Gli Stati Uniti tra passato e presente: un quadro verso le elezioni


A pochi mesi dalle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, il “poliziotto del mondo” sembra volersi ritirare a vita privata, tra spaccature interne e diversità fra la popolazione.


Uno sguardo alla storia

Gli Stati Uniti d’America, terra storicamente di opportunità e contraddizioni, hanno un passato ricco e complesso che ha plasmato il loro presente.
Fondati come colonia britannica nel XVII secolo, gli Stati Uniti hanno guadagnato la loro indipendenza attraverso una lunga e difficile lotta.
La Dichiarazione d’Indipendenza del 1776 ha segnato l’inizio di un’epoca di autogoverno e di progresso che ha visto la crescita della nazione attraverso rivoluzioni industriali, guerre mondiali e movimenti per i diritti civili. Tuttavia questo processo che ha visto successivamente la nascita di ben 50 stati federali non è stato molto omogeneo.
Le 13 colonie originarie, già prima della dichiarazione di indipendenza, avevano regolamentazioni interne diverse e difficili da abbandonare nel momento in cui si sarebbe realizzata un’unificazione nazionale sotto un governo centrale. Infatti prima della nascita costituzione americana, ciascuno Stato federale era sostanzialmente uno Stato sovrano.
La proclamata indipendenza da un lato riuscì a creare un governo nazionale che unì gli stati sotto un’unica egida ma dall’altra non sostituì i governi statali.
La costituzione degli Stati Uniti è il risultato di un intricato compromesso, dove i principi fondamentali sono stati negoziati come accordi tra opinioni contrastanti, piuttosto che come parti di un progetto unificato.[1]
Queste trattative hanno effettivamente stabilito le basi del sistema federale, creando una struttura sufficientemente forte. Sebbene singolare ciò è perfettamente spiegabile.
Al termine della guerra d’indipendenza, la politica americana si divideva tra due visioni: una centralizzata e una più aperta alla pluralità. Entrambe erano radicate nell’Unione e negli Stati, e il loro contrasto poteva essere risolto solo attraverso un compromesso.
Esso consisteva nel preservare l’Unione con un governo federale vero e proprio, attivo sui cittadini piuttosto che sugli Stati, e nello stesso tempo garantire l’indipendenza degli Stati stessi, preservando così la diversità.
La sfida principale era trovare un modo per il governo centrale di interagire con i cittadini senza minare la loro autonomia. Alla fine, la federazione è stata l’unica via possibile, data la necessità di conciliare queste visioni divergenti.
La diversità degli stati federali americani è dunque una caratteristica fondamentale del sistema politico degli Stati Uniti. Ogni stato ha una propria storia, cultura ed economia, che si riflettono nelle ideologie politiche dei suoi cittadini e dei loro rappresentanti. Questa diversità si manifesta in particolare tra gli stati costieri e quelli interni, che hanno sviluppato filosofie diverse in risposta al loro background storico.
Gli stati costieri, come la California e New York, tendono oggi ad essere più progressisti e liberali nelle loro politiche. Trattasi di aree nelle quali vi è una popolazione eterogenea con città come Los Angeles e New York City profondamente cosmopolite, che tendono a rigettare il passato assertivo del paese chiedendo quasi scusa al resto del mondo. Un tentativo velleitario di far ripartire la nazione del “Destino Manifesto” da un imprecisato anno zero della purezza grazie soprattutto ai movimenti studenteschi e in generale alle nuove generazioni.
Essi sovente abbracciano idee innovative in settori come l’ambiente, i diritti civili, la sanità e l’istruzione. Ad esempio, la California è stata all’avanguardia nella promozione delle energie rinnovabili e nella protezione dell’ambiente,[2] mentre il Massachusetts è stato un pioniere nei diritti matrimoniali per le coppie dello stesso sesso e nelle riforma sanitarie. Di contro, gli stati interni, come il Texas e l’Alabama, tendono ad avere ideologie più conservatrici e tradizionali.[3]
Questi Stati si concentrano su questioni come la preservazione del Secondo emendamento (ossia il possesso delle armi da fuoco), l’autonomia statale e la riduzione dell’intervento governativo nell’economia.
Ad esempio, il Texas è noto per il suo attaccamento alla libera impresa e a principi religiosi (siano essi cattolici o protestanti) che estremizzano in senso conservatore il tema dell’aborto (soprattutto in seguito all’annullamento della sentenza Roe vs Wade del 1973 che riconosceva il diritto costituzionale per la donna di interrompere la gravidanza)[4], aspetto che è centrale anche in Stati come l’Alabama.
Questa varietà di ideologie tra gli stati costieri e quelli interni ha profonde implicazioni per la politica nazionale. Le elezioni presidenziali, in particolare, spesso vedono uno scontro tra queste diverse visioni del paese. Gli Stati costieri infatti tendono ad essere una roccaforte vitale per i candidati democratici, mentre gli Stati interni sono spesso un forte baluardo per i candidati repubblicani.
Questa divisione politica riflette le divergenze culturali ed economiche che caratterizzano gli Stati Uniti influendo anche sulle politiche statali e federali. Mentre alcuni stati si impegnano per l’innovazione e il progresso sociale altri difendono le tradizioni e i valori storici.

Tra isolazionismo e impegno globale

Fin dalle origini, la visione dell’”eccezionalismo” americano si è fusa con l’obiettivo di diffondere la libertà in tutto il mondo. Prima ancora della creazione degli Stati Uniti, Thomas Paine, fervente sostenitore dell’indipendenza dal Regno Unito, incitava i coloni americani con queste parole: “Possiamo ricreare il mondo da capo”. Herman Melville, il celebre scrittore, concordava: “Noi americani siamo il popolo scelto, l’Israele del nostro tempo”.[5]
Tuttavia, fino alla fine del XIX secolo, la maggior parte degli americani non aveva intenzione di estendere le proprie ambizioni oltre il Nord America. Si concentrarono sull’espansione verso l’interno del continente, scontrandosi con le popolazioni native, facendo tentativi infruttuosi di conquistare il Canada e acquisendo una porzione significativa del Messico durante la guerra del 1846-1848, oltre all’acquisto dell’Alaska dalla Russia nel 1867. Sebbene le élite e il popolo americano desiderassero che il loro esperimento democratico fosse un modello per altri paesi, ritenevano che per preservare la propria eccezionalità nazionale fosse necessario mantenere distante il resto del mondo.
Di conseguenza, gli Stati Uniti non si spinsero oltre le coste del Pacifico, limitando le proprie ambizioni internazionali principalmente al commercio.
Fin dai primi tempi, avevano immaginato un’unione che si estendesse su tutto il continente ma non aspiravano a governare il resto del mondo; al contrario, tendevano all’isolamento. Seguirono la politica delineata da George Washington nel suo discorso di addio alla presidenza nel 1796: “Per noi, la grande regola di condotta nei confronti delle nazioni straniere è di mantenere il minor coinvolgimento politico possibile, limitandoci a espandere i nostri rapporti commerciali”.[6]
L’isolazionismo si rivelò efficace. Dopo la guerra anglo-americana del 1812, gli Stati Uniti trascorsero il resto del XIX secolo prosperando indisturbati mentre le potenze imperiali europee si ritiravano dall’emisfero occidentale. L’economia statunitense ebbe un’impennata, soprattutto dopo la guerra civile, grazie agli investimenti in infrastrutture come canali, porti, strade e ferrovie, anziché in flotte militari e colonie.[7] Tra il 1865 e il 1898, la produzione di carbone negli Stati Uniti aumentò dell’800% e la rete ferroviaria cresceva del 567%.[8] Intorno al 1885, gli Stati Uniti superarono il Regno Unito diventando il principale produttore mondiale di beni industriali e acciaio.
Anche se la marina americana interveniva occasionalmente per difendere gli interessi commerciali del paese, gli Stati Uniti, indipendentemente dal partito al potere, limitavano le proprie ambizioni geopolitiche.
Con l’avvento delle due guerre mondiali (e con gli Stati Uniti risultati decisivi in entrambi i conflitti per giungere alla vittoria) le prospettive sono decisamente cambiate. Washington si è autoproclamata portatrice di valori come la democrazia, da “esportare” in tutto il mondo che non fosse già finito sotto l’egida sovietica nell’ambito della guerra fredda. Per questi motivi gli americani si sono impelagati in conflitti sanguinosi come quello del Vietnam o in altri dall’esito favorevole ma altrettanto cruenti come quelli in America centrale per sostenere o rovesciare i leader politici amici del Pentagono. In seguito è stato il nemico islamico, e più specificatamente il terrorismo, a far impantanare la Casa Bianca in Medio Oriente per circa vent’anni. Un periodo di tempo che da un lato ha visto il coinvolgimento prettamente dei professionisti militari (a differenza del reclutamento che avvenne per la guerra del Vietnam) ma che dall’altro si è tradotto in un fallimento e in un incredibile spreco di vite umane. Tutto ciò, unitamente ai tempi che cambiano, ha fatto sì che gli Stati Uniti intraprendessero una politica estera meno coinvolgente e che si concentrassero sul dualismo con la seconda economia mondiale ossia la Cina. È anche per questi motivi che i politici e i cittadini repubblicani (ma non solo) o ultraconservatori intendono delegare ai propri alleati, troppo spesso dipendenti da Washington, tematiche ritenute regionali come il conflitto russo-ucraino e la guerra in Medio Oriente. Un segno non tanto di stanchezza o di incapacità ma piuttosto un tentativo di occuparsi prevalentemente degli affari di casa propria con un occhio a Formosa. Unico vero cruccio per il quale la superpotenza americana potrebbe decidere di tornare in pista.

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Verso le elezioni

Il prossimo 5 novembre si terranno le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, con Joe Biden del Partito Democratico e l’ex Presidente Donald Trump del Partito Repubblicano in corsa. Questa elezione è cruciale per il futuro di Washington e ha implicazioni globali. Molto del dibattito si concentra sulla possibilità che Trump, nonostante le controversie e i procedimenti legali in corso, possa tornare alla Casa Bianca e attuare politiche radicali che influenzerebbero non solo gli Stati Uniti ma anche le relazioni internazionali. Il tycoon, sostenitore dell’isolazionismo e dei rapporti bilaterali, potrebbe ribaltare la politica estera attuale, con possibili conseguenze significative per gli alleati europei, soprattutto nell’ambito della NATO.[9]
La possibilità di una rielezione di Trump preoccupa gli alleati europei, che potrebbero essere i primi a subire i cambiamenti imposti dalla sua dottrina politica.
Il tycoon ha sempre considerato l’Unione Europea come un concorrente sia economico che politico, cercando di minarne le basi e di stringere relazioni dirette con singoli paesi. Recentemente, ha sfruttato il clima di tensione causato dalla guerra russo-ucraina per promuovere la sua agenda isolazionista. Trump potrebbe essere incline a chiudere il fronte ucraino e a concentrarsi sul quadrante Indo-Pacifico, anche a costo di abbandonare gli alleati europei.
Questo potrebbe spingere l’Unione Europea a cercare un maggior sostegno dagli Stati Uniti o a consolidarsi come un polo multinazionale alternativo a Washington.[10]
Il Regno Unito invece, dopo la Brexit, ha rafforzato la sua relazione con gli Stati Uniti ma potrebbe trovarsi in una posizione più vulnerabile se Trump dovesse cambiare la sua politica nei confronti della Russia. Altri paesi come la Norvegia, membri della NATO ma non dell’Unione Europea, potrebbero essere influenzati dalla nuova politica americana. La Turchia ad esempio, pur legata agli Stati Uniti, sta cercando di mantenere una posizione neutrale e potrebbe non essere direttamente coinvolta nei cambiamenti promossi da Trump.[11] D’altra parte, se Biden venisse riconfermato, ci sarebbe maggior continuità nella politica estera degli Stati Uniti, con un atteggiamento più dialogante verso l’Europa e un supporto costante all’Ucraina. In entrambi i casi, la politica estera della più grande potenza mondiale sarebbe guidata da leader anziani, con tutte le sfide che questo comporta.

Conclusioni

La nazione del “Destino Manifesto” si trova di fronte ad un bivio: tornare ad essere ciò che è stata nel XX secolo o ciò che è stata per il resto della propria storia? Le sfide di quest’epoca mettono a dura prova i tentativi neo-isolazionisti di Washington che però potrebbero in parte concretizzarsi con un ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Trovare un equilibrio tra il desiderio di proteggere gli interessi nazionali e l’impegno per affrontare le sfide globali rimarrà un aspetto chiave per gli Stati Uniti nel mondo moderno. Un paese spaccato in due (come dimostrato dalle ultime elezioni) in cui nelle zone costiere si fa largo la voce e la cultura della cancellazione (nota come woke) e nell’entroterra si tenta ad ogni costo di preservare tradizioni, valori e ideali che derivano dalle generazioni passate.[12] Con l’ascesa di nuove potenze come la Cina e di paesi storicamente invisi come l’Iran, gli Stati Uniti si trovano ad affrontare una nuova sfida per mantenere la propria posizione di leadership nel mondo. In che modo sosteranno questa prova non è dato saperlo. Il poliziotto del mondo attualmente sembra volersi congedare ma non svegliare il cane che dorme è un monito per tutti.


Note

[1] Constitutional Topic: Federalism – The U.S. Constitution Online. https://www.usconstitution.net/consttop_fedr-html/
[2] California Releases World’s First Plan to Achieve Net Zero Carbon Pollution, Office of Governor Gavin Newsom, 2022.
[3] J. Herrera, Why Democrats are losing Texas Latinos, Texas Monthly, 2021.
[4] Usa, un anno fa l’annullamento della sentenza Roe vs Wade, Amnesty International, 2023.
[5]Isolazionismo e internazionalismo: alla ricerca di un equilibrio, Aspenia Online, 2021. https://aspeniaonline.it/isolazionismo-e-internazionalismo-alla-ricerca-di-un-equilibrio/
[6] G. Bottaro (2011). La politica estera degli Stati Uniti nell’analisi di Alexis de Tocqueville. Il Politico76(2 (227)), 89–100. Http://Www.Jstor.Org/Stable/24006628
[7] Di Girolamo, C. (2014). L’ascesa economica degli Stati Uniti, Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/l-ascesa-economica-degli-stati-uniti_(Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco)/
[8] Ibidem.
[9] Gli effetti geopolitici delle elezioni 2024: USA, mondointernazionale, 2024. https://mondointernazionale.org/focus-allegati/gli-effetti-geopolitici-elezioni-2024-usa
[10] Ibidem.
[11]Il futuro delle relazioni turco-americane nel 2024, IARI, 2024.
[12] B. Gage, How Un-American Became the Political Insulto f the Moment, The New York Time Magazine, 2017.


Foto copertina: