati i problemi del Kazakistan per quanto riguarda le rotte di esportazione di energia attraverso la Russia? E cosa può fare l’Azerbaijan per supportare il Kazakistan nell’individuazione di rotte di esportazione alternative?
Secondo le mie informazioni, il Kazakistan non ha problemi ad esportare i suoi idrocarburi attraverso le vie tradizionali. E so che ci sono stati alcuni problemi tecnici nelle condutture e nel terminal, ma sono stati risolti. Oggi, il petrolio del Kazakistan sta attraversando percorsi tradizionali.
Ma allo stesso tempo, durante la mia visita ufficiale in Kazakistan il mese scorso, abbiamo discusso anche delle prospettive di cooperazione nel settore dell’energia. Diverse delegazioni sono giunte in Azerbaijan dal Kazakistan  e viceversa per discutere di questo problema; è stato raggiunto un accordo per avviare il trasporto di petrolio dal Kazakistan attraverso gli oleodotti azerbaigiani, e allo stesso modo abbiamo firmato un’intesa per fornire 1,5 milioni di tonnellate di petrolio attraverso l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan fino alla costa mediterranea.
La nostra infrastruttura energetica ci consente di aumentare le forniture e il volume di petrolio del Kazakistan attraverso l’Azerbaijan: per quanto riguarda l’aumento attraverso il Baku-Tbilisi-Ceyhan, il problema può essere la qualità del prodotto finale perché il petrolio del Kazakhstan è diverso da quello azerbaigiano. Ma ci sono altre opzioni. Certo, possiamo lavorare su alcuni termini commerciali. In ogni caso, abbiamo sempre sostenuto i piani dei nostri vicini attraverso il Caspio di utilizzare l’infrastruttura dell’Azerbaijan per le loro esportazioni.
A proposito, per molti anni il petrolio del Turkmenistan è stato spedito passando per l’Azerbaijan attraverso l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan. E penso che non dovremmo cercare cambiamenti geopolitici o preferenze politiche: oggi siamo un Paese di transito per il petrolio proveniente da Russia, Turkmenistan e Kazakistan. Se il volume del petrolio cresce, ne saremo solo felici. Chi non vorrebbe ricevere più introiti per via delle tasse di transito?

Si parla da tempo di una sorta di cooperazione tra le economie e i mercati dei Paesi dell’Asia Centrale. Se si dovesse realizzare, l’Azerbaijan si unirebbe a tale comunità economica?
È sempre complicato rispondere ad una domanda che inizia con “se”. Se ciò accadrà, vedremo cosa fare. L’Azerbaijan non è un Paese centrasiatico, ma è strettamente legato a quest’area per motivi storici e culturali, ed  ora anche politici.
Ho visitato il mese scorso il Tagikistan e il Kazakistan; a marzo, i presidenti dell’Uzbekistan e del Turkmenistan hanno visitato l’Azerbaijan. Ho anche visitato il Kirghizistan alla fine dello scorso anno. E l’anno scorso ho visitato l’Uzbekistan tre volte. Si vede quindi un dialogo attivo tra l’Azerbaijan e i paesi dell’Asia centrale, che sta avendo ripercussioni molto positive. A prescindere da ciò che accadrà, penso che l’Asia centrale e l’Azerbaijan in futuro possano essere più integrati prima di tutto per via dei problemi di trasporto e sicurezza. Oggi la sicurezza dei trasporti e l’accesso ai mercati di esportazione per i paesi dell’Asia centrale ha assunto maggiore rilevanza rispetto a qualche tempo fa.
La motivazione è comprensibile. Abbiamo iniziato ad aumentare la nostra presenza nel trasporto nel Mar Nero con la più grande compagnia di trasporto aereo di merci della regione, con accesso a corridoi Est-Ovest e Nord-Sud. Certo, è una risorsa significativa e stiamo facendo di tutto per contribuire alla cooperazione regionale tra l’Asia centrale e l’Azerbajian. Che tipo di partnership sarà da un punto di vista formale non è così importante.
Con paesi dell’Asia centrale come l’Uzbekistan, il Kazakistan, il Kirghizistan e il Turkmenistan, siamo nell’Organizzazione degli Stati Turchi. Tuttavia, posso dirvi che la mia interazione e le visite reciproche con i miei partner dell’Asia centrale negli ultimi due anni sono state senza precedenti. Questo risponde in parte alla tua domanda su cosa potrà accadere in futuro.

Presidente, qual è la sua opinione sulla Belt and Road Intitiative della Cina? A suo parere, quale sarà il futuro di tale iniziativa?
L’Azerbaijan ha sempre sostenuto la Belt and Road Initiative. Siamo stati tra quel limitato numero di Paesi invitati alla conferenza internazionale di alto livello organizzata in Cina nella primavera del 2019 e dedicata proprio a questa iniziativa. L’Azerbaijan è considerato parte importante del progetto, soprattutto ora. Pertanto, siamo molto ottimisti: ci siamo modernizzati completamente e stiamo ancora apportando gli ultimi ritocchi, direi, ammodernando e preparandoci per una maggiore capacità delle nostre infrastrutture di trasporto.
Allo stesso tempo, vediamo un crescente interesse da parte dell’Asia Centrale in merito all’utilizzo della nostra infrastruttura. Inoltre, vorrei sottolineare che alla fine dello scorso anno sono iniziati anche i progetti per la costruzione di nuovi collegamenti ferroviari tra Cina, Kirghizistan, Uzbekistan e Caspio. Si tratta di un progetto che è stato in fase di discussione per diversi anni. Stiamo lavorando con i nostri partner sulle sponde orientali del Caspio e in generale in Asia Centrale sulle questioni relative all’unificazione delle tariffe, per rendere questa strada importante non solo dal punto di vista della sicurezza dei trasporti, ma anche dal punto di vista commerciale.
Questo è molto importante anche per limitare le procedure burocratiche e avere più forme digitalizzate di operatività congiunta.

Sulla stampa occidentale si è discusso molto dell’aumento delle tensioni tra l’Azerbaigian e l’Iran, e persino un suggerimento di una sorta di asse comune tra Armenia, Russia e Iran da un lato, e Turchia, Azerbaijan e Israele dall’altro. Qual è lo stato dei rapporti con Teheran?
Abbiamo sempre cercato di sviluppare le relazioni con Teheran, e come Presidente da quasi 20 anni sono stato in Iran molte volte in visita ufficiale, così come i precedenti leader dell’Iran hanno visitato molte volte l’Azerbaijan. Abbiamo avuto relazioni commerciali molto attive, abbiamo lavorato attivamente sulle questioni relative ai trasporti, in particolare sul corridoio nord-sud.
E abbiamo visto che queste relazioni hanno un grande potenziale perché è sempre bello avere buoni rapporti con il proprio vicino, specialmente quando condividiamo molto della nostra storia.
Naturalmente, durante i tempi dell’occupazione ci aspettavamo di più dall’Iran in quanto al sostegno della nostra integrità territoriale.
I leader iraniani hanno sempre sostenuto l’integrità territoriale dell’Azerbaijan alle Nazioni Unite e nell’Organizzazione per la cooperazione islamica. Quindi, dobbiamo essere assolutamente onesti al riguardo. I cittadini azerbaigiani non sono molto contenti delle relazioni Iran-Armenia. Ma a livello politico, comprendiamo che ogni Paese abbia le proprie priorità di politica estera. L’Iran e l’Armenia sono vicini. Molte persone in Azerbaigian si aspettavano lo stesso atteggiamento che hanno adottato Turchia, Arabia Saudita e Pakistan, che hanno dimostrato sostegno durante i tempi dell’occupazione. Questi tre paesi non avevano nemmeno relazioni diplomatiche con l’Armenia a causa dell’occupazione.  Riferendomi allo stato d’animo popolare in Azerbaigian, la gente pensava che sarebbe stato naturale per l’Iran essere tra questi tre Paesi e dimostrare solidarietà, soprattutto a causa dell’uso attivo del territorio dell’Iran da parte dell’Armenia per quanto riguarda i trasporti, compreso il trasporto di munizioni e attrezzature militari.
Tuttavia, le nostre relazioni erano molto solide. Abbiamo concordato, insieme ad altri Stati rivieraschi, la Convenzione sul Mar Caspio. Ci sono voluti quasi 30 anni perché i Paesi si accordassero e ci sono stati molti disaccordi, ma alla fine ad Aktau, in Kazakistan, abbiamo firmato la Convenzione.
Sfortunatamente, dopo la seconda guerra del Karabakh ci sono stati diversi passaggi che hanno portato a questa escalation. E guardando alla cronologia di questi passaggi, l’Azerbaigian non è stato l’iniziatore: abbiamo una sfida importante davanti a noi, la ricostruzione del Karabakh e dello Zangezur dell’est, pertanto non sentiamo la necessità di avere problemi con nessun Paese – specialmente con un Paese vicino. Tutto è successo dopo che abbiamo installato telecamere di osservazione sulla strada tra Lachin e Khankendi e abbiamo rilevato movimenti regolari di camion iraniani verso il Karabakh.
Era assolutamente illegale, perché l’Iran riconosce l’integrità territoriale dell’Azerbaigian. Abbiamo iniziato a monitorare la situazione pensando che si trattasse solo un incidente: forse gli autisti che sono venuti dall’Iran in Armenia si sono persi e sono finiti accidentalmente in Karabakh. Ma poi abbiamo iniziato a vedere che si trattava di una tendenza.
Quindi, il mio assistente ha invitato l’Ambasciatore iraniano per un incontro privato su mia istruzione, chiedendo di fermare tali comportamenti. Tuttavia, il traffico e l’accesso illegale al Karabakh è continuato, e abbiamo dovuto compiere un passo ufficiale: abbiamo emesso una nota diplomatica, e l’ambasciatore iraniano è stato invitato al nostro ministero degli Esteri, dove abbiamo espresso la nostra insoddisfazione per l’accaduto. Si tratta di una normale procedura diplomatica, niente di speciale. Sfortunatamente, non solo non si è fermato, ma questo traffico è diventato più intenso.
Gli iraniani hanno affisso false targhe armene mantenendo gli stessi camion con la scritta araba sopra. Quindi, abbiamo dovuto fermarlo. Due di questi camion sono stati fermati e gli autisti sono stati arrestati. Nei documenti di transito abbiamo rilevato che il carico è stato inviato da una delle città iraniane e la destinazione era Stepanakert, “Armenia”.
Riesci a immaginarlo? Primo, non è Stepanakert, è Khankendi. Secondo, non è Armenia. Da ultimo, è avvenuto un atto di terrorismo nella nostra ambasciata a Teheran. Si è trattato di un atto di terrorismo deliberato e organizzato: abbiamo agenti di sicurezza nelle ambasciate di diversi Paesi, ma solo in Iran non erano autorizzati a portare armi. Quindi, i nostri agenti di sicurezza erano indifesi.
La persona che ha fatto irruzione aveva un Kalashnikov, e ha iniziato a sparare immediatamente, uccidendo e ferendo due membri del nostro corpo diplomatico. Per 40 minuti non c’erano poliziotti o agenti di sicurezza. Chiediamo un’indagine trasparente sull’attacco terroristico alla nostra Ambasciata. Puoi ben immaginare che le relazioni tra l’Azerbaigian e l’Iran siano al livello più basso di sempre.
È molto difficile prevedere se rimarranno tali, se miglioreranno o peggioreranno. Abbiamo ricevuto alcune comunicazioni da funzionari iraniani, alcune telefonate e proposte per normalizzare i rapporti. Se le nostre richieste verranno soddisfatte, allora possiamo parlare di normalizzazione. In caso contrario, no.

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Foto copertina: Il Presidente della Repubblica Ilham Aliyev